Medio Oriente: la Siria si sfalda

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siriaDue anni di guerra civile, 60 mila morti, migliaia di desaparecidos, uso sistematico della tortura da entrambe le parti. Tra collasso economico, feroci pulizie etniche e smembramento territoriale, ormai è la stessa società siriana a disfarsi, più che il regime di Assad in sé. Ora l’opposizione propone un dialogo, ma ne restano indecifrabili identità, composizione e obiettivi, al di là di quello più ovvio e immediato di deporre Assad. Una coalizione frammentata in un’infinità di etichette, etnie, bande armate e gruppuscoli religiosi. Sciiti, salafiti, jihadisti, nuclei variamente ispirati ad Al Qaeda e un’infinità di nuove inedite sigle, nessuno sa quanto improvvisate o credibili.
C’è un Fronte Islamico Siriano che in teoria dovrebbe unificarli tutti, ma non è dato sapere quanti combattenti siano realmente siriani, e quanti provengano piuttosto da Algeria, Tunisia, Marocco, Iraq e Arabia Saudita, attraverso i mille valichi di confini poco sorvegliati o inesistenti. Molti sono disertori dell’esercito regolare. Ci sono le brigate di Ahrar al Sham, salafiti finanziati dal Kuwait. C’è il gruppo di Al Islam, salafita anch’esso, ben insediato nella periferia di Damasco. C’è Jabhat al Nusra, formazione jihadista legata ad Al Qaeda, molto presente ad Aleppo e Damasco, e a sua volta punto di confluenza di altre brigate e movimenti. Nella regione di Homs e in quella di Aleppo agiscono altri nuclei più o meno ideologici, più o meno fondamentalisti, variamente denominati (Al Faruk, Ittihad Thuwwar, Jabhat Tahir, Liwad Tawhid, Suqur al Cham e altri). Complessivamente circa 100 mila uomini, armati in Turchia, Libano o nello stesso mercato nero interno: tutti islamici, tutti bellicosi e culturalmente molto ostili non solo al potere centrale, ma all’America, a Israele e all’Occidente in genere, che tuttavia – primo paradosso – li appoggia nella lotta ad Assad. Il regime è invece sostenuto da Iran, Iraq, Russia e Cina. Strane alleanze, in un coacervo poco decifrabile di interessi strategici, economici e geopolitici dove – è il meno che si possa dire – i principi di laicità, libertà e democrazia non sembrano proprio giocare un ruolo primario. Assad è certo un autocrate, e come il padre sa essere spietato e sanguinario contro ogni minoranza ribelle. Eppure – nuovo paradosso – il suo è un regime laico,multiconfessionale e per nulla teocratico, molto distante in questo dall’alleato di Teheran.
Presidente della coalizione d’opposisizione è quell’ Ahmad Mu’adh al-Khatib che dovrebbe rappresentare tutti i nemici del regime: già Iman di una moschea sunnita, passa ora per riformista moderato – o così piace immaginarlo in Occidente, forse come male minore – ma alimenta il fanatismo degli uomini-bomba, ha elogiato Saddam Hussein per aver terrorizzato Israele ed è autore di molti interventi antisemiti.
Il quadro caotico spiega la prudenza di Obama, dopo la nefasta dissoluzione della Libia ad opera soprattutto dei francesi. Di fronte al dramma siriano, Paul Salem, autorevole analista del libanese Carnegie Middle East Center, accusa l’Occidente di cinismo per non intervenire.a difesa della popolazione. Ma cosa possono fare gli Stati Uniti e i loro alleati, odiati dagli opposti fanatismi, in un teatro bellico privo perfino di un fronte? Nessuno, ormai, crede più alla finzione eufemistica della cosiddetta Primavera Araba.
E Israele? Potrebbe almeno Benjamin Netanyahu contribuire a placare la tensione dell’area trattando finalmente con i palestinesi? Ma trattare con chi? Abu Mazen, capo dell’Autorità Nazionale Palestinese, verrebbe subito sconfessato da Hamas, che occupa la striscia di Gaza con l’intento dichiarato di distruggere lo stato ebraico. Mentre non sembrano ancora disarmati gli Hezbollah del Libano, da cui di tanto in tanto piovono razzi su Tel Aviv.
Dunque la strage tra siriani è senza fine? C’è chi prevede un conflitto cronico, come un dato endemico e permanente. E chi vede probabile se non imminente una divisione in tre parti della Siria, forse segretamente concordata a certe condizioni tra Stati Uniti e Russia. Una porzione di territorio per Assad, che comprenda il porto mediterraneo di Tartus, sempre strategico per la flotta di Putin. Una nuova nazione curda a ridosso della Turchia, che resta perciò nettamente contraria all’idea. Infine la capitale Damasco e il resto della Siria ai sunniti, che comunque già occupano stabilmente vaste aree del paese. Uno scenario ancora ipotetico, attorno al quale peraltro si è già attivato un certo lavorìo diplomatico. Perciò l’Iran, che da una tale spartizione uscirebbe come il grande sconfitto, anche per questo continua segretamente nei suoi preparativi nucleari.E la guerra continua.
Gian Luca Caffarena