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Centinaia di donne a Colonia hanno denunciano molestie, centinaia di migliaia di donne nel mondo ancora tacciono in merito agli abusi.
I fatti accaduti il 31 dicembre nella città tedesca rappresentano la punta di un iceberg, un fenomeno di malcostume, ignoranza e violenza; ma andiamo per ordine, cerchiamo di ragionare, di fare chiarezza, di riflettere, di informare soprattutto.
Cominciamo “dando i numeri”: 31 sono i soggetti identificati nell’ambito delle indagini, 18 dei quali richiedenti asilo; i paesi d’origine Algeria, Marocco, Iran e Siria, ma tra gli interrogati, stando alle dichiarazioni del portavoce del Ministro dell’Interno, ci sarebbero anche due cittadini tedeschi, un serbo e un cittadino statunitense.
Episodi gravissimi sarebbero accaduti anche in Svezia ma ancor più gravi e devastanti sono i risvolti mediatici e probabilmente anche politici legati a queste vicende, perché, volendo parafrasare l’impatto sociale di tutto questo si rischia di incappare in un ostacolo che già da tempo appare insormontabile, ovvero la percezione soggettiva di sicurezza dei cittadini del vecchio continente legata alla difficoltosa gestione dell’immigrazione, frequentemente clandestina, che affligge come una piaga l’intera Europa.
La violenza di genere e il pregiudizio nei confronti del ruolo “passivo e sottomesso” della donna non hanno religione, non hanno etnia, fanno parte di una mentalità distorta che ha radici culturali antiche, comuni e trasversali, pertanto, l’attenzione dei media, che giustamente è altissima, rischia, laddove non correttamente veicolata, di condurre ad un inevitabile “etichettamento” pericoloso come pericolosi sono i risvolti sul piano della politica internazionale.
Il problema, ad oggi, non va identificato nella sola necessità di chiudere le frontiere perché “qualcuno ha agito in palese contrasto con quelle che sono le norme”, la soluzione dovrebbe rappresentarsi in un processo di integrazione che tenga realmente conto di una serie di variabili spesso considerate secondarie, o scarsamente rilevanti.
Non è semplice e in una situazione come quella odierna è terribilmente impopolare utilizzare il termine “inclusione” facendo riferimento a chi, nel bene o nel male, è assimilato ad un qualcosa che noi tutti temiamo e vediamo come distruttivo, ma nel momento in cui quello che accade oggi è il frutto di quelle scelte che sono state operate ieri, non basta lo sdegno, servono le contromisure, è necessaria tutta l’onestà intellettuale del caso che consenta di operare una sorta di scissione dalle posizioni totalitaristiche che vedono ciascuno di noi pro o contro l’accoglienza di soggetti provenienti da contesti lontani da quelli che noi conosciamo.
L’interpretazione dell’alterità culturale di chi proviene da realtà differenti, quali quelle dei paesi di religione islamica, sembra essere diventata un baluardo per condannare aprioristicamente chi professa un culto che in realtà non viene compreso, o quantomeno, viene distorto alla luce di interpretazioni superficiali.
Non si è criminali per sole motivazioni religiose, l’origine dell’azione deviante, anche quella della peggior specie, come può essere considerata quella ai danni delle donne di Colonia, è frutto di fattori concorrenti, di valutazioni errate, di circostanze nefaste e di una sostanziale percezione di svalutazione di tutto ciò che si vorrebbe possedere e non si può avere.
Su quest’aspetto un’Europa culturalmente avanzata, pregna di valori positivi, dovrebbe intervenire: non è dannosa l’immigrazione in sé, è dannosa la mala gestione di questi soggetti, è dannosa la ghettizzazione, è dannosa la pretesa che tutto possa appianarsi da sé, come per miracolo; questo non viene compreso ai vertici, in questo modo si rappresenta quel delirio di onnipotenza che porta all’assurda pretesa di  salvare i migranti che fuggono dalla guerra senza però avere le dovute capacità di contenere, sistemare e sostentare queste persone che,  in quanto esseri umani, hanno diritti ma altrettanti doveri.
Gli immigrati non sono figli di un Dio minore, sono soggetti che spesso hanno fronteggiato atrocità impossibili da raccontare, sono persone e in quanto tali dobbiamo accettare il fatto che possano avere in sé il bene e il male, ma dobbiamo fare qualcosa affinché sia garantita loro la possibilità di adeguarsi al contesto che li accoglie, laddove sia manifesta questa volontà, nei tempi e nei modi che devono necessariamente essere stabiliti alla luce di accordi seri tra tutti i paesi.
Nella notte di San Silvestro, a Colonia, i “profughi” prima di essere tali, e prima ancora di essere criminali, erano individui; soggetti che nella profondità delle loro credenze non sono stati educati a dare ad altri soggetti, di sesso femminile, il giusto valore, un valore che si chiama rispetto; ed è questo, a mio avviso, il nucleo centrale di un problema che si è manifestato in maniera dirompente ed eclatante; l’Europa, tutta, deve essere in grado di educare, reprimere quando necessario, ma soprattutto, formare coscienze, senza etichettare.
Non possiamo partire dal presupposto che ogni filo d’erba raccolto possa essere inserito in un fascio, non possiamo “far entrare” senza preoccuparci di essere prima capaci di accogliere e integrare, non possiamo fare tante cose senza un criterio che definisca procedure adeguate perché a farne le spese saremo sempre e solo noi, e talvolta, quegli “altri” che sconteranno una pena elevata senza essere colpevoli, solo perché qualcuno, che somiglia a loro, ha commesso un peccato prima che un reato.

Flaminia Bolzan