Sul sito: www.wikio.it vi è riportato un interessante articolo in cui si legge che secondo l`emittente televisiva araba `Al Jazeera`, che a suo tempo aveva intervistato uno dei portavoci dei pirati cercando conferme alle dichiarazioni da parte dei governi, gli atti di pirateria, troverebbero spiegazione, oltre che nell’ovvio obiettivo del denaro, anche nel tentativo di impedire i loschi traffici inerenti i rifiuti tossici, che riguardano il territorio somalo.
Sul sito www.italosomali.org poi, è possibile leggere: “il fenomeno è ben lontano dalla sua cessazione o che sia finito. E` chiaro che chi perpetra tale scempio lo fa in nome di un interesse legato al denaro e quindi al guadagno e difficilmente rinuncerà a questo. Le imprese mondiali trovano conveniente la Somalia o qualsiasi altro Paese africano, per liberarsi dei rifiuti, il costo è meno di 2,50 dollari per tonnellata, mentre i costi di smaltimento dei rifiuti altrove sono pari a circa 1.000 dollari a tonnellata”. “Si parla tanto di mondializzazione e «villaggio globale» ma a volte abbiamo l’impressione che qualcuno consideri l’Africa come la «fossa biologica» di questo villaggio”. Questa è un affermazione fatta dall’ecologista senegalese Haidar el Ali commentando il grave caso di inquinamento ambientale accaduto in Costa d’Avorio, dove il 20 agosto del 2006 il cargo «Probo Koala» noleggiato dalla multinazionale olandese «Trafigura Beheer Bv», scaricò illegalmente almeno 500 tonnellate di rifiuti tossici ad Abidjan, provocando decine di morti e migliaia di intossicati, circa 37mila. Un episodio, quello accaduto in Costa d’Avorio, che non è stato certo ne il primo e nemmeno l’ultimo di una lunga serie, ma solo uno dei pochi venuti alla luce. Oggi nel mondo si alza alto il grido d`allarme quando viene presa in ostaggio una nave da parte dei pirati somali, mentre non si ode una sola voce quando le navi, che si ancorano al largo delle coste della Somalia, scaricano nel suo mare rifiuti tossici. Sostanze che poi sono emerse in parte, spargendosi lungo le coste somale, dopo lo tsunami del dicembre 2004. Si continua a tacere sul traffico di rifiuti tossici in Somalia, come in tutta l`Africa, e intanto la gente continua a morire. Sembra che anche alcuni soldati del contingente italiano in Somalia negli anni `90 forse sono rimasti vittime di contaminazione. Conseguenza questa della loro esposizione a sostanza tossiche o radioattive stoccate clandestinamente nella zona dove erano stati destinati durante la missione di pace «Ibis» in Somalia al tempo della guerra civile tra i clan somali rivali, 1992-94. Il mondo è a conoscenza di questo problema, conosce l`esistenza dell`inquinamento e delle sua cause. Già nel 1996 l’europarlamento aveva chiesto ufficialmente ai governi di Gran Bretagna, Italia e Spagna di «rimpatriare» i rifiuti tossici esportati illegalmente in Sudafrica da una multinazionale per loro conto. In quel caso, centinaia di tonnellate di rifiuti contenenti mercurio hanno gravemente nociuto alla popolazione locale provocando inoltre enormi danni ambientali. Esiste a Dakar in Senegal, un centro per la protezione del mare, l‘«Oceanium». A fondarlo è stato nel 1984 Haidar El Ali. L`ecologista senegalese già allora denunciava quanto avveniva affermando che: “il trattamento o l’abbandono di rifiuti pericolosi in Africa è di gran lunga più economico che nei Paesi più industrializzati”. “Operazioni queste che a volte sono state autorizzate da gruppi o funzionari corrotti che avevano bisogno di denaro per comprare armi”. Ed è infatti nell`acquisto di armi che finiscono la maggior parte dei proventi ricavati dalle azioni piratesce nel mare del Corno d`Africa. In Somalia si combatte una guerra e il bisogno di armi e forte ma per procurarsele occorre denaro, molto denaro. Ed è chiaro che più un clan si arricchisce, più diventa potente è pericoloso per gli altri clan avversari e ancor di più è per questo che i tanti gruppi armati somali si sentono ormai sempre più in diritto di attaccare qualunque nave incroci le loro acque. Lo scorso 16 aprile il presidente di «Slow Food Italia»`, Roberto Burdese affermava che: “Anche i pirati del mare possono essere figli dell`inquinamento”. Un intervento fatto in occasione della presentazione di «Slow Fish», il salone dedicato alla pesca e alle sue problematiche svoltosi lo scorso mese a Genova.
