scirocco

Mi è stato chiesto di comporre un articolo per descrivere le mie emozioni e sensazioni riguardo al rapporto con mio padre e al suo lavoro: ebbene l’ho scritto. Poi, l’ho riletto, ho compreso che era pieno di cose scontate e banali, cose che già tutti quelli che appartengono a questo ambiente sanno ,o per lo meno possono immaginare, così ho fatto la cosa giusta e l’ho cestinato.

Allora mi sono fermata a pensare, per raccogliere le idee e concentrarmi davvero su ciò che provo quando ripenso alla mia vita, e sono giunta alla semplice conclusione che, paragonandomi ai miei coetanei, la mia esistenza è costellata di traslochi, scatoloni e bagagli ricolmi.

Eppure io non potrei esserne più grata e soddisfatta.

Lei l’ho conosciuta poco tempo fa, alla banchina scali di La Spezia.

Ferma, tutta grigia e imponente, quasi altezzosa, come se volesse dire “è arrivato il mio turno.”. Eccola lì, Nave Scirocco, colei con cui dovrò condividere mio padre, suo 30° comandante, per il prossimo anno. A prima vista una nave come le altre, una vecchia signora adagiata tutta tranquilla sull’acqua; ma poi ho pensato: “Eccoci, un altro anno senza papà. Altre cinquantadue settimane piene di valigie, treni, interminabili ore di macchina e sporadiche telefonate ”

Salita a bordo, ho subito sentito l’odore penetrante del gasolio, e il rumore incessante di sottofondo, proprio come ai vecchi tempi. Tra un carruggetto e l’altro mi soffermavo a pensare alla mia vita a tutte le esperienze passate. Una volta uscita realizzai: “Sono davvero esausta di vedere mio padre partire, ma alla fin fine mi devo rassegnare, questo è il suo compito e così è la mia vita”.

Così è e così è sempre stato, fin dalla culla, quando mio padre tornò a casa solo per il giorno della mia nascita, per poi ripartire in mare e rivedermi un anno e mezzo dopo. Quando rientrò non lo riconobbi, e quando mia madre mi esortò a dargli un bacio io corsi in camera e baciai una sua foto sul comodino come ero sempre stata abituata a fare fino a quel momento. Fortunatamente con la crescita iniziai ad abituarmi alla vita che mi si prospettava; non mi ponevo più domande se da un giorno all’altro dovevamo fare le valigie e guidare per ore per vedere papà, e nemmeno m’importò quando per fare più spazio in casa, i traslocatori mi misero in uno scatolone a giocare.

Facendo un bilancio, ho alle mie spalle undici traslochi, sette scuole in dieci anni e tre lingue parlate bene, di cui una alla perfezione… non l’italiano. Questi sono i numeri, ma le esperienze vanno bel oltre i calcoli: il mio bagaglio culturale è diventato sempre più pesante di anno in anno e si è arricchito di esperienze irripetibili, affinando la capacità di sminuire eventi all’apparenza problematici. Come diciamo in casa: la quotidianità la sanno affrontare tutti, ma è nella risoluzione dei problemi che ci si mette alla prova.

Con tutto ciò non sto cercando di peccare di vittimismo perché non sono stata allevata in questo modo; sono realmente soddisfatta della mia vita fino ad ora e spesso guardando i miei coetanei li trovo estranei; non mi capacito di come possano rimanere decenni in uno stesso luogo, senza sapere cosa significhi traslocare e ricominciare da capo ogni volta. Le valigie sono parte di me e del mio intorno, in sostanza, fanno da soprammobili alla casa. E così come le valigie vi sono gli scatoloni, le miriadi di cornici dei precedenti incarichi di papà, le divise sempre troppe e troppo ingombranti , gli infiniti libri di marina e le decine di crest. La nostra casa non è mai completamente in ordine; non c’è mai il tempo di aprire tutti gli scatoloni prima di richiuderli nuovamente.

Ad oggi mi risulta difficile rispondere alla domanda “da dove vieni?”. Forse non ho un posto propriamente da chiamare casa ma non ne avverto nemmeno il bisogno, mi sentirei quasi oppressa dall’essere legata ad un singolo luogo. Negli anni ho maturato un certo disprezzo per la monotonia, che contrasta con l’enorme voglia di viaggiare ancora per appagare la mia curiosità. Per adesso sono serena, poiché ho una famiglia, una valigia capiente e la voglia di raggiungere mio padre da ogni parte del mondo.

 

Geneviève