L’elezione di Donald Trump alla presidenza americana più che per le sue implicazioni politiche, rischia di essere ricordato per quelle economiche. Se il neo inquilino della Casa Bianca terrà fede a quanto affermato in campagna elettorale, quelli a doversi maggiormente preoccupare saranno le economie emergenti.

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Prendiamo il Messico. Trump, durante le sue arringhe, se l’è presa soprattutto con i suoi “vicini”. Dalla minaccia di costruire un muro sul confine, a quello di deportare i migranti messicani, la nuova politica dei “Gringos” è molto temuta al di là del Rio Grande. Più che la politica anti immigrazione, il Messico teme, però, la rinegoziazione dei trattati economici. Trump, infatti, sembra voler rinegoziare il NAFTA sul libero commercio. Tale accordo, in vigore dal 1994, ha portato a discompensi dal punto di vista migratorio, ma grandi vantaggi all’economia messicana, grazie all’abbattimento delle barriere commerciali. Rivederlo, significherebbe mandare al collasso l’economia messicana che ha proprio negli Stati Uniti uno dei principali partners commerciali proprio in virtù di questo accordo.  Attualmente il giro di affari con i “cugini” tra importazioni (291 miliardi di dollari) ed esportazioni (194 miliardi) sfiora i 500 miliardi.

Per un partner a rischio, un altro potrebbe tornare in auge. Trump, infatti, ha sempre espresso grande stima per Putin, con cui, al contrario, Obama aveva avuto più di uno scontro. Il possibile riavvicinamento tra Usa e Russia segnerebbe una nuova svolta nell’economia mondiale. Non a caso, appena conosciuto l’esito delle votazioni, la borsa di Mosca ha avuto un’impennata del +3.25%.

Oltre ai partner esteri, anche il prezzo delle materie prime ha risentito dell’elezione di Trump. Gli Stati Uniti, attualmente sono il quarto Paese al mondo per produzione di rame con 1.25 milioni di tonnellate. Proprio questo minerale, ha subito un’impennata in borsa subito dopo la notizia dell’elezione di Trump. Il motivo è presto spiegato. Tra le promesse elettorali del magnate vi è stata quella di investire in infrastrutture. Il rame, notoriamente metallo industriale, è tornato quindi prepotentemente alla ribalta dopo che, dal 2011, il suo prezzo aveva avuto un costante calo.

Da queste materie prime, – riporta il blog economico Eotrading -. hanno tratto beneficio negli ultimi anni di forti crescita industriale altri grandi paesi come Cina, India e Brasile, che ne hanno accresciuto il valore, in quanto la loro richiesta e il loro consumo ha continuato ad aumentare sensibilmente”. Una maggiore domanda, di fronte ad una produzione sempre più sotto pressione, è la conseguenza della crescita costante del valore di questa commodities, permetterebbe agli Stati Uniti un ulteriore guadagno sul medio-lungo periodo.

Se Trump terrà fede a quella che lui stesso ha definito la “Ricostruzione dell’America” , con lo stanziamento di 500 miliardi di dollari per le infrastrutture, allora l’era dell’approvvigionamento a basso costo volgerà al termine.

La possibile crescita crisi delle economie emergenti unito all’aumento del costo delle materie prime ha generato un altra conseguenza: un dollaro più forte. In pratica, l’elezione di Trump rischia di giovare economicamente ad un’America che negli ultimi anni aveva subito una brusca frenata, con buona pace di quei economisti catastrofisti che, invece, avevano già intonato il requiem sullo stato a stelle e strisce.

 

 

(AS)