Con il ritorno in libertà, avvenuto ieri, di  Bruno Pelizzari e Deborah Calitz si chiude, almeno per ora, un triste capitolo  legato al fenomeno della Pirateria marittima nel mare al largo del Corno D’Africa  e Oceano Indiano.

I due erano gli ultimi velisti-turisti ancora  trattenuti in ostaggio in Somalia.

Questo capitolo infatti, contempla la cattura  e il sequestro a scopo estorsivo di piccole barche a vela. Yacht che per loro  sfortuna si imbattono in mare nei pirati somali che scorrazzano in lungo e in  largo nell’Oceano Indiano alla caccia di una nave da catturare e poi,  trattenere per chiedere in cambio del suo rilascio un riscatto milionario.

In genere i predoni del mare si dedicano alla  cattura di grosse navi commerciali che rendono di più, anche 10 mln di dollari.

Quando però, una ‘caccia’ si rivela  infruttuosa se gli capita a portata di mano uno Yacht o una barca da pesca essi  la catturano comunque. Questo perchè  almeno chiedendone un riscatto o rivendendo i  prigionieri riescono a recuperare i soldi investiti nell’attività piratesca.

I velisti catturati sono tenuti come bestie  in gabbia alla stregua delle tante altre centinaia di lavoratori del mare, marittimi  membri degli equipaggi di mercantili catturati dai predoni del mare  somali.

Di questi ostaggi però, sembra che se ne  parli poco forse perché fanno meno ‘rumore’ degli altri, ma non sono meno  importanti.

Diventano però, tali quando poi, i governi o  chi per essi, vogliono sbandierare al mondo e all’opinione pubblica nazionale  il loro rilascio come un ‘successo’ della propria diplomazia.

Mentre in realtà in molti dei casi questi  turisti velisti sono lasciati a loro destino e possono solo sperare nell’aiuto  dei loro familiari e amici che si impegnano anima e corpo in una raccolta di  fondi per sostenere il pagamento del riscatto chiesto dalla gang del mare che  li ha catturati.

Moltissimi governi compreso l’Italia infatti,  spiegano sempre il rilascio degli ostaggi e delle navi catturate come il  risultato di un faticoso e lungo lavoro di mediazione condotto dalla loro  diplomazia.

Nessun governo, tranne alcuni casi come  quello della Spagna, ha mai affermato che sia stato pagato un riscatto per  riottenere indietro gli ostaggi.

E’ questa una linea adottata in linea di  principio da quasi tutti i Paesi, ossia almeno ufficialmente nessuna trattativa  con i sequestratori che conduca al pagamento di un riscatto. Poi, in realtà  quasi sempre si finisce con il pagare.

A pagare o è l’armatore della nave o il  governo di bandiera della nave o del Paese da cui provengo la maggioranza dei  membri dell’equipaggio.

Il discorso si complica quanto gli ostaggi sono  di fatto ‘marinai da crociera’.

Gente che appassionati del mare e della  navigazione a vela si lanciano in sfide in  solitario con una barca a vela come quella di  fare il giro del mondo.

Un’avventura la loro che può durare anche  degli anni e che a volte li porta a dover sacrificare ogni loro avere pur di  soddisfare questo loro amore per il mare e l’avventura.

Le loro imbarcazioni però, sono sempre più spesso  arrembate e catturate dai pirati somali.

Una possibilità aumentata specie da quando i  mercantili sono difesi da team di sicurezza armati a bordo.

Quale preda più facile, per i predoni del  mare, quella di due o più ‘marinai da crociera’ che viaggiano da soli in mare indifesi  e senza alcuna possibilità di sfuggire al loro attacco.

Non si tratta di casi isolati.

Tanti gli Yacht che nel corso degli ultimi  tre anni sono caduti nelle mani dei pirati somali insieme ai loro occupanti.

Le persone coinvolte nel sequestro, come si è  visto nel caso di Bruno e Debbie, anche se hanno ‘sofferto’ per  la lunga prigionia, sono poi, ritornate a casa  sane e salve, anche se fortemente segnate dall’esperienza. In alcuni casi però,  alcuni sono morti uccisi nel corso dell’attacco pirata o quando è stato tentato  un blitz militare per liberarli.

In genere questi ‘marinai da crociera’ sono  rappresentati da persone legate da amicizia, dal matrimonio o semplicemente perché  condividono la stessa passione e anche non conoscendosi si uniscono lanciandosi  insieme nella stessa avventura.

La vicenda di Pelizzari e della Calitz  riporta alla mente un altro recente sequestro quello di una coppia di turisti  inglesi.

Si tratta dei coniugi inglese Paul e Rachel  Chandler catturati mentre erano a bordo del loro veliero il ‘Lynn Rival’ il 23  ottobre del 2009 e rilasciati il 15 novembre del 2010.

Un sequestro durato 11 mesi che, suo  malgrado, quello di Pelizzari ha eguagliato e superato abbondantemente strappandogli  il triste primato del sequestro di turisti durato più a lungo di tutti nella  storia della pirateria marittima somala.

Più o meno le due vicende si eguagliano anche  perché il modo di operare dei predoni del mare in linea generale è sempre il  medesimo.

