Lo Stato con una mano dispensa incentivi, con l’altra aumenta le bollette. E la Cina sta alla finestra.
Un settore che, in tempi di crisi, sembra soffrire la congiuntura economica negativa meno degli altri è quello del fotovoltaico e, più in generale, delle energie alternative. Insomma, la cosiddetta Green Economy.
Lo Stato incentiva chi vuole installare pannelli, le bollette calano, l’energia prodotta e che non viene usata può anche essere venduta e così, oltre a non danneggiare l’ambiente, è possibile anche mettersi qualche soldo in tasca, che di questi tempi non guasta mai. Ma è davvero tutto così semplice e vantaggioso? Vediamo con attenzione.
Il business delle energie rinnovabili sembra, allo stato attuale, essere chiuso da una morsa: da un lato c’è una minaccia rappresentata dalla disponibilità di alcuni elementi, indispensabili per alcune produzioni (hi-tech e pannelli solari), detti – appunto – “terre rare”. Ad oggi l’estrazione e la produzione di questi preziosi elementi è praticamente prerogativa della Cina, che detiene una quota pari al 95%, anche a fronte della decisione smettere di estrarle di altri Paesi produttori, dato che comprare quelle cinesi costava molto meno.
Da parecchio tempo ormai, c’è un duro braccio di ferro tra Usa e Cina sulla quantità di terre rare che la Tigre D’Oriente dovrebbe destinare all’esportazione, conditio sine qua non per continuare a garantire agli americani di tenere in tasca l’ultimo modello di smartphone, dato che hanno da tempo tagliato gli incentivi statali per il fotovoltaico. Dopo non poche pressioni, in agosto Pechino ha provveduto ad aumentare la percentuale di terre rare destinate all’esportazione (+2,7% rispetto al 2011) pari a 9.770 tonnellate.
Ma potrebbe trattarsi di una concessione per garantire un approvvigionamento, in attesa che qualche altro giacimento venga scoperto, per non dover dipendere più dall’umore cinese.
In Italia poi, l’altro lato della morsa è rappresentato dall’attore che si è fatto promotore dei benefici dell’energia pulita: lo Stato. Diffondere incentivi a pioggia è stato senza dubbio un ottimo slogan che però non ha potuto nascondere del tutto l’altra faccia della medaglia: l’innalzamento delle bollette. Il caro energia per le famiglie e le piccole e medie imprese italiane è sensibilmente più alto della media europea (un esempio su tutti: le imprese della Sicilia, terra baciata da sole, pagano in media 2.023 euro in più rispetto ai competitor europei (Elaborazione Ufficio Studi Confartigianato su dati Terna); una cifra non irrilevante per l’economia regionale, dal momento che i consumi elettrici del comparto industriale ammontano al 37% dei consumi complessivi della Sicilia (7.209 Gwh su un totale di 19.226 Gwh ). E nelle altre regioni d’Italia lo scenario non è certo migliore.
A questo punto, uno scenario in particolare va fortemente scongiurato: quello che vedrebbe le imprese italiane – complice la detenzione di terre rare ed il basso costo della manodopera – andare ad acquistare stock di pannelli solari direttamente in Cina, soffocando quello che potrebbe essere un ottimo volano di sviluppo per l’economia italiana ma che per ora lo è – purtroppo – solo per metà.
Fulvio D’Andrea

