Il fatto che nel mare del sud-est asiatico, un’area che copre una dozzina di Paesi, sono in crescita le azioni piratesche condotte dalle gang del mare, soprattutto malesi e indonesiani, ha conseguenzialmente portato ad un allargamento della ‘High Risk Area’. Come pericolosità e rischio, a causa della presenza di pirati, all’ormai tristemente nota area del bacino somalo e parte dell’Oceano Indiano sono stata aggiunte oltre le acque del Golfo di Guinea ora anche quelle dello stretto di Malacca e mar cinese meridionale. Nel primo semestre del 2014 nel mar sud-est asiatico ci sono stati numerosi attacchi pirati a navi commerciali, mercantili e petroliere, una dozzina dei quali sono andati a buon fine. Il picco però, si registra dal mese di aprile ad oggi. Nel solo mese di aprile sono stati dirottate almeno 6 navi. Lo scopo è stato sempre quello di derubare le navi del loro carico. Obiettivo primario dei pirati sono state soprattutto le petroliere allo scopo di derubarle del loro carico di gasolio da rivendere poi, al mercato nero. La notizia dell’ultima ora è che si sono persi i contatti con il rimorchiatore d’altura ‘Manyplus 12’ con al traino la chiatta ‘Hub 18’ con un carico di 138 container. Partito dal porto di Sibu, provincia di Sarawak nella Malesia orientale, il rimorchiatore, battente bandiera Malese e di proprietà della società armatrice HIGHLINE TRASPORTO SDN BHD, Sarawak, non è mai giunto al porto di destinazione. Era infatti, atteso per il 13 giugno scorso a Port Klang nella penisola malese. A bordo un equipaggio di 11 marittimi di diversa nazionalità, indiani, malesi e del Myanmar, L’ultimo contatto tra armatore e comandante nave è avvenuto il 9 giugno scorso quando la barca si trovava ad ovest di Tanjung Datu, provincia di Sarawak nel Borneo. Con molta probabilità il rimorchiatore e il suo carico sono caduti nelle mani dei pirati malesi che con sempre più frequenza attaccano le navi nel Mar Cinese meridionale. Lo scopo di queste gang del mare è di trattenere la nave abbordata e catturata trattenendola giusto il tempo di depredarla del suo carico. Si tratta quindi di fenomeno di pirateria marittima a scopo di rapina. Se la perdita dei contatti con il rimorchiatore ‘Manyplus 12’ verrà confermata come episodio collegato al fenomeno significherà che nel mese di giugno i predoni del mare malesi sono stati molto attivi. Appena pochi giorni fa, il 14 giugno scorso era stata catturata a sud di Pulau Aur Island nel mar cinese meridionale un’altra nave, la ‘MT Ai Maru’. La nave, battente bandiera dell’Honduras e di proprietà della società armatrice CANTER SINGAPORE PTE LTD., trasportava gasolio. La petroliera è stata attaccata da tre skiff pirati. Un’unità navale da guerra della Marina Militare malese ha poi, ritrovato la nave abbandonata dai pirati, dopo averla depredata del suo carico, all’ancora al largo di Pulau Aur Island. Il carico era scomparso mentre l’equipaggio composto da 14 marittimi, il capitano indonesiano e 13 thailandesi, era salvo. Il 7 giugno scorso era invece, toccato alla nave ‘Budi Mesra Dua’ battente bandiera Malese e di proprietà della società armatrice GLOBAL TS SDN BHD. Il cargo in navigazione verso Singapore è stato abbordato e catturato dai pirati al largo di Bintulu Island nella provincia di Sarawak in Malesia. Il cargo trasportava gasolio. Il dirottamento è durato solo 10 ore. Tanto è bastato per la gang del mare che se ne era impadronita per trasbordare il suo carico di gasolio su un’altra nave. L’incolumità dei 22 marittimi membri dell’equipaggio è stata per fortuna garantita. Come è accaduto in Somalia nel 2009 anche nel mar cinese meridionale la recrudescenza del fenomeno spingendo gli armatori a chiedere di potersi difendere dagli attacchi pirati dotando di armi gli equipaggi delle loro navi commerciali. E’ risaputo che i marittimi membri degli equipaggi sono dei lavoratori e non dei militari. Per cui sono privi di addestramento o altre capacità idonee a renderli autosufficienti nel difendersi dagli attacchi dei pirati malesi che invece, sono determinati e privi di scrupoli. Pertanto, come in Somalia, anche in questo caso, dotare di armi i marittimi oltre ad essere vietato dalle legislazioni di molti dei Paesi interessati è anche un rischio per gli stessi marittimi. Questo, in quanto i pirati sarebbero ancor di più sollecitati ad attaccare le navi commerciali sapendo anche di trovarvi delle armi. Come è accaduto in Somalia l’unica strada da seguire per la difesa armata delle navi commerciali nelle aree a rischio pirateria è quella del ricorso a società di sicurezza private. Purtroppo anche questa opzione è vincolata alle decisioni dei Paesi interessati dal fenomeno. Molti di questi Paesi vietano, quando la nave è nelle loro acque, le guardie armate a bordo delle navi mercantili. Un divieto che è totale o parziale. Nel secondo caso permettono il ricorso solo a team di sicurezza privata nazionale, è il caso della Nigeria nel Golfo di Guinea. Altri Paesi invece, si mostrano molto attenti al problema scatenato dal fenomeno e cercano in qualche modo di rendere sicure almeno le loro acque territoriali approntando pattugliamenti con navi da guerra.
Ferdinando Pelliccia