Che l’operazione Mare Nostrum non possa continuare, così com’è, all’infinito, usurando i mezzi e gli equipaggi della Marina, e le residue risorse assegnate, tutti indistintamente sono d’accordo; che si debbano trovare soluzioni più idonee e accettabili, e soprattutto condivise a livello europeo, per affrontare il fenomeno epocale della migrazione verso il nostro mezzogiorno, non è quindi ulteriormente rinviabile. L’attività infernale senza sosta che costringe la Marina e i suoi equipaggi a ricercare, soccorrere e assistere i migranti, senza poter discriminare chi ha il diritto all’asilo quale profugo, dagli altri, è fuori da ogni logica e da ogni buon senso. Solo chi svolge, H-24, quel tipo di attività in mare nella ricerca e soccorso di quei poveracci, è conscio dei notevoli rischi, dei sacrifici e delle difficoltà cui i migranti e gli stessi soccorritori, vanno incontro a ogni evento di scoperta di quelle carrette umane stracariche di disperati. E’ un inferno dove, al posto del fuoco c’è l’acqua non sempre amica; un inferno di proporzioni enormi, in cui primeggia -fra gli equipaggi della nostra Marina- il profondo senso del dovere, lo spirito di servizio e di autentica umanità e solidarietà, nell’assistenza dei migranti, destinati altrimenti con elevata probabilità a naufragare in quella nefasta rotta che va dalla Libia a Lampedusa. Forse un imbarco prolungato e non una semplice visita “cerimoniosa” di qualche politico nostrano e dell’UE, potrebbe far comprendere davvero quel dramma, vissuto oggi, soltanto dagli attori sul campo, e assai di meno da chi sta a Roma o a Bruxelles. Ammirevole è certamente la Marina, l’unica a vivere davvero quei momenti nel Canale di Sicilia; non soltanto è “sola” nella difficile fase della ricerca, soccorso e assistenza, ma spesso è soggetta ad attacchi strumentali e pretestuosi da parte di demagoghi che di mare non capiscono un bel nulla, ma in quanto a critiche e delazioni sono docenti in questo malandato Paese.
Stando seduti comodi in poltrona si può disquisire su tutto; difficile rendersi conto di tanti bimbi salvati per i capelli, e delle inumane condizioni delle donne in cinta, e di tutti quei poveretti, né della fila di cadaveri avvolti con pietà nei sacchetti neri, allineati sui ponti di volo delle Unità navali. Salvare i naufraghi, dovunque e comunque, è un preciso e indiscutibile dovere, che la Marina sa perfettamente e fa con estrema dignità, in silenzio come da tradizione, e con la professionalità di sempre, ma anche con rischi e sacrifici considerevoli; certo è che doverseli andare a cercare nell’immenso Mare Nostrum è qualcosa di ben diverso del “sacro dovere” di difendere i confini marittimi del nostro Paese! Ciò risponde tuttavia a precise direttive governative, e a un senso umanitario e caritatevole ovvio, che riflettono non tanto, come principio, la risposta di uno Stato laico a un fenomeno globale, ma piuttosto le “tesi celesti” dell’oltreTevere. La carità e la solidarietà sono alti valori “celesti e umani” importantissimi, ma non possono condizionare i compiti istituzionali di un Paese e i ruoli “terreni” delle proprie Forze Armate, addestrate, e nate non per svolgere quei compiti, se non per limitati interventi di reale emergenza. Là siamo di fronte ad un vero e proprio traffico di vite umane, come quello degli schiavi, perpetrato da mercanti scafisti, in totale disconoscimento della dignità umana e delle leggi, che devono invece essere prioritarie -per un governo laico- rispetto a quelli caritatevoli.
Anche l’UE non è d’aiuto; invoca a ogni piè sospinto la solidarietà e la creazione di uno “spazio europeo comunitario”, salvo poi fare retromarcia quando si tratta di condividere la problematica immigratoria nei suoi diversi “pesi” (contributo di navi, suddivisione dei costi, distribuzione bilanciata fra i vari Paesi, ecc). Allora la solidarietà e la celestialità vanno a farsi benedire e subentra la sordità totale a ogni legittima richiesta nazionale: sono solo “affari degli italiani” è la risposta dell’UE. Altro che spazio comune fondato sulla Sicurezza, sulla Fratellanza stretta, sul senso comune della Solidarietà, sul rispetto dei Diritti umani fondamentali; valori altisonanti quando teorizzati nelle stanze di Bruxelles, che però s’infrangono sistematicamente sulle spiagge del Sud Italia. Se la problematica immigratoria, che afferisce i diritti dell’autodeterminazione dei popoli, è così trascurata, cosa ci si potrà mai aspettare dalla “solidarietà” UE, nei riguardi dei cd. diritti nuovi ed emergenti, quali l’eco-ambiente, l’energia, l’acqua, la sicurezza in genere, le calamità e perfino i nuovi conflitti armati, qualora uno Stato membro si venisse a trovare in difficoltà?