I coniugi Chandler come la coppia  Pelizzari-Calitz vennero catturati in pieno Oceano Indiano e condotti in  Somalia per poi, essere sbarcati sulla terraferma dove ne hanno viste di tutti  i colori soprattutto dopo che ‘passarono’ di mano.

Allo scopo di un rapido realizzo in genere i  pirati somali ‘vendono’ questo tipo di prigioniero.

Una volta a terra i ‘marinai da crociera,  possono infatti essere venduti ad un’altra gang del mare o peggio a banditi  comuni.

In genere avviene uno scambio o in denaro o  in armi e viveri a secondo della necessità della gang.

Nel caso dei Chandler però, essendo degli  europei, quindi considerati merce preziosa e fruttuosa dai pirati somali, il  fatto che siano passati di mano è dipeso che forse a catturarli non siano stati  dei pirati, ma dei banditi comuni anche perché hanno abbandonato in mare,  lasciandola alla deriva, il veliero della coppia.

I predoni del mare non l’avrebbero fatto in  quanto per loro le barche sono un bene prezioso. Le riutilizzano per i loro  scopi criminali.

Per Pelizzari-Calitz invece, la vendita è  stata dettata dalla necessità di realizzare subito.

Una volta a terra per  mesi gli ostaggi vengono spostati di continuo da  un nascondiglio ad un altro per evitare di essere individuati.

In questo periodo i malcapitati subiscono privazioni  e maltrattamenti di ogni genere.

A volte si può avere sfortuna nella sfortuna  e ammalarsi. In questo caso la sofferenza raddoppia in quanto l’ostaggio è  privato anche di cure mediche.

I loro carcerieri sono degli animali senza  cuore che rendono la loro prigionia un vero e proprio inferno.

In genere la prigionia, come in tutti i casi  legati al fenomeno della pirateria marittima, avviene  solo dietro al pagamento di un riscatto.

In genere per i turisti velisti non viene mai  chiesto più di 400mila-500mila dollari a testa.

Questo è il loro valore di mercato per dirla  in maniera cruda.

Dopo il rilascio l’attenzione di tutti sugli  ostaggi tornati a casa si limita ad un arco di tempo di alcuni giorni. In questo  periodo questi ‘rinati’, perché tali si considerano queste persone una volta  tornate libere,  raccontano delle  sofferenze patite e del duro trattamento che hanno subito.  Dopo però, cercano solo di dimenticare e  tornare alla vita.

Una possibilità questa, rilevatasi sempre difficile  in quanto i fantasmi della prigionia tornano sempre a tormentarli.

Segno tangibile questo di come cadere nelle  mani delle gang del mare somale segna in maniera indelebile l’animo,  la mente e il corpo degli ostaggi.

Le loro figure umane si mostrano, dopo la  prigionia, completamente trasformate, praticamente irriconoscibili.

Un esempio del fatto che i pirati somali non  sempre ‘vendono’ i loro prigionieri è quello di una famiglia danese di  Copenaghen.

I coniugi Jan e Marie Johansen, e i loro tre  figli Rune, Hjalte e Naja, rispettivamente di 17, 15 e 13 anni.

I cinque viaggiavano a bordo dello Yacht, S/Y  ING, battente bandiera danese e stavano compiendo il giro del mondo in barca a  vela insieme ad altri due danesi quando in pieno Oceano Indiano vennero  attaccati dai pirati somali.

Dirottati in Somalia i sette danesi non  passarono di mano.

A influenzare la scelta dei predoni del mare  appunto il fatto che  le loro ‘prede’ erano  cittadini europei e quindi preziosi e  fruttuosi.  Tanto è vero che per il loro  rilascio la gang del mare che li tratteneva in ostaggio chiese 7 mln di dollari   per poi, alla fine accontentarsi di 3,5 mln di dollari. Appunto 500mila dollari  a testa.

La loro disavventura è durata poco più di sei  mesi. Ed è trascorsa in parte a terra e in parte a bordo della MV DOVER. Uno  dei tanti mercantili catturati e dirottati e poi, trattenuto alla fonda al  largo della costa somala. Un fatto questo, che è stato un giovamento per loro  facendo sentire di meno il ‘peso e gli effetti’ della prigionia.

I Johansen, come tutti gli altri ‘velisti  turisti’, avevano investito ogni loro avere nel viaggio in barca a vela che stavano  compiendo.

Come si può notare il fattore comune a  tutti i casi è la passione per il mare che  porta a  investire tutto e anche a  sfidare la sorte attraversando il ‘mare dei pirati’.

Se si cade però, in mano ai pirati somali l’avventura  si trasforma in disavventura che si sia uomo, donna o bambino.

Per i predoni del mare gli ostaggi non hanno  sesso.  Lo dimostrano i tanti casi  susseguitisi nel corso degli ultimi 4 anni.

I pirati somali hanno catturato e trattenuto in  ostaggio, in attesa del pagamento di un riscatto per il loro rilascio, alla  stregua degli uomini anche donne e bambini.

Addirittura tra le loro fila militano anche  dei minori da definirsi bambini-pirati al pari dei bambini-soldati. Bruno  Pelizzari venne infatti, attaccato e catturato da una gang del mare composta  anche  da pirati che dimostravano di  avere 15 e 17 anni.

Ferdinando Pelliccia