Sul tema della pirateria marittima in questi giorni è in corso un laborioso quanto gradito dibattito. Inoltre, un ‘grande’ passo in avanti è stato compiuto. In settimana infatti, a Roma è stato siglato il protocollo d`intesa tra ministero della Difesa e Confitarma, la Confederazione italiana degli armatori. Si tratta di una convenzione che consentirà a personale armato, militari della marina militare e di tutte le altre forze armate italiane e contractors forniti da società di sicurezza private italiane, di imbarcarsi a bordo dei mercantili italiani in navigazione nell`Oceano Indiano. I militari italiani imbarcati su cargo non saranno sottoposti alla catena di comando della nave, ma risponderanno alle gerarchie militari. Le scorte armate sono contemplare dall`articolo 5 del decreto legge del 12 luglio 2011. Il loro scopo è quello di proteggere le navi battenti il tricolore contro eventuali assalti dei pirati. Per ora è previsto l’impiego di 60 militari della Marina Militare appartenenti al Reggimento San Marco. Un ‘manipolo’ di uomini, suddivisi in 10 nuclei da 6 uomini ciascuno, i Nuclei militari di protezione, NMP. Essi potranno essere imbarcati sulle navi mercantili italiane dirette in area a rischio pirateria. Aree che sono state individuate dal decreto ministeriale, quello della Difesa, del primo settembre scorso. Una di queste aree individuata dal DM, che ha tenuto conto dei rapporti periodici dell`International Maritime Organization, IMO, è l’area geografica dell`Oceano Indiano, delimitata a nord ovest dallo Stretto di Bab El Mandeb, a nord dallo Stretto di Hormuz, a sud dal Parallelo 12°S e a est dal Meridiano 78°E.
Sempre a Roma, il 13 ottobre scorso, è stato fatto anche il punto sulla pirateria marittima e la sicurezza dei marittimi. Il protocollo d`intesa prevede che il costo del servizio scorta alle navi, da parte dei militari, se lo accollino gli armatori. Sul tavolo anche l`impegno della comunità internazionale nel proporre nuove misure di contrasto al fenomeno. Una due giorni che ha visto a ‘raccolta’, intorno ad un tavolo, i principali attori del fenomeno, ovviamente i ‘buoni’.
Che la pirateria marittima, nel mare del Corno D’Africa e Oceano Indiano, sia una minaccia costante alla rotta commerciale che collega l’Europa con l’ Asia è una certezza assodata da lungo tempo, almeno dal 2005. Il mare interessato dalla pirateria somala è molto vasto, non è solo quello del Corno d`Africa, ma anche dell`Oceano Indiano e Golfo Persico. Un mare attraverso cui transitano almeno 40mila navi e attraverso cui passa il 30% del petrolio il 20% delle merci per l’Occidente. Il danno economico derivante dagli atti di pirateria è stato stimano tra i 7 e i 12 miliardi di dollari l`anno. Ancor di più però, lo è per i lavoratori del mare, che imbarcati sui mercantili, solcano le acque infestate dai pirati somali. Per loro imbattersi nei predoni del mare e rischiare di essere attaccati e catturati è diventato un vero incubo. Per chi poi, cade nelle mani dei banditi somali è un vero e proprio Inferno. In mano ai pirati somali sono trattenuti in ostaggio almeno 500 marittimi di diversa nazionalità e almeno 34 navi. Undici marittimi e due navi sono italiani. Secondo stime ONU sono stati almeno 171 gli attacchi pirati registrati nei primi 6 mesi del 2011. In molti casi l’attacco è stato respinto grazie alla presenza di team di sicurezza a bordo. Comunque sia per contrastare questa minaccia la comunità internazionale si è mobilita tutta. Attualmente sono oltre 25 i Paesi, in barba a divisioni geografiche e politiche, che si sono mobilitati e a volte si sono uniti in missioni navali internazionali di contrasto al fenomeno della pirateria marittima. Sono oltre 50 le navi da guerra di diversa nazionalità, suddivise in 3 principali missioni navali internazionali; quella creata dal Pentagono e gestita dalla V Flotta USA, il ‘Combined Task Force, Ctf-151’, quello dell’Alleanza Atlantica ‘Ocean Shield’ e la missione `Atalanta` a guida Ue. Si tratta di unità navali da combattimento di diversi Paesi che sono state riunite sotto un’unica bandiera, e che da almeno tre anni combattono i moderni filibustieri somali. A queste missioni occorre associare anche quelle in forma individuale di molti altri Paesi. Tutto questo però, è servito solo a tamponare il fenomeno, ma non certo a debellarlo. Infatti, grazie alle