Deve ( o dovrebbe) scattare la solidarietà degli altri Stati meno colpiti da quei fenomeni per aiutare gli altri, accollandosi da buoni “fratelli” parte dei problemi che affliggono un singolo Stato. Invece la realtà è ben diversa e gli altri Stati se ne guardano bene dal “condividere”; sembra infatti prevalere, se non proprio lo spirito del deprecabile adagio “Fratelli- Coltelli, cugini-assassini…”, un palese menefreghismo su tutto il fronte con forme di ipocrisia non troppo velate: arrangiatevi, visto che si tratta di un’arte in cui l’Italia primeggia da sempre. Il disinteresse della comunità europea, per ciò che avviene, drammaticamente e quotidianamente, nel Canale di Sicilia, è davvero paradossale a dimostrazione di uno scetticismo o comunque di un approccio ponzio-pilatesco nel (non) voler affrontare i problemi veri e comuni, pur a fronte di quanto ratificato con il Trattato di Lisbona e, quindi della misconosciuta, approvata (2010), Costituzione europea. I Paesi dell’UE vanno in ordine sparso su tutti i fronti, attenti soltanto ai propri interessi nazionali; l’importante per quel nugolo di onorevoli –oltre 750, di cui 73 nostrani- che siedono comodi fra Bruxelles e Strasburgo, è la salvaguardia della poltrona foderata di lauti -quanto incomprensibili, a fronte della nullità dei risultati- compensi.
Il fenomeno migratorio di profughi o clandestini, è solo un problema locale, italiano, di ( in)competenza nel controllo delle frontiere marittime che l’Italia evidentemente non fa o non è in grado di fare: affari suoi! Un’UE distaccata, dormiente e ipocrita, ma sempre attenta e pronta a scagliare strali, ammende o sanzioni contro il nostro Paese, basta che qualcosa non torna anche nelle azioni condotte nei mari del Sud. E, purtroppo non è la sola, perché spesso siamo bravi a metterci del nostro; vedasi, ad esempio, con quale veemenza quel fantomatico Partito dei militari, rappresentante forse di se stesso e di alcuni acrimoniosi, attacca con sistematicità la Marina, comprese le operazioni SAR nelle acque libiche o tunisine. Di recente, con un’ennesima vacua interpellanza ai ministri competenti, afferma e chiede “ ..le unità navali italiane impegnate nelle operazioni di soccorso, si sono spinte anche fino a 6 miglia dalle coste africane o acque maltesi, per dare aiuto alle imbarcazioni cariche di migranti, e poi questi sono stati trasportati nei porti italiani..” … ” quante volte è capitato”..e”…perché non li hanno trasferiti in uno dei porti di quegli stati..” e ancora “.. bisogna evitare che eventuali violazioni del diritto internazionale? ..si trasformino in un incentivo per le organizzazioni criminali..” : non si comprende lo stato mentale dell’istante; se c’è o ci fa! Basterebbe un po’ di buon senso per capire che le navi, siano esse militari o mercantili, hanno il dovere sacrosanto, indiscutibile e penalmente rilevante, laddove si trovino in presenza di imbarcazioni in evidente difficoltà o in emergenza, di prestare soccorso a prescindere che i naufraghi si trovino su una virtuale linea, entro o fuori il limite delle acque territoriali.
Ciò detto non si può dare ascolto a discorsi del “bar sport”; forse non è nota l’esistenza, oltre le acque territoriali, (che peraltro non risultano mai essere state “infrante”), della suddivisione di tutto il mare in ben diverse aree SAR, ove sussiste l’obbligo per i Paesi di competenza, di garantire il soccorso e l’assistenza a equipaggi di navi o aerei oggetto di incidenti in tali aree. Obbligo che sussiste, in teoria, per quelle aree di competenza della Libia, ma anche di Malta che, di fatto, non lo rispettano, vuoi per la ben nota situazione libica, vuoi per mancanza di mezzi maltesi (dispongono di una unità minore e di un aereo da diporto…), ma anche per la atavica scarsa volontà della Valletta di accollarsi ondate di migranti che farebbero stallare quel minuscolo stato (in compenso i maltesi non intendono ridurre la loro abnorme area SAR che interessa sempre la rotta Libia-Lampedusa, perché i compensi comunitari sono proporzionali all’estensione dell’area…). Di più; è capitato che in alcuni casi, anni addietro, dopo aver soccorso i migranti nelle acque limitrofe alla Libia, le navi hanno tentato, invertendo la rotta, di riportarli in costa libica: tutti i migranti si sono gettati a mare, preferendo morire piuttosto che tornare in Libia, ricreando così condizioni di soccorso ancora più critiche!
Che fare, allora? Seguire il suggerimento bizzarro di quei soloni, di riportarli al punto di partenza? Mah!!