Burdese aveva lanciato un grosso allarme e ribadito quanto “l`emergenza mare presenta conseguenze a vasto raggio, persino impensabili come la pirateria”. “Quello che sta succedendo nelle acque della Somalia, aveva detto il numero uno di Slow Food Italia, rappresenta solo la punta di un iceberg che è emerso da oltre 20 anni e che ha riguardato soprattutto i pescherecci”. “La pirateria che oggi costituisce un pericolo internazionale sempre più allarmante nasce anche da un problema legato all`inquinamento – aveva continuato Burdese aggiungendo che – quelli che sono diventati pirati, una volta nella grande maggioranza erano pescatori: poi hanno scelto la strada facile e redditizia della malavita anche per le difficoltà sempre crescenti di ottenere buoni risultati dalla loro attività di pesca“. Burdese aveva concluso affermando che “le coste somale sono diventate le più inquinate di tutto il continente e quel poco prodotto che il mare può ormai offrire è appannaggio delle grandi flotte che monopolizzano la pesca nel Mediterraneo”. I pirati somali sequestrano ogni tipo di nave: yacht privati, pescherecci, petroliere e soprattutto mercantili. Per poi chiederne per il rilascio riscatti milionari, come quello chiesto all`Italia per il rilascio del rimorchiatore «Buccaneer» e i suoi 16 membri dell`equipaggio. Due milioni di dollari è quanto hanno chiesto per liberarli ma il governo italiano si rifiuta di trattare e di pagare e ne chiede invece, inverosimilmente, il rilascio incondizionato. Le trattative per il Buccaneer le conducono le autorità del Puntland, la regione semiautonoma della Somalia del Nord Est al largo delle cui coste è alla fonda la nave italiana, in stretto coordinamento con il governo di Roma. La vicenda non è ben chiara: secondo le autorità regionali somale le 2 chiatte provenienti dall`Egitto e trainate dal rimorchiatore italiano trasportavano rifiuti tossici. Il governatore della regione, Mohamoud Said Nur, nei giorni successivi al sequestro aveva affermato che: “Dobbiamo dirlo chiaramente, sia il rimorchiatore italiano sia i 2 pescherecci egiziani, le tre imbarcazioni viaggiavano insieme, sono stati sequestrati da forze della sicurezza locale e le ragioni del sequestro non hanno nulla a che fare con la pirateria”. Affermazioni queste che sono state sempre smentite dalla «Micoperi», la società di Ravenna armatrice della nave. In realtà si continua a sapere molto poco sulla questione. Una sorta di muro di gomma si è eretto, come del resto è sempre accaduto in casi «anomali» e non «giustificabili». Un fenomeno quello della pirateria che sta costringendo di fatto molte compagnie marittime a rivedere le loro rotte, e facendo anche salire alle stelle i premi assicurativi oltre che destabilizzando i traffici commerciali via mare, a partire da quelli del petrolio a cavallo tra Asia ed Europa.
