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Esattamente due anni fa, da quel 15 Marzo del 2011, la Siria, scossa per ultima dalla Primavera araba a seguito delle torture inflitte ad alcuni studenti che avevano scritto graffiti anti-governativi, è ora in preda di una caotica e dilagante guerra civile. Almeno 60.000 persone, per la maggioranza civili, sono state uccise; decine di migliaia sono state ferite o arrestate ed oltre 400.000 hanno trovato rifugio regolare nei paesi limitrofi, mentre altrettanti, se non di più, sono emigrati clandestinamente. Recentemente, si è costituito in esilio, una sorta di governo di opposizione, il Consiglio Nazionale Siriano Rivoluzionario, parzialmente riconosciuto dalle diverse Nazioni occidentali (Inglesi, Francesi e Turchi) e da numerosi paesi arabi del Golfo; molti degli eterogenei gruppi islamici combattenti in Siria tuttavia  non riconoscono tale Governo, né la coalizione che lo appoggia. Proprio la spinta eterogeneità dei rivoltosi, fra cui alcuni gruppi di al-Qaeda, ha rallentato gli aiuti – in denaro e armi – provenienti dai predetti Paesi, nel timore che finissero nelle mani di gruppi jihadisti senza controllo. In effetti, molti combattenti provengono dal Medio Oriente, dal Nord Africa e perfino dai teatri afgani ed iracheni; la caotica presenza di sette e religioni in tale contesto (Alawiti, Cristiani, Drusi, Curdi, Palestinesi, ecc) non agevola certamente una qualche coesione fra i rivoltosi, anzi.
assadLa conflittualità maggiore resta comunque fra gli Sciiti – Alawiti, a cui appartiene lo stesso Assad e la maggior parte dell’elite politica e militare del Paese, con i Sunniti che sono la maggioranza e che, di massima e per motivi di opportunità più che per affinità religiosa, sono schierati a favore delle forze di opposizione. I ribelli hanno avuto la meglio, nonostante parecchie perdite ed insuccessi, nel contrastare perfino le forze aeree governative, occupando una dozzina di basi attorno a Damasco ed un comprensorio militare importante nelle vicinanze di Aleppo, la città più grande della Siria. Tuttavia il Governo è ancora forte nelle aree più significative e detiene, fra l’altro, una consistente forza aerea poco contrastabile dai ribelli; se è vero che il regime di Assad è stato condannato a livello internazionale soprattutto dalla Turchia e dai paesi Sunniti, è altrettanto vero che lo stesso è supportato dall’Iran, Cina ed in particolare dalla Russia che ha altresì bloccato le iniziative del Consiglio di Sicurezza dell’ONU tese a rimuovere Assad. L’Amministrazione Obama,con la sua strategia del “leading from behind” ( agire dietro le quinte) è  molto titubante, anche se in più occasioni ha manifestato l’intendimento di supportare i ribelli in modo più diretto, e non solo sotto il profilo umanitario (alimenti e medicinali..), ma anche – eventualmente –  mediante la fornitura di armi ad alcuni gruppi di ribelli, escludendo naturalmente i gruppi terroristi. Ciò costituisce  un bel dilemma, poiché il supporto mirato ad alcuni, non esclude che le armi vengano passate anche a gruppi di al-Qaeda o jihadisti fondamentalisti: così il rimedio sarebbe peggiore del male! Appena gli US mostrano una qualche volontà a supportare più direttamente i ribelli, gli storici supporter di Assad, Iran e Russia mandano precisi avvertimenti, come ad esempio la presenza di loro Navi da guerra nel porto siriano di Tartous.

Il caos è palese e per trovare una soluzione, non bastano i tatticismi o le dichiarazioni diplomatiche della discutibile strategia di Obama che rifiuta un coinvolgimento diretto, ma lavora ai fianchi con la  Lega Araba e le Nazioni Unite: forse è essenziale alzare il tiro e  analizzare il conflitto sotto il profilo geostrategico e geoeconomico, e la valenza della Siria, nel contesto Mediterraneo. Se da un lato essa ha sempre rappresentato una sponda Russo-iraniana in Mediterraneo, con un controllo piuttosto discreto sul Libano, e palesi conflittualità nei confronti della Turchia, dall’altro costituiva pur sempre una sorta di confine piuttosto stabile anche per Israele: la Russia sostiene Assad per non perdere l’influenza strategica sul Mare Nostrum ed un fiorente mercato di armi. Certamente  la guerra civile ha anche  importanti  ragioni religiose tipiche del territorio; da un lato la maggioranza sunnita che supporta la rivolta contro Assad, cioè contro la minoranza sciita-alawita, in un groviglio di sette e fazioni imprevedibili e pericolose, che si raccordano nei paesi vicini, Libano e Iraq  in particolare. Al di là delle contraddizioni esaltate dalla controinformazione, i jihadisti  provenienti dai confini dell’Iraq spesso si sono uniti a terroristi di al-Qaeda, raggruppandosi nelle schiere dei ribelli al regime, adottando le tecniche dei kamikaze suicidi.
Kofi AnnanNumerosi tentativi di riportare la pace sono falliti; anche l’ONU con Kofi Annan, inviato speciale in Siria, la scorsa primavera, ha proposto alle parti  un piano di pace che è naufragato miseramente, a seguito dei massacri e della distruzione di oltre 100 villaggi: quindi anche la missione degli “osservatori della N.U” è stata sospesa, dopo il giugno 2012, in presenza di una palese e controversa guerra civile. Il regime di Assad viene supportato sia sul campo, che diplomaticamente, dalla Russia; il fronte ribelle viene supportato invece dagli US solo con attività addestrative, mezzi di comunicazione e di “sussistenza” evitando forniture di armi che, invece, sono inviate anche  da paesi “terzi” e finanziate da paesi come la Turchia, il Qatar e Arabia Saudita. Anche se pare che tali armi finiscano spesso nelle mani degli estremisti jihadisti di al-Nusra e perfino nei ranghi di al-Qaeda, o degli Hezbollah storici nemici di Israele, piuttosto che ai rivoltosi oppositori “regolari e storici” del regime di Assad. Finalmente, lo scorso novembre numerosi paesi hanno riconosciuto una sorta di “coalizione dei ribelli”, la cosiddetta “Coalizione Nazionale delle Forze Rivoluzionarie Siriane”, a cui vengono inviati aiuti “mirati”, per evitare che alla caduta di Assad si instauri un regime jihadista analogamente deteriore.

