il peschereccio ‘Giovanni Padre’ - fonte: allearciperercolano.blogspot.comDa pochi giorni è trascorsa un triste ricorrenza. Tre mesi fa, l’11 agosto scorso, veniva speronato e affondato nel mare di Ischia, nel Golfo di Napoli, il peschereccio ‘Giovanni Padre’. A speronarlo una nave portacontainer, il ‘Jolly Grigio’ della Compagnia ‘Ignazio Messina’ di Genova. A bordo tre pescatori. Uno si è salvato, perché era in coperta e accortosi del pericolo si è lanciato in acqua. Si tratta del comandante Vincenzo Birra. Altri due, che erano sottocoperta, sono rimasti intrappolati nell’imbarcazione che si è trasformata nella loro bara. Si tratta di un ragazzo poco più che ventenne, Alfonso e di suo padre, Vincenzo Guida, 43 anni. Il peschereccio è stato poi individuato, dai sistemi di ricerca presenti sulla nave della Marina Militare, il cacciamine Rimini, chiamata sul posto appositamente, ed è risultato essere adagiato sul fondale di Punta San Pancrazio, a circa 450 metri di profondità. A bordo sono rimasti intrappolati i corpi dei due poveri pescatori.
La vicenda, per i tanti aspetti ricorda le tragedie che avvengono di sovente sulle strade italiane. Quando vengono provocati incidenti assurdi da persone che si mettono alla guida di autoveicoli sotto l’effetto di alcool e ancor peggio di droghe,  oppure con ore e ore di guida senza riposo. Incidenti in cui poi perdono la via persone incolpevoli e a volte vengono distrutte intere famiglie. Nel caso del peschereccio ‘Giovanni Padre’ forse il sapere che si è trattato di un errore fatale avrebbe molto di più aiutato a capire ed accettare il tragico evento accaduto nel mare del Golfo di Napoli ed invece non è stato così. Intanto, i familiari dei due sventurati lavoratori del mare da tempo chiedono di poter dare loro sepoltura in terra consacrata. Un modo questo per loro di avere  un posto dove poi potersi recare per piangerli e ricordarli. Sembra una giusta rivendicazione in quanto è legittimo che chiunque ha il diritto di piangere e commemorare i propri cari morti. Questa opportunità però, sembra loro essere negata. Il problema che provoca il mancato recupero del battello, e di conseguenza dei due corpi che esso racchiude, è soprattutto di carattere finanziario. Sembra che per il recupero del ‘Giovanni Padre’ occorrano almeno 480mila euro. E’ questa la cifra che la società specializzata nel recupero di navi affondate ha chiesto. Di fatto sono mille euro per ogni metro di profondità. Sembra quasi ironico, ma è così. Soldi che nessuno sembra voglia tirare fuori e ne la famiglia dei due sventurati lavoratori del mare ha modo di mettere insieme. Per questo motivo hanno ben pensato di aprire un conto corrente bancario presso la Banca di Credito di Ercolano (NA) il cui fine è appunto raccogliere la somma necessaria per il recupero del relitto e delle due salme. L’operazione gode del sostegno della CRI italiana e delle istituzioni locali.
Nel frattempo, però, è giunta la cattiva stagione e di conseguenza tutto è diventato  anche più difficile tecnicamente. I due pescatori sono originari della città di Ercolano nel napoletano, una città che si è mobilitata tutta per Vincenzo e Alfonso. Ma la cifra non raggiunge, al momento, neppure il 6% del costo dell’operazione. Del recupero del relitto del peschereccio ‘Giovanni Padre’, in cui riposano i due pescatori, uccisi dalla responsabile e dalla grave incoscienza altrui potrebbe però occuparsene la Compagnia ‘Ignazio Messina’ di Genova proprietaria della nave che ha provocato il disastro. Purtroppo da quello orecchio la compagnia marittima genovese non ci sente o per lo meno di mettere le mani in tasca e tirare fuori la somma occorrente al recupero del peschereccio non ne ha alcuna intenzione, spiegando che a questo ci deve pensare la sua assicurazione. Eppure anche la compagnia, che discende da una grande famiglia di gente di mare, è moralmente responsabile in quanto è stata una sua nave e dei suoi marinai a provocare l’incidente. Purtroppo non c’é un obbligo giuridico, da parte di nessuna istituzione, per il recupero dei corpi per cui il problema è solo umano. Purtroppo tutto questo ha trasformato in una vera odissea il recupero dei corpi di Vincenzo e Alfonso. Da allora i familiari delle due vittime stanno lanciando ripetuti appelli affinché si faccia il possibile per restituire i corpi dei loro cari per dare loro una degna sepoltura. Il tentativo di sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni ha però avuto scarsi risultati. “Con la stessa onestà e dignità con cui sono vissuti hanno diritto ad una degna sepoltura”, recitava uno dei slogan scritti sui cartelloni issati dai familiari dei due pescatori che agli inizi del mese di settembre hanno inscenato una protesta a Porta di Massa, il molo nel porto di Napoli da cui partono i traghetti, ritardandone la partenza di due diretti alle isole del Golfo di Napoli.

F.P.


Ricordiamo che la sottoscrizione aperta presso la Banca di Credito Popolare di Ercolano, ha lo scopo di raccogliere donazioni per contribuire al pagamento della società che dovrebbe recuperare il relitto in fondo al mare e restituire i due corpi alla famiglia, in particolare a I
mmacolata Ramaglia, moglie di Vincenzo Guida e madre di Alfonso Guida.

Questo il numero di conto corrente:

IBAN IT75X0514240140103571091510
CAUSALE: MARE E SOLIDARIETA’
BANCA DI CREDITO POPOLARE DI ERCOLANO