A poco più di un anno della morte di Bin Laden in cui hanno giocato un ruolo fondamentale, oltre quello primario degli incursori della US Navy, i velivoli teleguidati -quei mezzi senza piloti ,ma armati- ormai famosi come i Predator ed i Reaper per il monitoraggio e la sorveglianza di aree ‘’calde’’, gli eventi occorsi nelle aree turbolenti dello Yemen, della Somalia e dell’Afghanistan, dimostrano sempre più la validità e l’efficacia operativa nell’impiego dei droni. Dell’ultima ora è il duro colpo inferto dal Pentagono, in accordo con la nuova strategia nel contro-terrorismo, condotto con un drone armato di missili ‘’Hellfire’’ nelle aree del Waziristan, con l’eliminazione del numero due di al-Qaeda, Al Libi. Gli attacchi dei droni hanno avuto successo,complessivamente, nell’eliminazione dei capi Talebani e di al-Qaeda, ma è altrettanto vero che le statistiche sono attestate su percentuali di un ‘’leader’’ eliminato su 7 attacchi dei droni nelle aree tribali del Pakistan, attesi i circa 300 attacchi effettuati in quelle zone. E’ anche vero che, nei confronti dei capi della ‘’rete’’, le armi più temibili -perché invisibili ed imprevedibili – sono senz’altro i droni ; Al Libi, in particolare, è stato oggetto di ripetuta attenzione da quei ‘’killer silenziosi’’ in quanto, già nel 2009, un Predator aveva lanciato una coppiola di missili contro una casa dove era stata segnalata la sua presenza,tant’è che venne dato per morto. Ora è giunta l’ora, dopo circa un ventennio di impiego operativo, di massimizzare gli sforzi, ed anche per l’attuale numero ‘’uno’’ di al-Qaeda, l’egiziano al-Zawahiri, le azioni di monitoraggio dall’alto si fanno più serrate ,pur essendo passato oltre un lustro da quando lo stesso sia stato ‘’visto’’ dai droni. Certo è che sussistono, in qualche misura, danni collaterali conseguenti agli attacchi , anche se spesso i colpiti sono ‘’militanti’’ spacciati per poveri civili; dallo Yemen all’ Afghanistan il rapporto fra la famosa ‘’killing list’ di Obama’ e le supposte ‘’vittime innocenti’’ si attesta su rapporti di ‘’uno-a-quindici’’. Dati spesso controversi, utilizzati dalla propaganda Talebana per creare tensioni ed alimentare sentimenti anti-USA ,soprattutto in Pakistani; i reports statunitensi sostengono invece che l’affidabilità e la precisione nei lanci è passata dal 60% di qualche anno fa, a valori prossimi al 95% ,sia per la migliore confidenza tecnologica delle macchine, sia per la maggiore capacità chirurgica dei loro sistemi missilistici avio-portati, sia infine per le notizie Intelligence decisamente più evolute ed aggiornate. E’ il solito balletto delle cifre ed,inevitabilmente, un po’ di ‘’guerra psicologica’’;probabilmente la verità sta nel mezzo di quelle statistiche ma, sta di fatto che, la guerra è guerra e che la strategia USA per combattere il terrorismo punta sempre più su sofisticati sistemi UAV (Unmanned Aerial Vehicle) di diversa taglia. Fra poco l’era dei droni allargherà il suo ‘’focus’’ anche nelle nostre acque Mediterranee con attività di pattugliamento fino alle aree del Nord Africa e sub-sahariane (ove sono presenti alcuni santuari di al-Qaeda), in cui peraltro le ‘’Primavere’’ non sono finite: i 5 mega-UAV ‘’Global Hawks’’,in acquisizione dalla NATO e da piazzare in Sicilia a Sigonella, decisi nel recente Summit di Chicago, ne sono la più chiara evidenza. Un ‘’Grande Fratello’’ che -per ora- silenziosamente guarda, pattuglia per giornate intere, ma che domani potrebbe portare anche qualche ‘’pillolone’’ chirurgico, missili Hellfire o bombe a guida laser-inerziale; è un modo ‘’smart’’ per tenere sotto controllo ed eventualmente colpire i