Oggi è scattato il quarto giorno del sequestro al largo delle coste somale, da parte dei pirati somali, del peschereccio spagnolo Alakrana di proprietà della ‘Echebastar flotta’. Al governo spagnolo è chiaro che non resta altra scelta che negoziare con i pirati che trattengono in ostaggio il peschereccio e il suo equipaggio. Non si tratta di cedere ad un ricatto, come molti invece sostengono, ma solo di cercare di raggiungere un compromesso, mediato, per raggiungere, in breve tempo, alla soluzione della vicenda e riportare a casa sani e salvi l’equipaggio della nave da pesca. Una consapevolezza questa che l’esecutivo madrileno ha fatto sua fin dalle prime ora del sequestro. Per questo motivo sono stati immediatamente avviati contatti in Somalia con i clan coinvolti nella pirateria. La vera necessità è evitare ai marittimi della nave da pesca, soprattutto i 16 spagnoli, una prolungata e dolorosa prigionia al largo delle coste della Somalia, come è accaduto in casi precedenti che hanno visto coinvolti altri Paesi, non ultima l’Italia. Quindi la parola d’ordine è ‘trattare’. D’altronde lo hanno fatto finora tutti i governi dei Paesi le cui navi e connazionali sono stati coinvolti in azioni di pirateria. Nessuno infatti si è potuto sottrarre al compromesso ne al pagare un riscatto per ottenere il rilascio della nave sequestrata. Del resto è questo lo scopo per cui i pirati assaltano le navi nel mare del Corno d’Africa. Un’attività criminale che è diventata molto remunerativa. E’ stato stimato che un pirata ‘guadagni’ in un anno dalla sua attività, in media, dai 10mila ai 30mila dollari. L’ultimo caso eclatante di sequestro di una nave e del suo rilascio dietro il pagamento di un riscatto, anche se l`autorità italiana nega, è quello che ha visto coinvolta l’Italia. Un battello battente il tricolore, il rimorchiatore d’altura ‘Buccaneer’, con 16 membri d’equipaggio di cui 10 italiani. Venne infatti catturato dai pirati nel Golfo di Aden l’11 aprile scorso e venne poi rilasciato il 9 agosto scorso. Quattro lunghi mesi di dura prigionia per i 16 marittimi ma anche 4 mesi in cui si è assistito ad un lungo e interminabile braccio di ferro tra diplomazia italiana, fortemente in difficoltà nell’aprire validi canali di contatto con i sequestratori, e i pirati, che non hanno mai mollato la presa se non dopo aver ricevuto, con buona probabilità, la cifra di circa 8 milioni di dollari per rilasciare nave ed equipaggio. Non può essersi trattato di una resa da parte dei pirati, come in molti vogliono far credere, anche perché sarebbe la prima volta che dopo aver assaltato una imbarcazione, al solo scopo di trarne profitto, i pirati lasciassero la preda andando via a mani vuote. Non è dunque plausibile che siano stati liberati soltanto grazie a una trattativa, che, secondo le nostre autorità, alla fine ha permesso di riportare sani e salvi a casa degli uomini; uomini che erano lì solo per lavoro e non certo per fare la guerra o gli eroi.
