Si alzano di nuovo i toni della protesta in Egitto con uccisioni, ferimenti e arresti di civili. La situazione è confusa e con il passare del tempo si complica sempre di più. I militari ci stanno andando con la mano pesante nel sedare la protesta degli egiziani dando vita anche ad una sorta di ‘caccia ai manifestanti’.

Gli scontri sono ripresi poco dopo una conferenza stampa tenuta ieri dal premier egiziano, Kamal al-Ganzuri, insediatosi appena il 7 dicembre scorso. Nel corso dell’incontro con i giornalisti il premier ha affermato che: “Quello che è in corso non è una rivoluzione, ma un attacco all’Egitto”. Di fatto ha puntato il dito contro i manifestanti definendoli ‘controrivoluzionari’. Per cui secondo il capo del governo egiziano è colpa dei manifestanti se giovedì scorso la situazione è degenerata in violenti scontri con morti e feriti.

Parole che hanno gettato benzina sul fuoco alimentando ulteriormente la tensione nel Paese.

Al-Ganzuri ha anche spiegato che i militari si sono solo difesi negando quindi che le forze di sicurezza egiziane abbiano aperto il fuoco contro i sit-in di protesta dei giovani dimostranti.

In Egitto dalla fine di novembre viene contestata la sua nomina a premier perché ritenuto vicino al vecchio regime egiziano. Il neo premier è stato infatti, già premier dal 1996 al 1999 quando in Egitto comandava Hosni Mubarak. I manifestanti continuano a chiedere anche che il Consiglio supremo delle forze armate, insediatosi alla guida del Paese dall’11 febbraio scorso e a capo del quale vi è il maresciallo Hussein Tantawi, compia un passo indietro trasferendo il governo del Paese ai civili. Una richiesta sostenuta anche da Ayman Nour. Si tratta del fondatore del partito liberale al-Ghad ed uno dei probabili candidati alla presidenza dell’Egitto. Con un comunicato invece, i Fratelli Musulmani hanno chiesto al Consiglio Supremo delle Forze armate di chiedere scusa alla popolo egiziano per gli scontri.

Segnale questo che la presa di posizione contro i militari, che ci sono andati pesante contro i manifestanti, cresce ed è ormai unanime nel Paese.

La risposta della Giunta militare non si è fatta attendere e in un comunicato ha espresso ‘desolazione’ per le vittime ed ha annunciato che risarcirà le famiglie dei ‘martiri’. Un ‘contentino’ che nessuno nel Paese accetta.

Il bilancio purtroppo, solo provvisorio, delle vittime è molto grave.  Si parla di almeno 10 morti, tutti uccisi da colpi di armi da fuoco, e 500 feriti.

Gran parte delle vittime si sono avute nella seconda giornata di scontri, quella di venerdì, quando ci sono registrati nuovi scontri intorno al palazzo del governo e del Parlamento. Durante questi scontri edifici annessi al Parlamento e la sede del Consiglio dei ministri sono stati incendiati. Tra accuse reciproche a chi si debba la responsabilità dei disordini emergono testimonianze certe dell’infiltrazione di persone estranee agli eventi. Per molti si tratta di persone che sarebbero state pagate dal governo per fare il ‘lavoro sporco’ in modo da non coinvolgere in prima persona le forze di sicurezza egiziane.

Ora l’area dei palazzi governativi è stata isolata dai militari con barricate e filo spinato posizionato nelle strade di accesso questo, per impedire ai dimostranti di tornarvi a manifestare e il riesplodere delle violenze.

Nel frattempo, anche Piazza Tahrir è tornata sotto il controllo dell’esercito che da mesi cerca con ogni mezzo di non farla ritornare l’epicentro, il cuore delle manifestazioni.

