Il sogno che non c’è – di Orsik

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Sono bastate le prime dichiarazioni di Romano Prodi sulla concessione della cittadinanza italiana agli immigrati “di successo” -così li chiama lui- promessa dopo 5 anni anziché gli attuali 10 previsti dalla Legge Bossi-Fini, per alimentare il sogno di migliaia di disperati riversatisi in mare a bordo di imbarcazioni fatiscenti guidate da scafisti-schiavisti senza scrupoli. Oppure lasciati soli allo sbaraglio, forniti di una semplice bussola in aperto mediterraneo, per raggiungere un miraggio che non c’è. L’epilogo di queste storie è sempre lo stesso (ma non ci si sente responsabili di questa colossale illusione?): la morte o la clandestinità, con il bagaglio che comporta: lavoro nero nel migliore dei casi, oppure microcriminalità, spaccio, furto e violenze di vario genere.
Prima di diventare immigrati “di successo”, sempre ammesso che lo diventino, queste persone arrivano clandestine e, in quanto tali, con poche speranze di inserimento nella società e prospettive di normalizzazione. Ma perché arrivano in così grande quantità, sia dal mare che dalla terra ferma, sfidando la sorte e la legge? Perché sanno che in Italia tutto si “aggiusta”, tutto si spalma, tutto si acquieta, tutto si apre. Comprese le carceri. I clandestini arrivano per la maggior parte da paesi islamici, che hanno culture e abitudini totalmente diverse dalle nostre, regole religiose inconciliabili con il sistema di vita occidentale, una visione della società e dei diritti civili incompatibile con una democrazia matura. E non hanno nessuna voglia di cambiare e adeguarsi al paese che li ospita. Quelli che si integrano sono la minoranza, costituita da persone solitamente acculturate, in grado di mantenere le loro tradizioni rispettando le nostre. Con dignità cercano di affrancarsi dalla povertà e si adoperano per mantenere se’ stessi e le proprie famiglie. Ma la maggioranza di clandestini che arriva sulle nostre coste, purtroppo, è costituita da persone che hanno un preoccupante “pedigree”, per i quali delinquere è abituale e ineluttabile, quasi un sistema di vita. Magari tentano l’inserimento nella società attraverso lavori onseti, ma appena qualcosa va storto tornano senza battere ciglio al loro vecchio “mestiere”, sicuramente più redditizio.
Padova è diventata il laboratorio più accreditato di questa teoria, la prova inconfutabile che il recupero degli immigrati che delinquono, soprattutto se concentrati in una o più zone di una stessa città, è pressoché impossibile.
E’ indubbio che l’arrivo massiccio di clandestini registrato negli ultimi mesi è la conseguenza dell’apertura che il governo di centro sinistra ha fatto alla concessione della cittadinanza agli immigrati. I quali, nei loro viaggi della speranza, sono favoriti dai loro governi, che in questo modo ripuliscono le loro prigioni e ingolfano le nostre. Che ogni tanto si aprono e ne fanno uscire migliaia. Per diminuire la spesa pubblica, ci dicono, per favorire il reintegro. Lo scandalo è che i paesi che generosamente inviano in Italia i gommoni dei disperati poi ci chiedono soldi per fermare il flusso. E noi subiamo il ricatto.
In Italia siamo tutti d’accordo sul principio di solidarietà: dare una mano ai bisognosi è regola cattolica, e noi siamo cattolici. Per lo stesso motivo perdoniamo. Ma così non va. L’Italia non è un paese in grado di ospitare chiunque e ovunque.
Non si tratta di razzismo, ma di sano realismo. Un paese come il nostro, che conta milioni di disoccupati, irrisolti problemi di assistenza sanitaria e pensionistica, altissimo indebitamento e deficit pubblico, bisogna avere il coraggio di dire basta alla politica dell’ammiccamento, del “volemose bene”, del finto multicuralismo. Gli italiani sono stanchi di governanti che creano false illusioni agli immigrati (soprattutto clandestini), e sono frustrati dall’aumento incontrollato e incontrollabile della microcriminalità. I milioni di italiani indigenti e senza casa, oppure costretti a pagare affitti esorbitanti, sono feriti nella loro dignità di cittadini di serie B. Per non passare da antiorientali, abbiamo deciso di spendere milioni di euro in una missione, quella libanese, molto più rischiosa di quella dell’Irak e che non contempla il disarmo degli hezbollah, il cui unico progetto è quello di distruggere Israele, unica democrazia in medio oriente.
Una missione che ha tutto il sapore della propaganda di regime, volta ad assicurarsi i voti di coloro che, entrati clandestini, sarano regolarizzati e pronti per l’urna.
Ma la sinistra non aveva detto che bisognava ritirarsi dai fronti “caldi”, che tutte le missioni di pace mascherano una guerra? Mah! In attesa di capire dove soffierà il vento domani, togliamo i crocefissi dalle aule scolastiche e costruiamo moschee con i soldi pubblici, com’è successo a Padova.
Se qualche paese europeo occidentale offrisse le stesse illusioni che offre l’Italia, quasi quasi sarebbe meglio emigrare.
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