Correva l’anno 1984 e un Alberto Sordi in gran forma interpretava un magistrato incorruttibile e zelante. Salvemini (Sordi), in “Tutti dentro” arrestava proprio tutti. Finisce, però, che lui stesso scivola nell’ingranaggio della giustizia e diventa un inquisito. Una favola amara che si trasforma nel crudo e amaro realismo dell’Italia odierna.

 

manette_2Il tam tam degli arresti batte nella giungla della vita pubblica italiana, più puntuale di un bonifico, più sicuro di un bot, più in rosso di qualsiasi altro conto corrente. Siamo dentro la certezza del marasma della finanza, imbrigliati nella volubilità perversa della politica, sommersi tra il debito pubblico e privato; vorremmo magari un posticino in cella (se non fosse che le celle italiane sono così vergognosamente ristrette).

Lo “tsunami tour” della magistratura passa dal Monte Paschi, transita da Finmeccanica, arriva da Formigoni (anzi, ritorna dal “Celeste”), arriva al calcio con l’arresto del presidente del Cagliari Cellino, e giunge al ciak, poco cinematografico, con le manette ad Angelo Rizzoli. Dimentichiamo qualcuno? Certo, non vi è dubbio. “Arrestopoli” è in corso. In questo Paese – dove mancano tragicamente manager da salvare – il malaffare si è inchiodato nelle fondamenta. E’ una crisi del pensiero illuminante, smarrito nel tecnicismo “tossico”; questa è una specie di buia Sodoma e Gomorra che schiaccia le speranze e avvolge le prossime elezioni in un turbine d’incertezze. Estenuati dalle promesse, fiaccati dalle apparizioni televisive dei cosiddetti leader, inebetiti dagli scandali, strascichiamo le menti oltre la siepe e verso l’urna.

Arresti eccellenti, scandali esemplari, politici deludenti. Il macigno del nulla (fuorché il sonoro tintinnar di manette) ci accompagnerà al voto.

Se il Papa si dimette, se la democrazia diventa incerta come il lavoro, se la società si dibatte tra il suo apparire e il suo non essere, vuol dire che la maledizione – previsione non è quella dei Maya.

E’ l’italiano, e la sua idea di società, ad essere in crisi: si dibatte in terra pensando che gli altri, i colpevoli, vengano da un estraneo pianeta di cattivoni.

Ma “gli altri siamo noi”, e daremo la nostra preferenza (o complicità) ai nostri terreni connazionali nel segreto dell’urna. Siamo alla fine del mondo o all’inizio di una nuova era dopo la “rivoluzione”?

Tutti dentro l’urna, aggrappati a una matita, e stretti all’angolo come la ‘banda del cinque per cento”, voteremo turandoci il naso, ma con l’ausilio e il conforto delle mani libere – per ora- dalle manette.

Danilo Stefani