L’economia viterbese è ancora in una situazione di stallo, in base all’indagine congiunturale delle piccole e medie imprese del Lazio del II semestre del 2013, condotta da Federlazio su un campione di 350 aziende, delle quali 46 della Tuscia. Non ci sono novità positive, quindi, in nessun settore, fatta eccezione per un miglioramento degli ordinativi interni ed una maggiore sensibilità del sistema bancario. Questi, in estrema sintesi, i risultati dell’indagine presentati questa mattina dal direttore di Federlazio Giuseppe Crea e dal presidente Rino Orsolini. “Nulla di nuovo – ha esordito Crea – in termini di ripresa per le piccole e medie imprese della nostra provincia. Siamo in una situazione di stallo e di attesa di un ancora lontano traguardo del superamento della crisi”. Andando nello specifico Crea ha sottolineato il rallentamento dell’export verso i mercati dell’Unione Europea, con inevitabili riflessi sul fatturato. Invece, qualche segnale positivo è dato dal portafoglio ordini interni rispetto a quanto registrato nella prima metà dell’anno. “Si tratta però sempre di segnali flebili – ha precisato Crea – incerti e parzialmente contraddittori, che potrebbero benissimo capovolgersi negli ultimi mesi”. Altra nota dolente l’occupazione, che sostanzialmente tiene, grazie agli ammortizzatori sociali. Ma il 2014 è ancora improntato all’incertezza ed ad una scarsa fiducia da parte degli imprenditori. Analizzando poi la demografia delle imprese, Viterbo si colloca al IV posto, seguita da Rieti e sopravanzata da Frosinone, Latina e Roma. Del resto la crisi economica ha avuto nella Tuscia pesanti riflessi sulla demografia delle imprese. Viterbo presenta difatti un tasso di crescita delle imprese dello 0,15%, di gran lunga inferiore a quello regionale (0,43%) che a quello nazionale (0,21%). Va peggio nelle imprese industriali il cui tasso di sviluppo si colloca come tra i più bassi di quelli regionali: -1,1%. Sul versante produzione, l’indagine indica una sostanziale stabilità con il 20% del campione intervistato che ha visto incrementare il livello di ordini sul mercato interno. Al contrario si pone l’andamento delle esportazioni verso i mercati dell’UE. Anche il fatturato sembra tenere, tanto che è risultato costante nel 62,5% degli intervistati. Ma la diminuzione della spinta propulsiva dell’export verso i mercati dell’Unione Europea ha dimezzato, rispetto alla precedente rilevazione i giudizi positivi in termini di aumento della fatturazione in tale contesto: scendono dal 33,3% al 16,7%, Si contrae, inoltre, la quota di imprese con livelli stabili (dal 55,6% al 50%) e triplica (dall’11% al 33,3%) la percentuale di giudizi sulla perdita di fatturato in area UE. Il direttore Crea ha, quindi, concluso con una citazione del direttore generale del Fondo Monetario Internazionale, secondo la quale “Fino a che gli effetti sul lavoro non saranno invertiti, non possiamo dire che la crisi è finita”. In ultimo, non certo per importanza, l’ analisi della cassa integrazione, con un decremento sia di quella guadagni (dal 32% della prima metà dell’anno al 22%) che ordinaria, che ha registrato un calo del -51,2%, un dato rilevante se confrontato con quello regionale (-13,4%) che nazionale (-25,5%). Il tutto è spiegabile, come ha precisato Crea, dal fatto che le aziende abbiano esaurito le ore di cassa integrazione ordinaria e straordinaria per i limiti temporali fissati dalla normativa vigente e per i perduranti problemi di copertura della cassa integrazione in deroga. A differenza di Cigo e Cigs – ha spiegato Crea – che sono finanziate attraverso un’assicurazione obbligatoria presso l’Inps, la cassa integrazione in deroga è sostenuta da risorse stanziate di anno in anno nella legge di stabilità e da quanto assegnato alle regioni nel corso dell’anno, che sono risultate di gran lunga insufficienti. Basti pensare – ha proseguito Crea – che le ore richieste dalle aziende per il bimestre novembre- dicembre risultano ancora inevase e di incerta copertura”. Secondo l’indagine, infine, le problematiche che hanno maggiormente influenzato l’andamento delle aziende nella seconda metà del 2013 riguardano il ritardo dei pagamenti da parte dei clienti privati, l’insufficienza della domanda, il ritardo dei pagamenti della P.A., la mancata concessione o erogazione del credito bancario e l’impossibilità a partecipare agli appalti. Riguardo, invece, la minore competitività delle aziende italiane rispetto a quelle estere, gli intervistati hanno messo come causa al 49% la pressione fiscale e la complessità normativa e burocratica. “Questa analisi – ha commentato Orsolini alla sua ultima congiunturale, visto che il 22 maggio cederà il posto ad un nuovo presidente – la definirei la situazione stabile della crisi. Anzi non la chiamerei più crisi perché da settembre 2008 è diventata uno status quo. Con questo dobbiamo convivere, ma anche risollevarci. Noi imprenditori siamo pronti a ripartire se il Governo ci aiuta”.
Wanda Cherubini