Il governo spagnolo, forse anche forte dell’esperienza degli altri Paesi, già dalle prime ore del sequestro si è mosso nel cercare validi contatti con i pirati. Per ora ‘protagonista’ delle trattative è l’ambasciatore di Spagna in Kenya, Nicolas Martin Cinto. Immediatamente l’ambasciatore si è infatti attivato contattando persone coinvolte con i ‘predoni del mare’ affinché permettessero la comunicazione tra l`equipaggio dell’ ‘Alakrana’ con le loro famiglie in Spagna. A sostegno dell`operato dell’ambasciatore il ministero della Difesa di Madrid ha deciso di inviare nell’area agenti dei servizi spagnoli, ‘Centro nazionale di intelligence’, Cni, per far si di arrivare a breve a una soluzione della vicenda. In verità il diplomatico si è già mostrato una figura chiave in un precedente negoziato con i pirati. Cinto infatti ha fatto da intermediario nelle trattative seguite al sequestro del peschereccio spagnolo ‘Playa de Bakio’. La nave venne catturata dai pirati somali nell’aprile del 2008 e rilasciata ovviamente, solo dopo il pagamento di un riscatto di un milione e 200mila dollari, una settimana dopo. Dopo la soluzione del sequestro, il `Playa de Bakio` non è più tornato alla pesca nell`Oceano Indiano ma è ora impiegato nell`Atlantico. Per cui la Spagna in queste ore sta muovendosi su tre fronti per ottenere la liberazione gli ostaggi: militare, diplomatico e di intelligence. L’operato del governo di Madrid sulla gestione della vicenda del ‘Playa de Bakio, venne fortemente criticato come lo è anche ora. L`azione del governo è stata infatti messa in discussione da diversi fronti. In particolare dal leader del ‘partito popolare’, PP, Mariano Rajoy, che domenica ha accusato il premier José Luis Rodríguez Zapatero di essere responsabile del sequestro del peschereccio in quanto non sono state adottate tutte le misure per prevenire il verificarsi. Dopo le critiche dell`opposizione, il portavoce del ‘PSOE’, José Antonio Alonso, ha assicurato che il governo sta lavorando instancabilmente per risolvere la vicenda e portare in salvo i 36 marinai, dell`equipaggio. Il portavoce socialista ha criticato l`atteggiamento di Rajoy definendolo intollerabile, incomprensibile e assolutamente irresponsabile. Però il leader dei popolari spagnoli ha insistito definendo l`atteggiamento del governo, in materia di pirateria nell`Oceano Indiano, basato sull’improvvisazione e irresponsabilità. Raiov ha ricordato che il sequestro dell’Alakrana non è il primo episodio del genere che ha colpito dalla flotta da pesca spagnola. Il riferimento era al `Playa de Bakio`, il peschereccio catturato dai pirati lo scorso anno mentre pescava in acque internazionali di fronte alle coste della Somalia. Ironia della sorte uno dei marinai dell’Alakrana, ora in mano ai pirati somali, faceva parte del suo equipaggio. Si tratta di Juan Pedro Cesma. La storia dunque per il marittimo si ripete e anche a casa per la moglie Mari Carmen che ora sta rivivendo l`incubo dell’anno prima. Con la consapevolezza di chi conosce quale angoscia colpisce i familiari di chi è in mano ai pirati e sapendo che ogni giorno qualcosa potrebbe accadere, anche di brutto. La donna è stata presa da una forte disperazione e ora incalza il governo spagnolo pretendendo che faccia qualcosa al più presto per riportare sano e salvo il marito a casa. Mari Carmen deplora la mancanza di protezione per i pescatori spagnoli nell`Oceano Indiano. “ogni volta che mio marito parte per lavoro, a me sembra che vada in guerra”, in queste parole, pronunciate dalla moglie di Juan Pedro, traspare tutta l’angoscia e la paura che attanaglia le famiglie dei marittimi che si devono recare per lavoro ‘nel mare dei pirati’. Una paura che le associazioni di pescatori dei Paesi Baschi e Galizia hanno più volte fatto presente alle autorità spagnole chiedendo protezione militare. In queste ore gli occhi del Paese sono rivolti al ministro della Difesa, Carmen Chacon. Tutti si aspettano che sia lei a ‘guidare’ con maestria il salvataggio della nave da pesca spagnola e del suo equipaggio. Nei giorni scorsi il ministero della Difesa ha sostenuto che il peschereccio era al di fuori della zona di sicurezza su cui vigilano le navi da guerra spagnole. La vicenda è costantemente monitorata dalla ‘Commissione di coordinamento del governo’ istituita dal ministero degli Esteri spagnolo dopo il sequestro dell’Alakrana. Membri della Commissione sono personalità di spicco del governo spagnolo, ad indicare la forte attenzione dell’esecutivo madrileno alla vicenda. A capo è stata posta il vice primo ministro Maria Teresa Fernandez de la Vega. Vi fanno parte anche il ministro della Difesa Carmen Chacon; dell`ambiente, Elena Espinosa; il segretario di Stato agli Affari Esteri, Angel Lossada; il segretario generale del Mar, Juan Carlos Martin Fraguerio; il Capo di Stato Maggiore della Difesa, José Julio Rodríguez Fernández; il direttore del Cni, Felix Sanz Roldan. Nel corso della crisi per il sequestro della nave italiana ‘Buccaneer’ una medesima struttura fu attivata all’interno dell’Unità di crisi del ministero degli Esteri italiano. Essa aveva le stesse modalità e scopi ma non certamente una così elevata valenza e capacità operativa. Il governo spagnolo ha evidentemente ravvisato che la gravità della situazione richiedesse la partecipazione attiva di personalità governative e del governo stesso alla gestione della vicenda Alakrana.
Ferdinando Pelliccia