BarackObama

Lo stesso Obama di recente ha riconosciuto che essa è “abbastanza matura  da considerarla come legittimo rappresentante del popolo siriano in opposizione al regime di Assad”. Sul piano diplomatico sia Russia, sia Cina, hanno respinto ripetutamente le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle NU per l’adozione di sanzioni o di “no fly zone”; anche gli USA stanno segnando il passo, cauti negli aiuti, a fronte della minaccia di Assad di usare armi chimiche o batteriologiche (gas mustarda e nervini) in caso di supporto e di intervento Occidentale a favore dei rivoltosi. Tuttavia la situazione nei dintorni delle città di Aleppo, perla della Siria e centro di transito fra Occidente e Oriente, Damasco ed altre città centrali risulta fortemente contrastata dall’opposizione, mentre appare drammatica socialmente per le distruzioni, per le ruberie, le barbarie, i sequestri, gli stupri. Il regime perde terreno soprattutto nelle periferie delle città, in vicinanza degli aeroporti, e si scaglia sempre più contro l’inerme popolazione civile, sperando che la stessa reagisca contro i rivoltosi. La situazione generale è oggettivamente assai confusa; i miliziani pro-Assad sono legati a doppio filo con i gruppi Hezbollah libanese, finanziati dall’Iran, ed i rivoltosi hanno sicuramente target diversi, a seconda dei gruppi di appartenenza.

Anche l’Italia, che per ora ha glissato sulla Siria, dovrà prendere posizione sperando che non si vada a favorire i ribelli in generale, cioè anche i Fratelli Musulmani e  i gruppi di al-Qaeda, colpevoli di orrendi massacri di cristiani e delle minoranze alawite, favorendo così il dilagare dell’islam radicale in tutta la sponda meridionale e orientale del Mediterraneo; nè  la nostra politica può  continuare a “fare l’occhiolino” sia a Israele che ai palestinesi. Obama sta rivisitando la strategia nel Medio Oriente che, fin dall’inizio, aveva sottovalutato, quasi ponendo sullo stesso piano Israele e i palestinesi: e i risultati nefasti non si sono fatti attendere! Ma ora sembra si sia dato una mossa pur nell’ottica del “leading from behind”, e avendo ottenuto un qualche dialogo fra regime ed opposizione attraverso un lavoro diplomatico abbastanza pulito, sta spingendo l’Arabia Saudita a fare quello sporco di rifornire i ribelli “selezionati” attraverso paesi terzi come la Croazia e la Giordania.

Molti sono del parere che, comunque, l’atteggiamento troppo riflessivo di Obama e degli Europei di fronte alle sofferenze del popolo siriano, motivato dal timore di aiutare ribelli estremisti, sia invece dettato dagli interessi economici in gioco, e dal valore dei rifornimenti di petrolio e gas: una sorta di equilibrio geostrategico fra le grandi potenze Russia ed USA che, in quel teatro, stanno facendo il doppio gioco. E, forse, non hanno tutti i torti perché la Siria è il punto nodale del passaggio, e controllo ineludibile, del corridoio energetico del gas russo e iraniano del Mediterraneo orientale. Oggi il Mediterraneo è incrociato da crisi legate a vecchie ideologie e sommosse contro i “Presidenti a vita” e le loro dinastie in parte smantellate; solo chi avrà la capacità di leggere il Mare Nostrum e di non sottovalutarne  la storica importanza quale spazio omogeneo centrale e non ancillare, di proiezione e di essenziale raccordo fra Occidente e Oriente, per la geopolitica presente e futura, sarà il vero vincitore del Gioco Globale del domani: e la Siria, oggi, è una pedina di rilievo da giocare con grande accortezza per il pericolo della jihad globale mediterranea, per i rifornimenti energetici, per i riflessi geostrategici che, in un senso o nell’altro, può produrre. C’è da augurarsi che Obama esca fuori dalle nebbie del “wait and see” e, nella imminente visita in medio Oriente, faccia la promessa passeggiata a Gerusalemme che finora non aveva voluto fare, preferendo il Cairo, supportando i ribelli in modo più deciso e concreto, con sistemi non solo inoffensivi o umanitari. Peccato che, anche l’Europa, (e pure l’Italia), con la sua politica estera impersonata dalla fantomatica figura della baronessa Ashton, resti indifferente a quel che succede nel nostro Mediterraneo, salvo qualche sparuta affermazione di principio nazionale, mentre il conflitto è arrivato ad un punto di non ritorno. La comunità internazionale dovrebbe capire, semplicemente guardando la carta geografica e senza piccarsi di grandi concetti geostrategici, che non si può continuare ad assistere a centinaia di morti al giorno: è necessario ed urgente dare aiuti, autentici e tangibili, e circoscritti alla Coalizione, e solo ad essa, altrimenti si cadrà dalla padella alla brace e  la vittoria della jihad e dell’estremismo islamico, produrrà effetti disastrosi nel nostro futuro e in quello del mondo occidentale.

Giuseppe Lertora