In Somalia questo l`hanno capito e stranamente c`è stata una recrudescenza del fenomeno della pirateria nell`ultimo biennio. Il clamore internazionale che esso suscita in tutto il mondo, serve infatti a far giungere nel Paese del Corno d`Africa nuovi aiuti internazionali che rendono ben di più delle stesse azioni piratesche.
Ogni volta che i Paesi «donatori» per la Somalia si incontrano, viene sempre stanziata una cospicua somma di denaro per gli aiuti umanitari e da un po’ di tempo anche in chiave antipirateria.
E` questa infatti la nuova voce inserita nell`agenda di ogni incontro.
Gli interventi umanitari dell`Italia in Somalia, finanziati finora con circa 26 milioni di euro nel biennio 2007-2008 e poi con una successiva erogazione di oltre 43milioni di euro nell`arco degli ultimi quattro anni, collocano saldamente l`Italia tra i primi cinque di questo gruppo di donatori del Paese africano.
Purtroppo il governo somalo di transizione, TFG, del Presidente Sharif Ahmed forse non riuscirà a gestire fino in fondo questi aiuti ma una buona parte li riceverà e chissà potrebbe riuscire a distribuirli anche se appare difficile visto che controlla solo una piccola parte del territorio somalo; il resto è in mano ai miliziani islamici.
Il 10 giugno scorso in un rapporto dell`Unione africana, UA, pubblicato in prima pagina dal quotidiano panarabo “al Hayat”, l`organizzazione africana si diceva molto preoccupata per la precaria situazione generale nel Paese.
Nel documento è scritto chiaramente che: “La popolarità del presidente somalo Ahmed continua a scemare, giorno dopo giorno, da quando è stato eletto a gennaio”.
“L`appoggio garantitogli dal suo clan, gli Abgal, sottoclan degli Hawiye – continua il rapporto dell`UA – non è all`altezza dei pericolo che si trova ad affrontare”.
Inoltre il rapporto afferma che il Presidente somalo avrebbe ricevuto aiuti finanziari da alcuni Paesi Occidentali per ottenere l`appoggio del suo clan, sia morale sia militare. Circa 20mila giovani volontari Abgal avrebbero così risposto all`appello del presidente di arruolarsi nell`esercito e nella polizia, ma la maggior parte di questi sono attratti soprattutto dai soldi e dalle armi, e solo poco più di un centinaio di loro combatte veramente.
Questo spiegherebbe anche l`enorme divario tra i combattenti islamici, che si battono per uno scopo, e le milizie governative, che combattono per denaro e non credono affatto nel governo e nei suoi ministri, sottolinea in particolare il rapporto.
Tuttavia, continua il rapporto del`UA, l`opposizione non ha le capacità per rovesciare il governo transitorio fino a quando saranno presenti le forze africane. Per costituire un pericolo reale, gli islamici hanno bisogno di altri 6 mesi. Per ora i combattimenti stanno garantendo agli islamici una notorietà che tornerà loro utile per ottenere sostegno all`estero ed esperienza militare, necessaria per i prossimi conflitti, sottolinea il rapporto.
Un quadro davvero allucinante quello dipinto dal rapporto dell`UA ma che rispecchia la realtà.
Il governo somalo ha i mesi contati eppure l`Italia e altri Paesi continuano ad erogare aiuti economici pur sapendo che forse difficilmente arriveranno a destinazione.
Forse l`operazione nasconde altre verità e intenti.
Di recente è stata promossa la proposta di istituire una Guardia Costiera somala sotto l’egida del governo di transizione somalo, dimenticando sempre che per ora esso ha il controllo solo di alcuni quartieri della capitale. Quindi sarà stanziato un nuovo flusso di denaro che i «donors» occidentali dovrebbero devolvere al TFG.
Un fatto questo che ha risvegliato enormi interessi; il rischio, che gran parte di questo denaro finisca nelle mani di chissà quali personaggi, è fortissimo.
Subito dopo la conferenza internazionale sulla Somalia svoltasi nei giorni scorsi a Roma, dove è nata la proposta, nel porto di Harardhere, che è il più importante covo pirati sulla costa orientale somala, si è creato spontaneamente un «Comitato di sorveglianza antipirateria» che avrà il compito di contrastare il fenomeno e mediare i riscatti.
Sagole Ali, portavoce da sempre dei «Somali Marine», la gang di pirati che hanno base ad Eyl, l`altro importante covo pirata sulla costa somala, ne fa parte. Questo dovrebbe essere indicativo per tutti e far capire quale è il vero intento dell`operazione “guardia costiera somala”.
