bandierasomaliaCon la rivendicazione dell’attentato terroristico all’ambasciata turca messo in atto nella capitale somala, Mogadiscio lo scorso sabato il gruppo islamico degli al Shabaab, organizzazione legata ad al Qaeda, indica chiaramente che la sua strategia non cambia. I miliziani islamici noti anche ‘Imaarah Islamiya’, questo è di fatto il nuovo nome che si sono dati dopo il cambio di strategia avviato circa due ani fa, continuano a minacciare il fragile governo di Mogadiscio in Somalia. Si tratta di un gruppo terroristico che dal 2007 si contrappone prima al debole governo di transizione somalo, TFG, e poi, all’ancora più debole governo somalo insediatosi appena lo scorso anno dopo le prime elezioni democratiche tenutesi nel Paese africano a oltre vent’anni dalla fine della dittatura.
La loro minaccia è diventata ancora più insidiosa dopo che hanno dato vita ad una nuova strategia, quella della guerriglia. I miliziani islamici dopo essersi progressivamente ritirati dalla capitale somala nel mese di giugno del 2011 hanno infatti, cambiato tattica ed ora affrontano i loro ‘nemici’ colpendoli con autobombe e attentatori suicidi. Lo scopo è quello di rafforzare ancora di più la loro credibilità agli occhi dei somali e per ottenere maggiori consensi per la loro ‘crociata’ contro il governo di Mogadiscio e gli stranieri che lo sostengono, Europa in testa, compreso i ‘mercenari africani’ come vengono chiamati a i militari della missione di pace dell’Ua l’Amisom.
Questo ritorno della minaccia dei terroristi islamici nella capitale somala è avvenuto dopo un periodo durante il quale le forze filogovernative, supportate dai militari dell’Ua, hanno potuto portare a termine la riconquista completa di Mogadiscio. Questa continua minaccia attuata dai miliziani islamici al governo somalo preoccupa non poco la comunità internazionale. La situazione in Somalia non è delle più rosee a causa della presenza di gruppi estremisti anche legati ad al Qaeda. La ‘sopravvivenza’ della democrazia nel Paese del Corno d’Africa è quindi, giorno dopo giorno, messa sempre più in discussione. Il debole potere ancora esercitato dal governo somalo di Mogadiscio e, dopo oltre 5 anni, sempre più insidiato dai mujahedin somali che continuano a ostacolare con atti terroristici ogni sforzo di pacificazione sostenuto dalla comunità internazionale. Nei primi giorni del mese di maggio si è tenuta a Londra l’attesa conferenza sulla Somalia organizzata congiuntamente da Londra e Mogadiscio e  presieduta dal premier britannico David Cameron e dal presidente somalo Hassan Sheikh Mohamud. Una riunione che ha visto la partecipazione dei rappresentanti di oltre 50 Paesi e organizzazioni internazionali. Obiettivo comune era quello di manifestare sostegno politico e coordinare il supporto tecnico e finanziario della comunità internazionale a favore dei piani di riforma elaborati dal Governo somalo.  In poche parole rilanciare il sostegno al processo di stabilizzazione nel Paese africano. Una questione delicata e complicata, quella sulla Somalia che è stata trattata alla Conferenza di Londra e che ancora una volta ha accentuato divisioni e diversificazioni di intenti, ma soprattutto non si è riuscito ad individuare una soluzione che fosse quella definitiva al problema.
La Somalia è di certo fuori controllo e questo, nonostante la presenza dei baschi verdi dell’Ua che costituiscono la forza di pace della missione Amisom e nonostante anche l’intervento militare etiopico dello scorso anno nel Paese africano. Un dato di fatto che tiene alta l’attenzione di tutti sulla questione tanto è vero che entro la fine dell’anno, dopo la conferenza a Londra, sono previsti a Tokyo e Bruxelles altri due vertici sulla Somalia.  A Londra, in risposta all’appello lanciato dal Presidente somalo, sono stati annunciati nuovi aiuti economici alla Somalia per milioni di dollari. Il capo dello Stato somalo ha invocato per il suo Paese una sorta di Piano Marshall come venne ideato e attuato per l’Europa del dopoguerra. Una richiesta giustificata dalla necessità di voler far fronte a decenni di povertà, guerra civile e terrorismo che hanno impoverito il Paese africano fino ad affamarlo completamente. Da anni, in aiuto della Somalia, la comunità internazionale ha stanziato enormi somme di denaro. Tra i Paesi capofila di questo sostegno economico vi è anche l’Italia. Dal 2007 ad oggi sono diverse centinaia i milioni di euro elargiti al Governo somalo riconosciuto dalla comunità internazionale. Nel frattempo, nel Paese del Corno D’Africa dilaniato da una ventennale guerra civile, a pagare più di tutti, in vite umane, sono la popolazione civile. Nella speranza di sfuggire al dramma della guerra sempre più somali abbandonano ogni loro avere per cercare scampo altrove.
Secondo stime ONU sono centinaia di migliaia le persone che sono ospitate nei campi profughi. Questo, come gli attacchi terroristici, sembra preoccupare molto la comunità internazionale. La carestia che ha colpito il Paese africano tra il 2010 e il 2012 ha mietuto migliaia di vittime. Una vera e propria catastrofe umanitaria senza precedente che secondo stime FAO è stata la causa della morte di almeno 260mila persone di cui la metà bambini al di sotto dei 5 anni di età. Nel documento diffuso dall’organismo internazionale si legge che la morte per fame ha mietuto vittime soprattutto nel sud del Paese dove gli Al Shabaab hanno impedito la distribuzione degli aiuti umanitari. Un fatto questo, che dimostra quanto la catastrofe sia stata aggravata anche dai combattimenti in corso tra i ribelli islamici e le truppe  governative.  Dalla caduta del dittatore Mohamed Siad Barre, avvenuta nel 1991, la Somalia è stata trascinata in lotte intestine che ne hanno disgregato economia e istituzioni trasformandolo lentamente in ‘ terra di nessuno’.  Pur essendo stato ‘adottata’ dalla comunità internazionale il Paese del Corno d’Africa sembra non aver trovato ancora la giusta via verso la sospirata riconciliazione nazionale.  A Londra, nel corso del suo intervento il premier britannico Cameron ha espresso enorme preoccupazione di fronte a questo scenario davvero terribile. “Non è solo una questione somala, è in gioco la sicurezza del mondo intero”, ha spiegato il primo ministro inglese.

Ferdinando Pelliccia