Map_of_the_Strait_of_Malacca

Come spesso accade nel Mar del Sud Est asiatico solo dopo il rilascio di una nave piratata si viene a conoscenza del suo sequestro. In queste ore è stato confermato il rilascio, da parte dei pirati malesi, della petroliera Moresby 9. I contatti con la nave si erano interrotti lo scorso 4 luglio. Il timore che fosse stata sequestrata dai pirati malesi si è concretizzato stamani quando la petroliera battente bandiera dell’Honduras è di proprietà della società CANTER SINGAPORE PTE LTD ha ricontattato l’Armatore. Sembra che la nave sia stata attaccata e catturata, come spesso è capitato i altri casi, nei pressi dell’arcipelago di Anambas nel Mar Cinese Meridionale. Certamente la nave è stata presa di mira dai predoni del mare perché trasportava un carico di carburante marittimo, 2.200 tonnellate. Quello della Moresby 9 è l’ultimo, ma solo in ordine di cronologico, di una serie di attacchi pirati messi a segno nel mar del Sud Est asiatico dal mese di marzo ad oggi. E’ questo il periodo stagionale più favorevole al fenomeno in quanto il periodo dal mese di marzo a quello di ottobre corrisponde alla stagione secca. A favorire inoltre, l’azione dei banditi del mare è la loro capacità di acquisire facilmente info sulle navi in modo da conoscere rotta e carico in anticipo. Nel loro mirino soprattutto le petroliere e il loro prezioso carico di prodotti petroliferi lavorati. L’arrembaggio e la cattura di una petroliera è conosciuto come Petropirateria. Si tratta di un fenomeno che si sta molto diffondendo in quella parte del mondo e segue a ruota quello del Golfo di Guinea. Questo tipo di pirateria marittima riguarda nello specifico assalti pirati condotti esclusivamente contro petroliere per catturarle e rubarne il carico. Lo scopo dei predoni del mare e infatti, quello di impadronirsi del gasolio o benzina che trasportano queste navi nelle loro stive per poi, rivenderlo al mercato nero molto florido nell’area. Durante quest’operazione i marittimi membri degli equipaggi delle navi vedono cambiare il loro status in ostaggi dei pirati. Per loro la prigionia è un vero infermo. Tutto questo si sta dimostrando una vera e propria minaccia alla libera navigazione in queste acque infestate dai pirati malesi e indonesiani.  Nello stesso tratto di mare la scorsa settimana è stata ritrovata alla deriva e senza equipaggio la petroliera Galuh Pusaka. La nave era scomparsa insieme ai 12 membri dell’equipaggio dal 24 settembre del 2010. Con molta probabilità la petroliera è stata abbandonata per una grave avaria al motore. E’ opinione comune che per tutto questo tempo, la Galuh Pusaka è stata utilizzata dai predoni del mare come mezzo per trasbordarvi e trasportare in un luogo sicuro il carico rubato dalle stive delle varie petroliere man mano che sono state catturate. Questo è un altra significativa dimostrazione del cambiamento del ‘modus operandi’ dei predoni del mare del Sud Est asiatico. In passato queste gang del mare erano solo interessate a derubare dei loro averi i marittimi membri dell’equipaggio della navi catturate e a ‘spogliare’ le navi stesse. Per portare a compimento l’azione bastava solo una piccola imbarcazione su cui trasbordare il bottino. Questo, è evidente, non è più compatibile con l’evoluzione del fenomeno. A preoccupare non è però, tanto questa evoluzione, ma la possibilità, non remota, che dall’azione dei pirati possa nascere un incidente che dia luogo ad una catastrofe ambientale e, nelle peggiori delle ipotesi, bloccare addirittura il passaggio attraverso lo stretto di Malacca se una petroliera dovesse affondarvi. La larghezza dello stretto è infatti, non regolare e raggiunge in certi punti al massimo 65 km di larghezza e una profondità massima di 120 piedi. Un fatto questo che non consente alle grosse e goffe petroliere di percorrerlo ad una velocità superiore ai 15 nodi (30km/h). Ogni anno attraverso questo stretto passaggio vi transitano oltre 50mila navi commerciali. Il non poterlo più fare sarebbe un disastro senza precedenti anche perché vi transitano la maggior parte di prodotti petroliferi diretti in Occidente. Purtroppo, finora per quanto riguarda il contrasto al fenomeno è stato fatto molto poco da parte dei Paesi costieri regionali. Una delle cause di questo ritardo è la negazione di molti Paesi costieri a consentire pattugliamenti di navi straniere nelle proprie acque territoriali. Per ora, da qualche anno, si registrano sporadici interventi in chiave anti pirateria solo da parte delle Marine Militari di Indonesia, Malesia e Singapore. Interventi però, che sono limitati dalla scarsa preparazione degli equipaggi delle unità navali e dalla scarsa operatività degli stessi mezzi navali.

Ferdinando Pelliccia