scorte, fornite da questa navi militari, ai mercantili, si è registrato un forte calo del numero degli attacchi pirati. Un calo che però, in verità è più dovuto soprattutto al fatto che i pirati somali hanno cominciato più a guardare alla qualità che alla quantità. Catturando meno navi, ma di quelle che rendono molto, come le petroliere. Alla fine negli ultimi 9 mesi le navi catturate sono state una decina, ma nelle casse dei pirati somali sono entrati oltre 100 mln di dollari. Più di quanto avevano incassato nello stesso periodo del 2010. Si tratta si denaro proveniente dai riscatti pagati per il rilascio di navi e uomini catturati. Riscatti che variano dai 5 ai 10 mln di dollari a nave. Dalla metà di agosto, sono state rilasciate, in cambio di un riscatto, almeno 10 imbarcazioni. Di fronte ai dati e ai vari aspetti del fenomeno della pirateria marittima al largo della Somalia salta subito all’occhio che il numero dei militari resi disponibili per le scorte armate ai mercantili italiani è piuttosto esiguo. Sono disponibili solo 10 NMP per proteggere i 900 mercantili italiani che ogni anno attraversano il Golfo di Aden e le altre mille che solcano l’Oceano Indiano. Pertanto, è chiaro che si dovrà allargare la partecipazione ai team di sicurezza formati da militari ad altro personale delle altre forze armate italiane. In teoria potrebbero partecipare tutti, dalla Guardia Forestale alla Polizia Penitenziaria e volendo anche la Polizia Municipale. L’importante che siano unità in servizio marittimo. Trattandosi però, di un lavoro ‘delicato’ per ora si ricorrerà solo a unità con una preparazione specifica e di eccellenza come potrebbero essere i NOCS della Polizia di Stato e i GIS dell’Arma dei Carabinieri. Questo avverrà soprattutto perché il ricorso ai contractors italiani non avverrà prima di qualche anno. Su quel fronte l’Italia è molto in ritardo rispetto a Francia e Gran Bretagna leader del settore. I primi team di sicurezza sono stati imbarcati su navi del Belgio e poi francesi e spagnole già dal 2009. In Italia entro la fine del 2012 dovrebbero forse partire i primi corsi di Ship Security Officer, SSO, e Ports and Facilities Security Officer, PFSO. Questo in attesa che venga legiferato un riconoscimento pubblico delle agenzie di sicurezza private italiane. Comunque sia ora i mercantili italiani dovranno anche ‘adattarsi’. Nel senso che quelli che imbarcheranno i team di sicurezza dovranno avere un locale idoneo per il deposito e trasporto armi e munizioni. Una norma questa contenuta in un recente decreto della Capitaneria di Porto. Il provvedimento disciplina le procedure tecnico-amministrative relative all`imbarco dei militari a protezione a bordo del naviglio nazionale che si reca nelle aree pericolose. Per quanto riguarda l’arresto di eventuali pirati che siano catturati nel corso di un attacco ad una nave difesa dai team di sicurezza sorge un piccolo dilemma. Il diritto internazionale marittimo prevede che ogni stato che fermi, tramite una propria nave da guerra, una nave pirata, possa arrestare i suoi membri e processarli presso i propri tribunali. Ora sorge un dubbio, se sono i militari forse il diritto è osservato, ma quando saranno i contractor? Anche in questo caso c’è un vuoto legislativo da colmare. Intanto, gli 11 pirati somali che nei giorni scorsi avevano sequestrato la nave italiana Montecristo, e che sono stati catturati dai militari inglesi nel corso del blitz che ha liberato la nave, sono in stato d`arresto a bordo della nave da guerra italiana ‘Andrea Doria’. I prigionieri dovrebbero essere trasferiti in Italia tra la fine della settimana e l`inizio della prossima. Sarà poi, la magistratura italiana, quella romana nello specifico, a decidere quali misure adottare nei loro confronti. Le indagini sono condotte dal procuratore aggiunto Pietro Saviotti, coordinatore del pool dell`antiterrorismo, e dal pm Francesco Scavo, che ipotizzano i reati di pirateria, sequestro di persona e di porto e detenzione di armi. In genere per i pirati catturati non vi è certezza della pena. Questo per il fatto che nessun Paese se ne vuole accollare l’onere in tutti i sensi e spesso, dopo la cattura vengono rilasciati. Finora sono pochi gli stati che hanno condannato a pene detentive dei pirati somali. Sono appena una sessantina i pirati che sono stati finora condannati.
Ferdinando Pelliccia