Ieri, e sono proseguiti tutta stanotte, sono infatti, ripresi gli scontri tra manifestanti e forze di sicurezza egiziane anche in piazza Tahrir, al Cairo, simbolo della rivoluzione popolare del 25 gennaio scorso. Si è assistito ad una sorta di ‘caccia ai manifestanti’ condotta dai militari che li hanno caricati e picchiati con bastoni e hanno dato fuoco alle loro tende. Nella piazza da qualche settimana erano infatti, tornati a radunarsi ed accamparsi numerosi manifestanti. Secondo fonti governative l’azione dei militari è stata dettata dalla necessità di dover allontanare alcuni giovani che cercavano di impedire ai vigili del fuoco di spegnere un incendio sviluppato in un palazzo del governo. Episodio questo, che però, non ha trovato riscontri. Inoltre, i soldati hanno anche allontanato dalla piazza le ambulanze del ministero della sanità che sono inviate in occasione di ogni manifestazione per soccorrere eventuali feriti. Nel chiaro intento di impedire l’assistenza sanitaria ai feriti. Tanto è vero che successivamente nei pressi della moschea di Omar Makhram, poco lontano dalla piazza, i militari hanno anche arrestato almeno 3 medici di un improvvisato ospedale da campo che hanno poi, distrutto.

Segnale questo di una situazione ormai al limite.

Ora sembra che i militari abbiano addirittura costruito un muro di mattoni in via Qasr el-Ainy per impedire ai manifestanti di ritornare nella Piazza almeno da quella parte della città. Una situazione preoccupante alimentata anche da tanti lati oscuri come la denuncia arrivata da alcuni medici secondo cui sarebbero scomparsi i corpi di 6 delle vittime degli scontri dall’ospedale da campo allestito nella moschea di Omar Makram, a ridosso di piazza Tahrir nel corso dell’attacco compiuto dai militari. Quella in atto in Egitto è una vera e propria repressione condotta dai militari e specie nel cuore del Cairo. Eppure i Fratelli Musulmani hanno ricordato in un loro comunicato che quando i militari presero il potere nel Paese dopo la caduta di Hosni Mubarak, promisero di proteggere la popolazione dalle violenze.

Che i militari ci siano andati pesante nel sedare le manifestazioni lo riconoscono anche negli ambienti vicini ai militari dove si fanno sempre più forti le voci di dissenso. Un segnale arriva dal fatto che si allarga la spaccatura all’interno del Consiglio Consultivo egiziano. Si tratta di un organismo composto da 30 membri e creato dal Consiglio Supremo delle Forze armate per coordinarsi con le varie forze politiche del Paese.

Dopo le dimissioni di tre suoi membri, Moataz Abdel Fattah, Nadfia Mustafa e Ahmed Khairy, per protesta contro le violenze da parte delle forze di sicurezza. Si è dimesso anche Abul Ela Madi, leader del partito al-Wasat sempre per lo stesso motivo.

Quello che sta accadendo in Egitto non piace alla comunità internazionale che ha fatto finora sempre sentire la sua voce di condanna. Ieri anche la Francia è tornata a denunciare e condannare l’uso eccessivo della forza contro i manifestanti in Egitto. In una nota del ministero degli Esteri francese si legge: “La Francia è preoccupata per i violenti incidenti nella piazza Tahrir al Cairo. La Francia fa appello alla calma, al senso di responsabilità e al rispetto dei diritti dell’uomo, compreso il diritto di manifestare, che deve esercitarsi liberamente e pacificamente”.

Ieri in Egitto e specie al Cairo è stata anche una giornata di commemorazione. In mattinata si sono svolti i funerali di due delle vittime di giovedì. Del ventenne studente di medicina, Alaa Abdewl Hadi e di Sheikh Emad Efat assistente del Gran Muftì di Egitto, Sheikh Ali Goma entrambi uccisi con un colpo d’arma da fuoco. Proiettili veri che il premier egiziano al-Ganzouri ha finora sostenuto che non siano usati dalle forze di sicurezza. Il religioso era salito alla ribalta in Egitto soprattutto per la sua fatwa emessa contro il voto a favore degli esponenti del regime di Mubarak e per la sua posizione moderata e progressista. In un comunicato a firma del Gran Muftì di Egitto si legge: “non lasceremo che il suo sangue sia stato sparso invano”. Nel mirino di chi  non vuole che in Egitto ritorni la democrazia ci sono quindi non solo i manifestanti, ma anche religiosi, intellettuali ed esponenti politici. Una conferma è giunta dalla notizia dell’aggressione allo scrittore egiziano, Alaa Al Aswani. L’intellettuale sarebbe stato assalito da un gruppo di persone mentre concedeva un’intervista ad una tv francese.

Ferdinando Pelliccia