terroristi senza mettere a rischio le proprie truppe ed i propri piloti. Qualche libero pensatore ultra-pacifista arriva perfino a porre, in tale contesto, problemi etici nella condotta di queste azioni ‘’asimmetriche’’, che colpiscono senza esporsi, dimenticandosi che l’etica nei conflitti armati è un concetto che vale per i ipocriti perbenisti : in realtà è una cenerentola che viene regolarmente calpestata ed incenerita, secondo convenienze. D’altronde non pare proprio che i vari ‘’kamikaze’’ e gli autori delle stragi dell’11 settembre, di Madrid, di Mumbay, di Londra, dell’USS Cole, abbiano operato con un rispettabile senso etico, come lo intendiamo in Occidente. Esperienze personali dirette maturate nella gestione operativa dei teatri iracheni ed afgani confermano che spesso, o quasi sempre, i terroristi si nascondono in contesti urbani o sub-urbani, come tattica per sfuggire alla scoperta dei droni e che, altrettanto sovente, inventano meeting ‘’pacifici’’ di preghiera ma sediziosi, o matrimoni inesistenti per camuffare e giustificare la loro presenza nelle abitazioni attaccate dai droni. E’ chiaro che, poi, i media diffondono notizie false e tendenziose incolpando i gestori degli ‘’effetti collaterali’’ nei confronti di civili inermi, ma la realtà è spesso molto diversa; altro che matrimoni e preghiere, i colpiti non sono lì per caso, ma terroristi, fiancheggiatori, affiliati ed insurgents! Tuttavia l’era dei droni crea, in ragione del ‘’gap’’ tecnologico esistente fra le parti in gioco, ed anche a prescindere degli aspetti connessi con la pseudo-etica, ovvii squilibri e tensioni; prima fra tutti è la rabbia connessa con l’invasività della sovranità nazionale dei paesi controllati dall’alto e dagli attacchi senza preavviso , autorizzazione locale, né alcun coordinamento nelle attività a caldo. Spesso,come nel caso del Pakistan, dove pullulano i terroristi della famosa ‘’Kill list’’ di Obama, si tratta di ‘’sceneggiate’’; al di là delle apparenti incavolature per gli effetti collaterali, in realtà anche i governativi locali sono favorevoli acchè qualcun altro si prenda la briga di eliminare dei ‘’mariuoli’’ pericolosi anche per loro, ed urlare al diavolo USA può portare vantaggi anche in termini di consenso popolare interno. Ben venga quindi l’uso e l’era dei droni e non solo nei teatri bellici; ormai, dopo oltre ventanni dal loro impiego operativo, hanno raggiunto -con lo sviluppo della robotica e dell’ Information Technology- un grado di affidabilità e di maturità davvero elevato. Anche nei campi del ‘’civile’’, nella lotta alla criminalità, nel controllo dei flussi migratori, nel monitoraggio delle frontiere, nella sorveglianza di zone inquinate o colpite da calamità naturali, l’impiego di UAV con adeguati sensori di rilevazione dei fenomeni è già oggi ampiamente rodato e più che giustificato: domani ci sarà spazio per ampliarne il ruolo nella sorveglianza, ma anche – ove necessario e a prescindere da pruriti etici- il contrasto con i sistemi più adeguati. Non bisogna essere indovini o grandi strateghi per pronosticare che l’intera gamma dei velivoli senza piloti evoluirà in termini di uso, capacità ed efficacia, in modo significativo già nel breve-medio periodo; l’uomo con le sue peculiarità, pur con i suoi limiti ed anche la sua ‘’smartness’’ resterà il principale ‘’moltiplicatore di forze’’ in ogni settore, meno attore e più regista; sempre più orientato verso i droni, più spendibili e talvolta più adeguati per missioni troppo pericolose, ma anche più appetibili per il favorevole rapporto in termini di costo-efficacia, e per l’assenza di rischio della vita umana.
Giuseppe Lertora