La situazione al largo della Somalia, negli ultimi anni, si è fatta talmente preoccupante da costringere le Autorità internazionali a imporre alle navi il divieto di rotta entro le settanta miglia nautiche dalla costa.
Nel mare del Corno d`Africa come al tempo della guerra civile in Somalia, quando la Flotta Usa scortava le navi dell’Onu che erano impegnate nel portare aiuti umanitari alla popolazione somala, oggi altre navi da guerra sotto l`egida NATO o Ue o dei loro Paesi sono obbligate a scortare le navi mercantili che transitano in quello stesso mare. A minacciare la navigazione di pacifiche navi sono, come allora, predoni del mare che impazzano impunemente in lungo e in largo nell`Oceano Indiano, Golfo di Aden e fino al largo dell`Arcipelago delle Seychelles spingendosi sempre più a nord a centinaia di miglia dalle coste somale.
I pirati hanno reso molto problematica la rotta più breve tra Oriente e Occidente. Una rotta che entrando nel Golfo di Aden, risalendo il Mar Rosso, passando per lo stretto di Suez, entrando nel Mediterraneo e poi attraversando lo stretto di Gibilterra entra nell`Atlantico e via fino all’America. In alternativa c`è anche un`altra rotta quella di Vasco de Gama, scoperta nel 1498. Una rotta che permette di raggiungere l`Atlantico ma circumnavigando l’Africa e impiegandoci tra i 15 e i 20 giorni in più. Dopo l`apertura del canale di Suez, nel 1869, praticamente nessuno l`ha più seguita. Riprendere questa rotta comporterebbe oltre un grosso aggravvio di spese anche un salto indietro di circa due secoli. Però sono già molte le compagnia marittime mercantili che stanno valutando o hanno iniziato a compiere alcuni viaggi seguendo la rotta di Vasco de Gama.
Una di queste è la danese `Moeller Maersk` seguita a ruota dalla norvegese `Odfjell`. Gruppo a cui poi si è accodata la `Frontline Shipping` che di fatto è la più grande compagnia al mondo per il trasporto del greggio.
Uno dei fattori negativi di questa scelta è l`aumento dei costi di trasporto, si stima tra i 500 e i 700mila dollari a viaggio. Però anche per chi ha deciso di continuare a seguire la rotta che passa attraverso Suez, c`è stato un aumento sensibile nei costi dei viaggi.
A pesare di più fra tutti, i costi dei premi assicurativi.
Gli attacchi dei pirati negli ultimi mesi si sono intensificati e gran parte di essi oggi sono ancora quasi del tutto rimasti impuniti. Un tempo il bottino dei pirati, derivante dagli abbordaggi ai cargo, era principalmente il denaro che quest`ultimi avevano a bordo, chiuso in cassaforte. Grosse somme di denaro che serviva per sostenere le spese di navigazione come il pagare le tariffe portuali.
Altre volte invece, i pirati si mostravano interessati unicamente al carico delle navi. Come il caso della `Petro Ranger` una petroliera che trasportava combustibile del valore di 3milioni di dollari. La nave venne catturata nell’aprile del 2007 mentre era in viaggio da Singapore al Vietnam. Il combustibile, fu trasferito su altre 4 navi cisterna che sparirono in poche ore e della `Petro Ranger` ovviamente non si seppe più nulla.
Altre volte invece, le gang dei mari si mostravano interessate alle stesse imbarcazioni che dopo essere state catturate e obbligate ad attraccare in porti – pirati finivano per essere trasformate, ricolorate e vendute ad armatori senza scrupoli. Allora come oggi le azioni militari attuate contro la pirateria servirono da deterrente ma solo per i predoni del mare occasionali, ma non servirono a fermare il nucleo duro dei professionisti degli attacchi alle navi in mare.
Oggi in seguito all`azione anti pirateria promossa dalla comunità internazionale si riesce a colpire solo una parte di queste bande e ancora, solo piccoli gruppi di pirati sono catturati e condotti dinnanzi ad un giudice per rispondere dei reati commessi. Ogni Paese che partecipa alla lotta alla pirateria nel mare del Corno d`Africa ha il suo metro di valutazione e di condanna. Manca soprattutto una legislazione comune che consenta di appliccare anche pene severe all’atto di giudicare. Qualcuno come Olanda e Russia hanno proposto l`istituzione di un tribunale internazionale per processare i pirati catturati. La proposta è rimasta lettera morta anzi la Somalia l`ha commentata dicendosi contraria. Anche la stessa Italia, Paese particolarmente coinvolto nella questione si è detto non intenzionato a processare i pirati somali arrestati nel corso di operazioni antipirateria condotte dalla Marina nel golfo di Aden. Il governo italiano ha infatti messo a punto una bozza di decreto legge per rinunciare ad esercitare la giurisdizione nei casi di pirateria. La soluzione è quella di far valere l`intesa siglata tra Ue e Kenya, in base alla quale i pirati catturati possono essere processati nel Paese africano, limitrofo alla Somalia.
