Nel mese di luglio si è verificato un evento eccezionale per le Seychelles. Per la prima volta nella sua storia la Corte suprema dell’arcipelago dell’Oceano Indiano ha emesso una sentenza di condanna per 11 pirati somali. I predoni del mare sono stati condannati a 10 anni di carcere ciascuno per aver tentato di impadronirsi, lo scorso mese di dicembre, di una motovedetta della guardia costiera delle Seychelles in pattugliamento nel ‘mare dei pirati’. La Marina Militare delle Seychelles è anch’essa impegnata nel contrasto del fenomeno della pirateria marittima dilagante da anni al largo delle coste somale e nell’Oceano Indiano. Tra non molto, 5 sue unità navali ed un elicottero, affiancheranno le navi delle Marine Militari della coalizione internazionale che pattugliano il Golfo di Aden e l’Oceano Indiano. Il contributo del governo di Victoria però, va oltre e comprende anche l’installazione, su diverse isole dell`arcipelago, di un sistema integrato di radar e strumenti di comunicazione radio presto sarà reso possibile anche il monitoraggio del traffico marittimo locale. Un programma dal costo di 15 milioni di euro e frutto di un accordo con gli Emirati Arabi Uniti. Un impegno, quello delle Seychelles, dettato dalla necessità di rendere più efficace la lotta alla pirateria marittima per garantire maggior sicurezza alle navi che transita vicino alle sue coste. Soprattutto alle grandi navi da crociera che sbarcano turisti sull’arcipelago. Il turismo è l’unica grande fonte di guadagno del Paese. Oltre alla detenzioni per chi si dedica alla pirateria marittima c’è anche il rischia di subire una condanna alla pena capitale. E’ il caso dello Yemen che lo scorso 2 maggio ha condannato a morte sei pirati somali. Una sentenza emessa dal tribunale di Sanàa. I sei insieme ad altri sei complici, condannati a loro volta a 10 anni di carcere, avevano sequestrato lo scorso anno la petroliera yemenita `Qana´. Nel corso dell’arrembaggio i 12 pirati avevano provocato la morte di due membri dell`equipaggio della nave e il ferimento di altri quattro. La nave cisterna venne liberata, con un blitz dalle forze speciali della Marina Militare yemenita, lo scorso aprile. Fu proprio nel corso del blitz, durato 18 ore, e costato la vita a tre pirati, che morirono i due membri dell`equipaggio della nave. Con una sentenza di primo grado, il tribunale speciale yemenita ha anche condannato i pirati a pagare un`ammenda di un milione di dollari. Questa è stata di fatto la prima condanna a morte emessa da un tribunale contro pirati somali. Quello però, delle Seiychelles e dello Yemen non è l’unico caso in cui si è registrato una condanna di pirati somali. Il 17 giugno scorso a Rotterdam in Olanda un tribunale olandese ha emesso una sentenza di condanna a cinque anni di carcere per cinque uomini che il 2 gennaio 2009 erano stati intercettati da una nave militare danese nel Golfo di Aden, al largo della Somalia, mentre attaccavano il cargo turco, ‘Samanyolu’, battente bandiera delle Antille olandesi. Successivamente i prigionieri vennero poi, consegnati, dalla Marina Militare danese, alle autorità olandesi, che contro i cinque avevano emesso un mandato di arresto europeo. I cinque uomini vennero poi, condotti, il10 febbraio dello scorso anno, in Olanda per essere giudicati. Processo che è poi, iniziato lo scorso 25 maggio 2010 a Rotterdam in Olanda. Di fatto quello che si è celebrato è stato il primo processo in Europa contro dei pirati somali. Al termine delle indagini, il pubblico ministero aveva chiesto per i cinque detenuti sette anni di carcere. I pirati però, si erano tutti dichiarati innocenti sostenendo di essere pescatori e di aver avuto un problema al motore della loro nave. Uno di loro, nel corso del processo, si è lamentato del trattamento sostenendo che è colpa del fatto che l`Olanda ‘non ama i musulmani’.
