E’ una data simbolica. Non è un caso se i cittadini dell’isola di Procida hanno scelto il Primo maggio per manifestare, attraverso una fiaccolata, il disaggio che l’intera popolazione isolana si trova ad attraversare. Il Primo maggio è la festa dei lavoratori: ma i marittimi tenuti in ostaggio dai moderni bucanieri del Golfo di Aden, non potranno festeggiarla. Procida è terra di marinai e pescatori, e come tutte quelle zone italiane dove l’economia si fonda sul mare, vivono un periodo di profonda crisi; crisi acuita dalla pericolosità delle acque che si trovano a solcare: i mari del corno d’Africa infestati dai pirati. Sono ben 4 i marinai di Procida che si trovano al momento sequestrati, con relative imbarcazioni (Savina Caylyn e Rosalia D’Amato), dai pirati somali. Una fiaccolata spontanea, venuta dal basso, dal ventre di questa stupenda isola di origine vulcanica “poggiata” nel Mediterraneo (mar Tirreno). Organizzata dalla popolazione locale, per lanciare un grido d’allarme sulle condizioni a cui sono sottoposti coloro che scelgono per amore e per necessità, la sfiancante vita al servizio del mare. Un appello affinché si rendano sicure le rotte che questi uomini di mare solcano stabilmente e si velocizzino le procedure per il rilascio dei marinai prigionieri davanti le coste del Puntland, regione semiautonoma a nord della Somalia. Nessun vessillo politico ne strumentalizzazioni, faranno capolino nella fiaccolata che domani si incamminerà per le vie della cittadina di Procida dalle ore 20, quando il corteo di fiaccole inizierà a muoversi da Marina Chiaiolella per concludersi in piazza Marina Grande.
Nonni, mamme, papà, mogli, figli, associazioni, studenti e insegnanti dell’istituto nautico dell’isola, si stringeranno attorno ai parenti dei marinai sequestrati e sfileranno in silenzio per manifestare il grande disaggio che il mondo intero della marineria sta attraversando a causa dell’escalation del fenomeno della pirateria, che ogni anno frutta svariati milioni di euro ai pirati; paura e sconforto ai prigionieri e parenti dei rapiti. Un modo civile per chiedere a gran voce la liberazione degli ostaggi e la trasparenza dell’istituzioni su quanto si sta facendo, al di là delle frasi di rito e di circostanza, affinché i lavoratori del mare imprigionati nelle loro imbarcazioni, possano fare ritorno sani e salvi e riabbracciare i loro cari.

Truman Siciliano

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