[b]Fenomeno pirateria[/b]
Il fenomeno della pirateria non ha mai avuto fine, però ha fatto registrare una recrudescenza negli ultimi 3 anni facendo parlare di se in tutto il mondo. Solo alla fine del 2006, quando in Somalia salirono al potere i miliziani islamici dell`Unione delle Corti Islamiche, Uci, gli attacchi in mare cessarono. Questo fu dovuto soprattutto al fatto che i fondamentalisti islamici , implacabili, misero sotto controllo sia la terra sia il mare e furono inamovibili con i trasgressori; oltre 50 pirati furono giustiziati o uccisi in quel periodo. Ora invece, a distanza di 3 anni questo fenomeno si è trasformato in una vera e propria industria del crimine. Un businness che il quotidiano britannico `[i]The Indipendent[/i]` ha stimato in 80milioni di dollari annui nel 2008, quando le navi sequestrate erano state una ventina. Ma nel 2009, tanto per farsene un`idea, le navi catturate sono state venti già nei primi 4 mesi dell`anno.
Le basi di questa moderna filibusta si trovano lungo la costa somala del Putland, un territorio autonomo della Somalia, che suscita grande interesse per le sue riserve di greggio, e del Somaliland, l`ex colonia inglese, indipendente dalla repubblica somala sin dal 1991, popolata da 3 milioni e mezzo di abitanti, e non riconosciuta dall`autorità internazionale.
I covi sono nei porti di Eyil, Harardhere e Bossaso dove si trovano alla fonda in questo momento ben 16 navi catturate e circa 250 marinai trattenuti in ostaggio. Lungo queste coste tutto è cambiato. Le vecchie case dei pescatori sono locande dove le donne cucinano, gli anziani e ragazzini fanno la guardia alle `prede` catturate e i giovani vengono arruolati nelle squadre da impiegare nell`assalto ai battelli.
I pirati ora si fanno consegnare un riscatto in cambio del rilascio della nave e del suo equipaggio. Sono somme che si aggirano sempre intorno ad 1milione di dollari.
Ovviamente con il crescere degli affari e cambiato anche il modo di operare dei pirati. A quelli che lavorano in mare vanno poche migliaia di euro a testa, il 20 per cento ai capi, un altro 30 per cento viene impiegato per finanziare le prossime azioni, il 10 per cento viene distribuito tra gli abitanti e quello che avanza, il grosso del riscatto, invece passa nelle mani di vere e proprie holding con sede in paradisi fiscali, alcune di queste, secondo i servizi britannici, legate persino al terrorismo islamico che provvedono ad investirlo, attraverso canali illegali, in attività lecite nel resto del mondo.
Un vorticoso giro d’affari ruota intorno ai pirati.
Secondo gli investigatori assoldati dagli armatori il tesoro dei pirati viene riciclato negli Emirati Arabi, in particolare a Dubai, e in altre piazze del Medio Oriente.
Non a caso a Dubai vive una forte comunità di imprenditori somali!
Gli sviluppi esponensiali del fenomeno della pirateria ha portato il livello delle polizze assicurative marittime a decuplicarsi nel giro di 3 anni.
Per effetto della pirateria in Somalia il bussiness delle assicurazioni marittime sarebbe cresciuto nel 2008 di 400milioni di dollari.
Da tempo i Lloyd`s di Londra ha rivisto le tariffe.
E` stata fatta una riclassificazione del Golfo di Aden come `zona di guerra`, paragonabile, per quel che riguarda i premi assicurativi e i rischi, alla Nigeria, all`Iraq e dell`Indonesia. Cosa questa che non è avvenuta per altre zone del mondo dove il pericolo di perdere navi e carichi è considerevolmente più alto di quello del mare del Corno d`Africa.
Strano vero?
I costi assicurativi di un passaggio nel Golfo di Aden sono passati di fatto da una media di 900 dollari al giorno a 9mila. Attualmente, il transito di un mercantile attraverso il Golfo di Aden può costare fino a 30mila dollari di assicurazione, più conveniente comunque che pagarsi una scorta armata, stimata circa 100mila dollari o rispetto alla rotta alternativa attorno all`Africa, che tra carburanti, stipendi e tempo in più da impiegare può raggiungere anche il costo di un milione di dollari. Sembra però che i Lloyd`s le abbiano pensate tutte.
La copertura massimale è limitata, non può essere superiore ai 3milioni di dollari, e stranamente il costo medio di un riscatto è attorno al milione di dollari.
Una strana coincidenza vero?
Inoltre i Lloyds hanno sentito il bisogno di lanciare anche un`assicurazione `antipirateria` che nella sua polizza tipo rimborsa il riscatto, le spese legali e anche quelle per far arrivare i soldi ai sequestratori.