E’ comunque dal giugno del 2008, da quando nel ‘mare dei pirati’ è operativa una prima missione navale anti pirateria, la Combined task force 151, Ctf 151, che la vita è stata resa più difficile ai pirati somali. Si tratta di una forza navale multinazionale a guida USA e a cui partecipano ben 14 Paesi dell`Europa, Africa, Asia e Oceania. La Ctf 151, che conduce operazioni di pattugliamento in un’area che comprendente il Golfo di Aden, il Mar Rosso, l’Oceano Indiano e il Mare Arabico. Una missione che poi, è stata seguita da diverse altre, tra cui una europea denominata ‘Atalanta’ divenuta operativa nel ‘mare dei pirati’ dal dicembre 2008. La Ctf 151 però è anche detentrice di un primato. Il primo colpo anti pirateria messo a segno da una delle missioni navale internazionali schierata nel Golfo di Aden per combattere i pirati somali è avvenuto nel mese di dicembre del 2008. A compierlo una nave da guerra della Marina Militare indiana. L’unità navale catturò 23 pirati di nazionalità somala e yemenita. I banditi del mare erano stati arrestati mentre stavano arrembando una nave mercantile nel Golfo di Aden. In seguito furono consegnati alle autorità dei rispettivi Paesi d`origine affinchè fossero giudicati, e se riconosciuti colpevoli, condannati. Però, la comunità internazionale, avendo necessità di avere la certezza che i pirati catturati fossero effettivamente giudicati ed eventualmente condannati, successivamente ha sottoscritto accordi con diversi Paesi africani in merito al trasferimento di persone sospettate di pirateria o terrorismo internazionale. Da allora tutti i banditi catturati nell’Oceano Indiano e nel Golfo di Aden sono stati trasferiti presso questi Paesi per essere detenuti, giudicati ed eventualmente condannati. Il Kenya è il capofila di questi Paesi africani. Da allora nelle acque al largo della Somalia qualcosa è cambiato. A correre un rischio non sono solo i marittimi imbarcati a bordo dei mercantili che vi transitano, ma anche i pirati che li attaccano. Un rischio quindi proporzionato. I governi dei Paesi che possono essere coinvolti in un sequestro di un loro imbarcazione da parte dei moderni filibustieri ormai sono preparati ad ogni evenienza. Specie da parte americana è stata predisposta una particolare strategia per fronteggiare gli attacchi dei pirati somali. Strategia che ha poi, fatto scuola per gli altri Paesi che l’hanno adottata. Questa tattica prevede lo sviluppo della cooperazione multilaterale, lo sforzo per potenziare le autorità legali internazionali, la stretta collaborazione con le società di navigazione, il tentativo politico e diplomatico per ridare una maggiore sicurezza e stabilità alla Somalia da cui provengono in gran parte i pirati. L’11 febbraio 2009 un altro grande colpo. L’incrociatore lanciamissili Uss `Vella Gulf`, che era l’allora nave ammiraglia della Ctf 151, intervenne per impedire l`arrembaggio del mercantile ‘Polaris’, battente bandiera delle Isole Marshall. Nel corso del suo intervento la nave statunitense blocco la piccola imbarcazione a motore che aveva assaltato il mercantile e catturò i 7 pirati che si trovavano a bordo. I prigionieri vennero poi, trasferiti, come da accordi, in Kenya dove le autorità di Nairobi li presero in custodia in attesa di giudizio. Sono ben tre le carceri che in Kenya ospitano pirati somali catturati finora dalle navi della coalizione internazionale anti pirateria marittima. Sono oltre 200 i pirati catturati finora e gran parte di essi sono stati giudicati e condannati da un tribunale keniota autorizzato dalla comunità internazionale. Da tempo però, molti Paesi, Russia in testa, auspicano la costituzione di una Corte internazionale che giudichi gli autori degli atti di pirateria. Sempre in Kenya sono stati condotti i 7 pirati somali arrestati alla fine del mese di marzo scorso da un`unità della marina tedesca quando hanno tentato di assalire una nave cisterna tedesca nelle acque del Golfo di Aden. La loro cattura è stata eseguita dalla Fregata `Rheinland-Pfalz`. Per la Germania è stata la seconda volta che pirati somali catturati venivano consegnati al Kenia in base agli accordi sottoscritti. Sabato 11 aprile 2009 si è poi, registrata la condanna a 20 anni di carcere per 10 pirati somali da parte del tribunale della regione semi autonoma del Puntland, nel nordest della Somalia. Lungo le coste di questa regione somala i pirati hanno stabilito i loro covi trasformandola nella moderna Tortuga. I dieci erano a bordo del cargo `Awail` battente bandiera somala che la guardia costiera del Puntland, aveva fermato nel mese di ottobre del 2008. Nel corso di questo processo, per la prima volta, uno degli imputati, Abdirashid Muse Mohamed, ha preso la parola e a nome dei compagni ha affermato: “Non siamo criminali. Il motivo per cui attacchiamo queste navi è che esse depredano le nostre risorse naturali”. Era di fatto la prima volta in assoluto che i cosiddetti pirati somali giustificavano le loro azioni come una ritorsione a quanto, secondo loro, la comunità internazionale compiva nel loro Paese. Questa sentenza emessa da un tribunale del Puntland non è l’unica. Analoghe sentenze, sempre emesse dal tribunale del Puntland, hanno condannato al carcere, anche a vita ,diversi altri pirati.
Ferdinando Pelliccia