Non si fa mai abbastanza per una persona cara che si trova in pericolo. Deve essere questa la convinzione che sta animando da settimane i familiari e amici dei marittimi italiani ostaggi, dall’altra parte del mondo, dei pirati somali.
Eppure questa inquietudine potrebbe non essere condivisa da altri ritenendo che forse i familiari degli ostaggi si agitano troppo. E’ immaginabile il ragionamento che potrebbero fare costoro. In Somalia sono trattenuti, dallo scorso 8 febbraio, in ostaggio dai pirati somali la petroliera italiana, ‘SAVINA CAYLYN’ e il suo equipaggio composto da 5 italiani e 17 indiani. Ventidue uomini tenuti come animali in gabbia fino a quando qualcuno non pagherà per il loro rilascio, un riscatto. I cinque italiani provengono uno da Trieste, due da Procida e uno da Piano di Sorrento, in Campania e il quinto da Gaeta nel Lazio. I 17 marittimi indiani provengono invece, da Mumbai, Kerala e altre città dell`India. Chi non condivide potrebbe pensare che in questi giorni sembra che l’isteria abbia avuto il sopravvento sui familiari e amici dei 5 marittimi italiani prigionieri in Somalia. Come pure potrebbe criticare il fatto che non passa giorno che non giunga notizia di una loro iniziativa. E’ incomprensibile l’atteggiamento di queste persone, potrebbero pensare i contrari in quanto secondo loro in questo modo non lasciano lavorare bene il loro governo e in particolare la Farnesina che attraverso la sua Unità di Crisi cerca di avere tutto sotto controllo e di avere contatti diretti con i pirati somali…
Risultato che però, a quanto pare forse il ministero degli Esteri, pur lavorando alacremente ( ? ), non ha raggiunto. Mentre, i familiari, ‘scioccamente’ insistono nel voler sapere, conoscere come stanno i fatti. E’ davvero inaudita una simile presunzione potrebbe pensare chi dissente dalle loro manifestazioni e pensare ancora: “ Che possono rispondergli quelli della Farnesina, cosa possono inventarsi per acquietarli?”.
Nulla di più sbagliato. [b]Non si fa mai abbastanza per chi si sa in pericolo. Ormai una cosa è certa, non si può più aspettare, non si deve! E’ giunto il momento che gli struzzi tirino fuori le loro teste dal terreno e agiscano. Non è più tempo per le stesse sterili ed inutili chiacchiere dietro cui si cerca di nascondere le solite verità inconfessabili[/b]. Il governo italiano, la Farnesina, il ministro della difesa intervengano, si muovano per riportare a casa sani e salvi tutti i cittadini italiani ostaggi dei pirati somali, oppure dicano come stanno veramente le cose. Mentre sembra che predomini la parola ‘tergiversare’ nel frattempo, quei ‘poveri cristi’ stanno li in Somalia e non sono ne carne ne pesce. Sono solo degli ostaggi da scambiare con denaro. Però, di pagare un riscatto non se ne parla per niente. La politica scelta dal governo italiano, come molti altri governi, almeno ufficialmente, è quella di non trattare con i banditi e tantomeno pagare un riscatto. Se ci fossero negoziati questi sarebbero in corso solo tra armatore della nave, la ‘Fratelli D`Amato’ di Napoli e i pirati somali, mentre il governo italiano potrebbe giocare solo un discreto ruolo e dietro le quinte. Però, a quanto pare anche su quest’altro fronte si tira sul prezzo e, si rimanda.
Al momento sembra che si cerchi di prendere i pirati somali per stanchezza. Questa “tattica” sembra non essere ‘apprezzata’ in Italia da chi è a casa in attesa e che non accetta questa politica (e non possiamo dargli torto) e non accetta il dover aspettare mesi e mesi senza sapere se un giorno riabbraccerà i propri cari.
I parenti dei cinque marittimi italiani da settimane si sono giustamente mobilitati facendo riaccendere l’attenzione sull’intera vicenda. In questo modo hanno però, a detta della Farnesina, ‘minato’ il ‘serio’ lavoro condotto finora. La Farnesina nel frattempo stava infatti, faticosamente tessendo la tela, lavorando silenziosamente nell’ombra, molto silenziosamente tanto che non se ne sa nulla. Più volte dal ministro degli Esteri, Franco Frattini è giunto l’invito a tenere bassa l’attenzione sulla vicenda per poter meglio condurre le trattative. Trattative che forse avverrebbero anche con l’appoggio del governo di transizione somalo di Mogadiscio. Come era stato, forse, per il Buccaneer, il rimorchiatore italiano sequestrato nel 2009 con 16 uomini di equipaggio tra cui 10 italiani e rilasciato dopo 4 mesi. Ai familiari dei marittimi italiani ostaggi in Somalia appare ormai difficile accettare l’idea che l’attesa è l’atteggiamento più indicato in vicende del genere. Aspettare che i pirati mollino la preda dopo averla faticosamente catturata correndo mille rischi? Aspettare che cedano per stanchezza? Utopie. L’unica cosa certa è che appare incomprensibile che non si accetti di pagare qualche milione di dollari per riavere indietro i loro cari ed invece, si tergiversa anche se poi, alla fine si pagherà lo stesso come è stato fatto per il Buccaneer. Loro lo sanno bene visto che i pirati somali finora non hanno mai mollato una preda senza il pagamento di un riscatto. Sanno che i predoni del mare sono disposti anche ad attendere mesi se non anni per giungere al loro scopo. Nel frattempo, dai brevi colloqui telefonici gli ostaggi appaiono molto provati e spaventati dalle durissime condizioni che stanno vivendo. Dopo la cattura nave ed equipaggio vengono affidati in custodia ad altri predoni che vanno a viverci a bordo. Una promiscuità forzata che conduce anche a situazioni esasperanti dettate dal prolungarsi del sequestro e dal fatto che i somali sono molto dediti a consumare grandi quantità di khat, foglie euforizzante che masticano di continuo, e a bere alcoolici. Una miscela esplosiva che trasforma la prigionia dei marittimi catturati in un vero inferno. Un`esperienza che segna anima, mente e corpo. Per cui meno dura il sequestro meglio è per gli ostaggi! Se ne ha testimonianza dal racconto fatto al loro ritorno in Patria dai marittimi del ‘Buccaneer’. In Somalia sono ostaggi anche altri 6 marittimi italiani. Si tratta di parte dell’equipaggio della MV italiana ‘ROSALIA D’AMATO’ catturata lo scorso 21 aprile. Sono altri 4 campani, due di Procida, uno di Vico Equense e un altro di Meta di Sorrento. Gli altri due italiani ostaggi dei pirati somali sono invece, entrambi siciliani. Il resto dell’equipaggio sono filippini. Qui il silenzio è totale… E i mesi di prigionia crescono. Le due navi italiane sono alla fonda di fronte alle coste somale del Puntland, regione semiautonoma della Somalia. Si tratta di un territorio costiero dove si trovano tutti i covi dei pirati somali e, che è ormai, conosciuto come la moderna Tortuga.
Ferdinando Pelliccia