Un fenomeno, che nonostante l`impegno profuso negli ultimi mesi dall`azioni di contrasto messa in atto da Unione europea, NATO e molti altri Paesi in maniera indipendente, è ben lontano dall`essere vinto. Nel «mare dei pirati» agisce una potenza navale senza precedenti e che ha base a Camp Lemonier, Gibuti, la maggiore infrastruttura militare realizzata dagli americani nel continente africano. La pirateria di oggi è indubbiamente parte di una rete criminale ben organizzata. I pirati sono dotati delle più moderne tecnologie, e proliferano e crescono soprattutto lungo le coste somale. Un Paese dove l`instabilità politica è altissima e che dura da circa un ventennio. L’Italia nello scacchiere somalo esercita un ruolo non secondario. Le due flotte navali antipirateria, quella NATO e quella europea, dispiegate al largo del mare della Somalia per prevenire i sequestri di cargo hanno avuto dalle autorità di Roma un grosso contributo in uomini e mezzi. Addirittura la missione NATO lo scorso anno è stata posta sotto comando dell’ammiraglio italiano Giovanni Gumiero. Dopo il cacciatorpediniere «Durand de la Penne», dotato di sofisticati sistemi lanciamissili e cannoni navali ora in quelle acque funge da pattugliatore la Fregata lanciamissili antisom «Maestrale». L`unità navale in questo periodo è parte del tentativo di trovare una via di salvezza per i marittimi italiani ostaggi, insieme alla loro nave, dei pirati somali. Sequestratori che si sentono sempre meno sicuri e sono diventati ormai nervosi e quindi possano compiere gesti o ritorsioni che possono mettere in pericolo la vita degli ostaggi e in particolare degli italiani. Ostaggi di cui le famiglie rimaste in Italia, ad aspettare il loro ritorno a casa, non riescono più ad avere notizie. La vicenda richiama alla memoria l`episodio accaduto nel 1994 al peschereccio italiano d`altura, l`«Airone», di proprietà di una società di Bari, la «Meridional Pes ca», catturato al largo delle coste somale vicino al porto di Bosaso con a bordo 30 marittimi, di cui 8 italiani. Il riscatto pagato fu allora di appena, si fa per dire, 350mila dollari. Nel frattempo il numero degli ostaggi in mano alle «gang del mare» somale continua ad aumentare e nel solo 2008 gli ostaggi hanno fruttato loro circa 100milioni di euro. Attualmente, nelle loro mani, risulta che ci siano almeno 270 marittimi tra i quali i 10 italiani che fanno parte dell`equipaggio del rimorchiatore «Buccaneer»: Mario Iarlori, comandante, iscritto alla Capitaneria di porto di Ortona (Chieti); Mario Albano, primo ufficiale di coperta, iscritto alla Capitaneria di Porto di Gaeta (Latina); Tommaso Cavuto, secondo ufficiale di macchina, iscritto alla Capitaneria di Porto di Ortona (Chieti); Ignazio Angione, direttore di macchina, iscritto alla Capitaneria di Porto di Molfetta (Bari); Vincenzo Montella, marinaio, iscritto alla Capitaneria di porto di Torre del Greco (Napoli); Giovanni Vollaro, marinaio, iscritto alla Capitaneria di porto di Torre del Greco (Napoli); Bernardo Borrelli, marinaio, iscritto alla Capitaneria di porto di Torre del Greco (Napoli); Pasquale Mulone, marinaio, iscritto alla Capitaneria di Porto di Mazara del Vallo (Trapani); Filippo Speziali, marinaio, iscritto alla Capitaneria di Porto di San Benedetto del Tronto (Ascoli Piceno); Filomeno Troino, cuoco, iscritto alla Capitaneria di Porto di Molfetta (Bari). Dieci italiani che le loro famiglie sperano di riabbracciare presto al loro rientro in Italia sani e salvi. Nelle rare telefonata ricevuta dai familiari degli ostaggi, i prigionieri chiedono di “fare presto”: e il tono della voce è di chi è terrorizzato dall`esperienza che sta vivendo.
Ferdinando Pelliccia