A prescindere comunque da tali aspetti, assai importanti, e tuttora irrisolti, quando si avvista una nave che sta per affondare con un carico umano di donne, bambini e altre centinaia di persone stipate a bordo, non si va a misurare a quale distanza si trova dalla costa, o se la zona SAR compete ad altri, ma si presta soccorso: punto! E, ciò, magari con un tempestivo coordinamento di tutti i mezzi che sono presenti o nelle vicinanze dell’evento, ma senza invocare altri regolamenti, procedure, norme magari in contrasto: la salvaguardia della vita umana in mare non conosce limiti geografici, o di altra natura, né può essere messa in secondo piano rispetto a regolamenti o pretesti da azzeccagarbugli. Eppure non dovrebbe essere così difficile immedesimarsi in chi sta affogando, magari senza saper nuotare, per rendersi conto dei drammi che quei poveracci vivono e, quindi, dell’irrilevanza ma anche dell’irriverenza di alcuni “poltronieri” che ora chiedono lumi ai Ministri competenti: la speranza è che tali istanze, strumentali e pretestuose, siano “cestinate”, senza neppure leggerle!
Nella sostanza, invece, bisogna sollecitare il nostro Governo a battersi sui tavoli europei, ora con l’occasione del semestre italiano, su alcuni punti importanti; in primis per una revisione più che legittima delle zone di competenza SAR dei vari Paesi, rapportate non alle ambizioni nazionali, ma in funzione delle capacità di soccorso esprimibili. Inoltre, per quanto attiene la Frontex, che è a livello di ectoplasma in termini di contributo delle altre Marine europee, richiedere formalmente la cooperazione e la solidarietà degli altri partners dell’UE, sia con assetti navali adeguati e/o con contributi finanziari per supportare le spese di chi sta per mare e di quelli correlati all’accoglienza in genere; da ultimo va anche concertata una distribuzione equilibrata dei migranti nei vari Paesi dell’Unione in rapporto alle dimensioni e capacità di ogni Stato, e senza fare “i furbetti”, ma evitando che quei poveracci- per sopravvivere- cadano nelle mani delle organizzazioni criminali.
Si dovrà prendere coscienza che le frontiere europee, sul fronte marittimo, non sono solo italiane ma comunitarie, e che l’operazione Mare Nostrum ha salvato quasi 50000 migranti con la consegna all’autorità giudiziaria di oltre 215 trafficanti di esseri umani che altrimenti avrebbero continuato a delinquere sulle spalle di tutta la comunità e in particolare sulla pelle di quei poveracci in attesa di partire dalle coste libiche. Il nostro Governo, ora, deve pretendere una politica comunitaria immigratoria condivisa, ma anche a tendere a rendere più stabile in particolare la Libia, con accordi seri e partnership leali e trasparenti con i vari Stati della costa nordafricana. Un’onesta rivisitazione del reato di clandestinità meno demagogica, almeno sotto il profilo penale, andrebbe riproposta poiché il combinato disposto con la “raccoglienza” di tutti quelli che compaiono nell’orizzonte Mediterraneo, ha ulteriormente invitato i migranti a imbarcarsi sulla più sicura rotta per Lampedusa: su questo non ci sono dubbi. Da quando c’è Mare Nostrum il flusso è aumentato dell’800 per cento! Bisogna tornare, pertanto, a politiche che non siano falsamente “celesti”, ma improntate al pragmatismo laico che si addice a uno Stato di diritto, democratico e liberale, che tuteli prima di tutto i “suoi” cittadini, e poi, eventualmente gli altri, ma non il viceversa, e con costi sociali a totale carico di questa nostra Nazione sempre più in braghe di tela. E, infine, stabilendo accordi operativi con la Libia e la Tunisia in particolare, esclusivamente fra Marine, in modo che i migranti siano controllati e monitorizzati nei porti di partenza o comunque nelle loro acque territoriali con l’aiuto della locale Guardia costiera, magari con l’apporto serio di una Frontex, per filtrare chi è nel pieno diritto, come i profughi, dal resto che diritto non ha; ciò per evitare anche lo scellerato ma redditizio business degli scafisti. Si tratterebbe di porre in atto lo stesso impianto organizzativo già sperimentato con successo per circa un decennio, in occasione dell’esodo-migrazione dall’Albania degli anni 90, quando fu costituito un Comando-Ente navale misto, il Comgrupnav 28, fra le due Marine italo-albanese, di stanza a Durazzo che, come noto, ha consentito di fronteggiare, e quindi annullare, quella massiccia migrazione verso il nostro Paese.
Se tale modulo è risultato vincente nel passato, perché non tentare di adottarlo oggi, contestualizzandolo nel teatro magrebino, di concerto con le Nazioni interessate? Forse ne varrebbe sicuramente la pena, soprattutto se l’UE continuerà a fare come le “tre scimmiette” che non vedono, non favellano, ma soprattutto sono sorde a ogni richiamo!
Giuseppe Lertora