Si era iscritto ad un partito politico ed aveva incarichi di responsabilità all’interno di esso e per questo i suoi superiori gli avevano inflitto 5 giorni di consegna di rigore e respinto un ricorso gerarchico. Inizia così la vicenda giudiziaria che ha visto contrapporsi, sui banchi del tribunale amministrativo dell’Umbria, il carabiniere scelto Guido Lanzo, in servizio presso il nucleo operativo radiomobile della compagnia di Terni e la propria scala gerarchica, rappresentata e difesa dall’avvocatura dello Stato.

I fatti risalgono all’agosto del 2010 quando nei confronti di Guido Lanzo, una laurea in giurisprudenza e una prossima in scienze politiche, fu avviato dal Comandante della Legione Carabinieri Umbria un procedimento disciplinare che si concluse con l’irrogazione di 5 giorni di consegna di rigore, l’equivalente degli arresti domiciliari per un comune cittadino, con l’obbligo di scontare la “pena” nel proprio alloggio in caserma. A nulla è valso il “ricorso gerarchico” esperito dal carabiniere e rigettato dal comandante del Comando Interregionale Carabinieri “Podgora”. A quel punto il carabiniere decide di invocare il Tribunale amministrativo per difendere il proprio diritto sancito, tra l’altro, nella nostra Carta Costituzionale, assistito dall’avvocato Giorgio Carta – una vera autorità nel campo del diritto militare e per le forze di polizia -, in collaborazione con l’avvocato Giuseppe Piscitelli.

La Sezione prima del Tribunale Amministrativo Regionale per l’ Umbria non solo da’ ragione al carabiniere condannando addirittura l’Amministrazione Difesa a pagare le spese processuali, ma stabilisce un principio giurisprudenziale importante. Non è ravvisabile, a giudizio dei giudici amministrativi, “un divieto di iscrizione e, a fortiori, di assunzione di cariche in seno ai partiti politici, nei confronti del personale delle Forze Armate” se l’attività viene svolta secondo quanto stabilito dalle norme di legge, e cioè “non durante l’attività di servizio, né in luoghi a ciò destinati, né indossando l’uniforme o qualificandosi in relazione all’attività di servizio come militare o rivolgendosi ad altri militari in divisa o qualificatisi come tali”.

Il collegio giudicante, composto da Cesare Lamberti (Presidente), Carlo Luigi Cardoni (Consigliere) e Pierfrancesco Ungari (Consigliere, Estensore) va però ben oltre l’enunciazione del semplice principio giurisprudenziale, ma con un’articolata sentenza chiarisce una volta per tutte all’amministrazione della Difesa, che dovrebbe ben conoscere la materia, che “le limitazioni all’esercizio di attività politica da parte del personale militare, non riguardano direttamente il diritto di iscrizione ai partiti o le attività che possono essere svolte all’interno di essi, bensì mirano a separare l’attività di servizio da quella politica, consentita (oltre che in conseguenza delle candidature alle elezioni politiche ed amministrative, in relazione alle quali il rapporto di servizio è sospeso) se svolta a titolo personale e fuori dalle condizioni espressamente individuate dalla legge (quali indici presuntivi di collegamento dell’attività politica del singolo militare con le Forze Armate, come tali)”.

Il dott. Guido Lanzo svolge la funzione di Segretario regionale del Piemonte all’interno del Partito Popolare – Sicurezza e Difesa i cui vertici da tempo si sono spesi per dare al personale in uniforme, che rappresenta un’importante aliquota degli iscritti al partito, gli stessi diritti civili e politici che spettano a tutti i cittadini, compreso quindi il diritto ad iscriversi ad un partito politico e fare attività politica secondo quanto stabilito dalla legge.

«Finalmente un collegio giudicante coraggioso ha ristabilito il primato del diritto sulla prepotenza della gerarchia militare che vuole ad ogni costo tenere separati il personale in uniforme dal resto della società civile, imponendo loro regole assurde e palesemente in contrasto con il dato normativo». Così Giuseppe Paradiso, Segretario nazionale del Partito Popolare – Sicurezza e Difesa commenta la sentenza del Tar dell’Umbria e sottolinea inoltre che «sono pendenti da più di un anno presso i competenti tribunali militari delle denunce verso i superiori gerarchici di alcuni iscritti al partito per l’ipotesi di reato contemplata dall’art. 294 del codice penale («Attentati contro i diritti politici del cittadino»), secondo il quale chiunque con violenza, minaccia o inganno impedisce in tutto o in parte l’esercizio di un diritto politico, ovvero determina taluno a esercitarlo in senso difforme dalla sua volontà, è punito con la reclusione da uno a cinque anni». «Abbiamo appurato – continua Paradiso – una singolare doppia velocità nel discutere le cause da parte dei tribunali militari, che risultano essere incredibilmente celeri quando l’azione penale è invocata dalle gerarchie militari e, invece, risultano lentissimi quando a finire nel mirino delle denunce sono le stesse gerarchie».

«Speriamo che questa sentenza – conclude Paradiso – possa, da una parte, chiarire finalmente alla gerarchia militare che la sua potestà disciplinare non può dilatarsi fino ad interpretare in maniera illogica ed anticostituzionale dei diritti così importanti per il cittadino militare e, dall’altra, infondere quel coraggio a quegli stessi cittadini in uniforme – come lo ha avuto il carabiniere scelto Guido Lanzo – che finora sono stati timorosi di ripercussioni disciplinari. La vicenda del carabiniere Guido Lanzo è il trionfo del diritto sulla prepotenza, e non sarà l’unica. Le gerarchie militari e le Forze armate, il cui ordinamento “si informa allo spirito democratico della Repubblica” come recita la Costituzione, ne prendano buona nota».

Fonte: GRnet