D`altronde i «Somali Marine» sono niente di meno che la banda dei pirati che ha catturato il rimorchiatore Buccaneer sequestrato l`11 aprile scorso nel Golfo di Aden. La nave è tuttora nelle loro mani e con essa sono trattenuti in ostaggio anche i 16 marinai dell`equipaggio di cui 10 italiani a bordo e 5 romeni e un croato.
I pirati quindi si trasformano in Guardie Costiere?
Indubbiamente chi legge avrà abbozzato un sorriso!
Ebbene non ci si deve stupire.
A questo punto entra in gioco la convenienza e l’opportunità. Potrebbe essere un mezzo che permetta di ottenere la liberazione dei marittimi italiani ostaggi da oltre due mesi dei pirati somali.
Questa è la vera chiave di lettura per comprendere anche il netto rifiuto delle autorità della regione del Puntland, sulle cui coste hanno le basi i pirati e per questo è considerata la nuova Tortuga, ad ogni forma di mediazione su base economica con i pirati ma invece disponibili a un`azione militare per liberare gli ostaggi del Buccaneer.
Il governo, autoproclamatosi, della regione autonoma del Puntland per mezzo delle sue strutture amministrative e di polizia in passato ha svolto sempre un ruolo di mediazione nelle trattative con le bande di pirati, intascando ovviamente un compenso per l`opera prestata, oggi invece, è contrario a qualunque accordo e spinge verso una soluzione militare. Un modo questo per apparire credibile agli occhi della Comunità internazionale e sedersi poi al tavolo degli aiuti e partecipare al banchetto.
Però il gioco è stato scoperto! Quando all`inizio di maggio il sottosegretario agli Esteri Margherita Boniver si è recata in missione nella regione per trattare il rilascio degli ostaggi del Buccaneer c`è stato l`epilogo della vicenda. La Boniver ha accusato a chiare lettere il presidente del Puntland, Abdirahaman Mohamed Farole, di essere d`accordo con i pirati e ha chiesto che gli ostaggi del Buccaneer fossero liberati immediatamente e senza condizioni. Aggiungendo che qualsiasi atto ostile compiuto nei loro confronti sarebbe stato ritenuto come un atto ostile compiuto contro l`Italia.
A riprova di questo i rappresentanti del Puntland sono stati significativamente i grandi esclusi alla conferenza internazionale sulla Somalia svoltasi a Roma.
Il Puntland era avvisato e da allora tante cose sono accadute ma ai 10 marinai italiani non è stato torto un capello. Dei loro compagni di sventura, i 5 romeni e il croato, da quando sono stati sbarcati a terra non si è saputo più nulla ma dei 10 marittimi italiani, la Farnesina continua ad informare le loro famiglie in Italia assicurando che i loro cari stanno bene e presto ritorneranno a casa.
Forse per fine mese come ha recentemente affermato il sottosegretario agli Esteri Enzo Scotti in un colloquio telefonico avuto con le famiglie dei marittimi campani.
Nel bel mezzo di questi giochi di denaro e di potere ci sono quindi gli ostaggi del Buccaneer e ovviamente i circa 200 marittimi delle oltre 15 navi catturate e ancora trattenute dai pirati. L`intuito porta a pensare che la pirateria nel mare del Corno d`Africa dimostra un grave pericolo per gli interessi commerciali legati alla navigazione. In altri posti del mondo come il Borneo e l`Indonesia il fenomeno è piuttosto ampio ma in quei luoghi non è scattato l“allarme rosso `. Nel mare della Somalia invece è stata inviata una flotta internazionale in armi i cui costi per mantenerla sono davvero altissimi mentre la loro presenza appare relativamente utile. In molti però tendono a mascherare questa “relativa utilità” nel fatto che la flotta non ha un coordinamento unico ma bensì suddiviso. Per pattugliare un mare così ampio ci vorrebbero almeno 500 navi da guerra che ora invece sono appena 25.
Senza considerare che l`area dove agiscono i pirati si sta allargando ancora di più.
Gli abbordaggi si stanno verificando anche al largo dell`arcipelago delle Seychelles.
Non è questo il modo per difendere la libertà di navigazione e di libero commercio; se si continua su questa strada la comunità internazionale rimarrà per sempre presa nel gioco dei pirati e di iniziative come quella delle sedicenti Guardie Costiere.
Sarebbe opportuno una convinta e decisa azione politica internazionale congiunta per promuovere una mediazione tra tutte le parti coinvolte in Somalia.
Ferdinando Pelliccia