Si chiama Luigi Finelli ed è un generale dell’Arma dei carabinieri e fino qui nulla di speciale, se non fosse per il fatto che nei giorni scorsi una interrogazione parlamentare su una vicenda che lo ha riguardato in prima persona non avesse sollevato quel velo di omertà che pietosamente viene steso ogni volta sugli affari interni dell’Arma e che ora rischia di far scoppiare un caso la cui rilevanza potrebbe coinvolgere i vertici della benemerita.
Il generale di brigata Luigi Finelli è il vice comandante della Divisione Unità Specializzate da cui dipendono tutti i reparti dell’Arma che espletano attività specializzate, ad eccezione del Raggruppamento Operativo Speciale e del Reggimento a Cavallo, è stata istituita il 1° febbraio 2001, con sede in Roma – Viale Tor di Quinto 151; certamente quindi un incarico di elevato prestigio. Peccato però che invece, leggendo l’interrogazione presentata dal deputato radicale Maurizio Turco, cofondatore del Pdm, si scopre una verità completamente differente e nella mente affiorano prepotentemente dei dubbi le cui ragioni e comprensioni possono eventualmente arrivare dalla lettura di quanto è scritto nell’atto di sindacato ispettivo, che ci aiuta anche a ricostruire la storia di un ufficiale che quando era al comando della Regione carabinieri Trentino Alto Adige riceveva notevoli apprezzamenti dal vertice della procura generale di Trento per il lavoro svolto al servizio e nell’interesse dello Stato. I Più curiosi possono leggere integralmente il testo dell’interrogazione sul sito della Camera dei deputati ma qui, per non dilungarmi troppo in particolari e per ragioni di “scorrevolezza” dell’articolo, è sufficiente dire che forse alcune delle attività di indagine svolte dal generale Finelli avevano dato fastidio a qualcuno.
In particolare – come si legge nell’interrogazione- nei giorni 27 ottobre 2008 e 11 novembre 2008, giungevano, presso il consiglio intermedio di rappresentanza Carabinieri Vittorio Veneto (COIR), in seno al quale il generale Finelli ricopriva l’incarico di presidente, alcuni esposti anonimi nei quali si stigmatizzava il comportamento dei delegati. Nello specifico, si lamentava il disinteresse verso i doveri derivanti dal mandato, con interesse, piuttosto, verso i rimborsi economici che è possibile chiedere per lo svolgimento dell’attività istituzionale ed in particolare per l’indennità cosiddetta «forfetaria». A seguito delle indagini scaturite dagli esposti alcuni militari del COIR chiesero le dimissioni di Finelli, minacciando di ricorrere al Cocer (il solito Cocer). Insomma, per farla breve, il generale Finelli, poco dopo che ebbe segnalato alcuni militari membri del COIR alla competente procura militare, ricevette la comunicazione dall’allora Capo di stato maggiore dell’Arma, generale Leonardo Gallitelli – lo stesso che oggi è Comandante Generale dei carabinieri -, che sarebbe stato trasferito a Roma.
Sinceramente anche a me la cosa è sembrata piuttosto strana: un generale denuncia alla procura militare dei delegati della rappresentanza militare e quasi contemporaneamente viene trasferito. Non a caso il radicale Turco, e gli altri firmatari dell’interrogazione, hanno rilevato che nel caso di specie – alla luce delle minori mansioni svolte dal generale Finelli – appare «[…] possa essersi verificata la lesione dei principi di cui agli articoli 2043, 2087 e 2103 codice civile – articolo 52, decreto legislativo n. 165 del 2001, articolo 725 del decreto del Presidente della Repubblica n. 90 del 2010, con la possibile violazione del precetto di cui all’articolo 323 codice penale […]».
Ora, a pensar male si fa peccato ma qualche volta ci si azzecca, quindi bene hanno fatto i deputati radicali a domandarsi quale sia stato l’interesse pubblico ai sensi dell’articolo 97 della Costituzione e, quindi dell’articolo 725 del decreto del Presidente della Repubblica n. 90 del 2010 e quali le ragioni sottese alla condotta dell’amministrazione militare anche alla luce dell’irrilevanza dell’ufficio al quale il generale Finelli è stato relegato. Certamente a queste domande dovrà far fronte il Ministro della difesa e con lui il Comandante generale dell’Arma dei carabinieri, generale Gallitelli, che ha trasferito l’alto ufficiale le cui indagini, a nostro avviso, hanno dato particolarmente fastidio in un ambiente che preferisce lavare i panni sporchi in casa propria. Una cosa ora appare più chiara nell’Arma che va ben oltre il motto “Usi obbedir tacendo, e tacendo morir”: ad avere motivi per lamentarsi non è solo la truppa.
Luca Marco Comellini
Segretario del Partito per la tutela dei diritti di militari e Forze di polizia (PDM)