Ma si può aggiungere anche il mancato guadagno dovuto all’immobilizzazione del natante, e anche la possibilità di ricevere l’assistenza di esperti per gestire la crisi.
Il fatto è preoccupante in quanto sebbene i Lloyds come volume dei premi non rappresentino più dell’8 per cento rispetto al mercato mondiale delle assicurazioni, tuttavia mantengono sempre un prestigio da primi della classe e parenti nobili, che li porta in genere ad anticipare le tendenze poi seguite anche dalle altre compagnie. A causa la recessione il commercio marittimo mondiale si era ridotto di un quarto nel corso degli ultimi 12 mesi, e di conseguenza anche le entrate dei Lloyds si erano ridotti della metà. In qualche modo, il boom della pirateria ha dato modo per rilanciare il tutto e pertanto sono anche altri oltre ai pirati, che ci guadagnano dal perdurare di questa situazione.
Da decenni il rischio dei pirati non era più stato calcolato dagli armatori, che si accontentavano di assicurare navi, equipaggi e carichi solo contro rischi generici.
Ora tutti si sono adeguati.
Però la cosa non sembra toccare i lavoratori del mare.
I lavoratori marittimi italiani, ad esempio nel loro contratto di lavoro non hanno riconosciuto alcuna indennità di rischio relativa al fenomeno pirati.
Anzi in base all`articolo 357 del Codice di Navigazione, CN, l`armatore può anche non pagare i marinai durante il periodo che restano sequestrati o almeno in base al CN pagare solo parte del periodo di sequestro.
Addirittura i marittimi potrebbero [b]perdere anche il lavoro se l`armatore applica l`art 61 del CN[/b] – `Risoluzione del contratto di imbarco` che cita in maniera particolare: qualunque sia il tipo di contratto, il rapporto di lavoro si risolve di diritto in caso di perdita totale, ovvero di innavigabilità assoluta della nave ovvero di innavigabilità per un periodo di tempo superiore ai sessanta giorni, determinate da naufragio o da altro sinistro della navigazione, nonchè in caso di preda.
Il rimorchiatore italiano Buccaneer è in mano ai pirati da 61 giorni.
[b]Tutti ora dicono che erano a conoscenza del problema, sia sindacati confederali sia armatori, e si lamentano della quota assicurativa relativa al passaggio per quella zona, ma stranamente nel febbraio 2009 nessuno delle due parti volle trattare l`argomento che rinviarono a data da stabilire[/b]. Oggi i 10 marittimi italiani del Buccaneer non hanno un contratto che li tutelerà alla fine della vicenda che li vede coinvolti dall`11 aprile scorso. I filibustieri del nuovo millenio stanno anche sfidando le potenze navali mondiali schierate nel vasto tratto di mare al largo del Corno d`Africa, solcato dai grandi bastimenti provenienti da e per il Canale di Suez. Un tentativo questo atto a contrastare il fenomeno della pirateria che si associa a quello intentato dalle compagnie marittime commerciali che hanno formato convogli di navi per attraversare il Golfo di Aden sperando di poter dissuadere i pirati nell`attaccare. Mentre i Paesi dell`Ue dal mese di dicembre si sono uniti alla missione Nato, ed ad altri Paesi, che in forma autonoma combattono la pirateria, dispiegando anche loro navi militari contro i pirati. Questo non ha comunque fatto calare i rischi di attacco. Tanto che qualcuno ha pensato di promuovere l`idea di imbarcare sulle navi guardie armate. L`idea non ha incontrato molti consensi e adesioni. Al momento una risposta armata agli attacchi è considerata troppo pericolosa. Da più parti invece, si propende per una strategia comune di contrasto con varie organizzazioni internazionali per la sicurezza, dove un miglior cordinamento porterebbe di certo ad una efficienza maggiore e all`incremento della sicurezza nella zona.
Sul fenomeno si sono fatte tante congetture e portato avanti innumerevoli teorie ma alla fine tutto sembra girare intorno a quella che di fatto è una guerra tra compagnie di navigazione ed ex pescatori, diventati banditi.
Il fenomeno è stato innescato sicuramente dalla pesca illegale, praticata specialmente da imbarcazioni provenienti dall`Oriente, e dall`inquinamento, causato dallo svessamento in mare di rifiuti tossici proveniente dal mondo industriale occidentale. Fattori questi che hanno condotto ad un impoverimento sempre più alto delle popolazioni costiere somale. Inizialmente mossi da ideali e da un senso di rivalsa gli ex pescatori poi hanno scoperto che la cosa fruttava e ne hanno fatto una vera e propria attività criminale.
Un abbordaggio può fruttare ad ognuno di loro anche fino a 10 mila dollari, mentre il guadagno medio di un lavoratore somalo è di circa 500 dollari l`anno.
Ferdinando Pelliccia