La Trinità di Monti

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Mario – Dio mio – Monti ha presentato la sua manovra. Una volta c’era la montagna che partoriva il topolino economico fatto di tasse, dai soliti politici per i soliti noti: niente programmazione e previsioni, niente riforme strutturali per garantire un minimo di futuro. Adesso c’è il Monti, che in nome della Santissima Trinità che prende i nomi di Rigore, Equità e Sviluppo, ci presenta il conto da pagare perché dobbiamo allontanarci dalla soglia del baratro oltre la quale lo stato va in default. Nel giro di due giorni abbiamo scoperto che non c’erano (o rischiavano di non esserci) i soldi per pagare stipendi e pensioni. Possibile che una situazione da incubo come questa abbia lavorato silenziosa sotto i nostri piedi esplodendo come un vulcano che travolge Pompei nel sonno? Il “compito” che i politici hanno assolto era quello di cambiare per rimanere sempre uguali: solo il gattopardismo governativo e parlamentare è stato esemplare. Se così non fosse, non avremmo sentito dire, come negli ultimi tempi, che “ non faremo la fine della Grecia”, “l’Italia non corre rischi”, per poi svegliarci con la pistola Luger della cancelliera Merkel puntata alla tempia. Ci poniamo delle domande.

Dove abbiamo vissuto dal 1948 a oggi? In un Paese diviso, fazioso, imbalsamato su se stesso, corrotto, e dove il “si salvi chi può” è stata la regola di vita giornaliera. L’essere “furbi” verso lo Stato non era un difetto, era una virtù da esporre con tanto di occhiolino.  Finché negli anni duemila arrivò l’Europa economica dell’Euro, per presentare il conto. Chi ha voluto l’economia europeista? Supponiamo siano gli stessi che sin da subito sbagliarono i calcoli ( e “ritoccarono” i conti invece di sanarli). Unire Paesi diversi, per cultura ed economia era una follia che allo stato delle cose è confermata. L’Europa è sempre apparsa come un’entità astratta che ogni tanto disquisiva su misura e qualità dei generi alimentari. C’era la direttiva del vino, quella del latte, quella delle arance e pure quella – profetica – dei cetrioli.  C’era un parlamento europeo che non si sapeva bene cosa facesse a Bruxelles; e al contrario di Napoleone, che non dormì in quella città (perché prima arrivò Waterloo) si sveglia adesso per consegnarci una Waterloo moderna.   Più di 50 anni trascorsi nel laboratorio della furberia individuale e d’Istituzione – (Stato, Governo e Parlamento italico) – si sono scontrati con una crisi di leadership e d’identità politica ed economica del vecchio continente.  Il disfacimento europeo e italiano ha risentito della mancanza di Generali illuminati, come della povertà di palle e di cannoni ben mirati. Perché altrimenti lo sparare nel mucchio per prendere i denari dalla massa della plebe, media e bassa, che si è comportata sempre secondo i dettami della legge e non ha rubato nulla”, non avrebbero il sapore della tirannide svuota tasche che, tra l’altro, aggraverà l’inflazione e deprimerà i consumi delle truppe. Adesso nelle mani di Mario – Dio mio – Monti, c’è un cetriolo italo europeista lungo cinquant’anni. E’ il governo dei tecnici a manovrare su un campo di battaglia dove le “armate” politiche hanno disertato per manifesta inferiorità di fronte al problema creato dalle loro insipienze tattiche e strategiche che hanno ammazzato le casse dello Stato. Siamo sull’orlo del baratro ma non guardiamolo troppo perché per dirla alla Nietzsche, “se guardi l’abisso, l’abisso guarda te”, e non ci sarebbe più scampo. In nome della Santissima Trinità Montiana, turiamoci il naso e chiudiamo il più possibile le chiappe all’avanzare dell’intruso, rimarrà solo un maledetto tanfo e un po’ di dolenzia, ma sull’orlo del baratro soffia anche un vento più purificante e salubre.

Danilo Stefani