Somalia: si combatte ancora a Mogadiscio

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Si registrano ancora violenti  e sanguinosi scontri a Mogadiscio in Somalia. Combattimenti che vedono affrontarsi le milizie islamiste filo al Qaeda degli al Shabaab da un lato e le forze militari  governative appoggiate dai caschi verdi della missione di Peacekeeping dell’Unione africana, Ua, in Somalia, la Amisom, dall’altro.

Non trova quindi pace la martoriata capitale somala. Non trova nemmeno riscontro l’annuncio fatto, nei mesi scorsi, dal governo di transizione somalo, TFG, alla comunità internazionale che il ritiro degli al Shabaab da Mogadiscio era stata una sua grande vittoria.
I miliziani islamici controllano gran parte della Somalia centrale e meridionale, pari quasi al 70 per cento del territorio nazionale. Il gruppo islamico lo scorso mese di agosto si ritirò dalla capitale somala abbandonando le sue posizioni.
Una ritirata che evidentemente fu dettata solo da una scelta di cambio di strategia. Da allora infatti, sono decine le bombe esplose a Mogadiscio e gli attentati suicidi verificatisi. L’ultimo attacco terroristico è avvenuto appena pochi giorni fa nel quartiere di Hodan ed ha provocato la morte di almeno 5 persone. Mentre, il più sanguinoso avvenne lo scorso 4 ottobre nella stessa zona nei pressi di un compound ministeriale. In quella occasione esplose un camion imbottito di esplosivo che uccise 65 persone, in gran parte studenti.
Di fatto i mujahideen somali dallo scorso mese di settembre hanno inaugurato una nuova strategia, quella della guerriglia contro il governo somalo sostenuto dall’Occidente.

L’attuale governo federale di transizione, Tfg, non è infatti un governo eletto dal popolo, ma nominato dalla comunità internazionale, USA in testa, che nel 2004, l’ha posto a guidare il processo di pace in Somalia. Un inefficace tentativo, visto i risultati, di creare, nel Paese del Corno d’Africa, un’amministrazione centrale funzionante dopo che, dalla caduta del dittatore Mohamed Siad Barre, avvenuta nel 1991, la Somalia è stata trascinata in lotte intestine che ne hanno disgregato economia e istituzioni trasformandolo lentamente in ‘ terra di nessuno’.

Al Tfg  era  stato dato  il mandato di riconciliare il Paese, scrivere una nuova costituzione e organizzare elezioni democratiche.
Nulla di tutto questo è stato fatto a fronte di un enorme gettito di denaro che la comunità internazionale, Italia in testa,
ha versato nelle casse o nelle tasche, come si preferisce, del governo somalo.
La partenza dei miliziani islamici da Mogadiscio è stata provvidenziale per il governo somalo. Infatti, il mandato del Tfg era in scadenza per la fine dello scorso mese di agosto, ma è stato  prorogato per altri 12 mesi,  fino al 20 agosto 2012. Si tratta di una seconda proroga dopo quella biennale avuta nel gennaio del 2009 quando, dopo le dimissioni di Abdullahi Mohamed Yusuf a capo dello stato gli subentrò Sharif Sheikh Ahmed ora riconfermato insieme al Presidente del Parlamento. Mentre, è stato nominato un nuovo primo ministro somalo,  il quinto dal 2004, Abiwely Mohamed Ali, che è subentrato al dimissionario premier Ahmed Mohamed Mohamed Abdullahi.
A minare questo ‘serio’ tentativo di ristabilire l’ordine sovrano in Somalia è appunto il gruppo fondamentalista islamico somalo degli al Shabaab. Questi ultimi, allo scopo di rafforzare ancora di più la loro credibilità agli occhi dei somali e per ottenere consensi per la loro ‘crociata’ contro il Tfg e gli stranieri che lo sostengono, hanno anche cambiato nome. In questi giorni, attraverso un comunicato diffuso ai media locali e al termine della riunione a cui hanno partecipato tutti i vertici del gruppo, hanno assunto la denominazione di Imaarah Islamiya che vuol dire Autorità Islam. Nel comunicato i cittadini della Somalia sono invitati a combattere contro il Governo federale di transizione che non rappresenta i musulmani.
In questa ottica il gruppo estremista islamico ha intensificato gli attacchi terroristici a Mogadiscio allo scopo di destabilizzare ulteriormente il debole governo somalo. Un governo che deve la sua sopravvivenza solo al fatto che l’Ua dal 2007 mantiene una missione militare di  interposizione a Mogadiscio. Militari africani, circa 9mila, provenienti da Uganda e Burundi, che sono di fatto l’unico motivo per il quale gli
al Shabaab non sono ancora riusciti a dare la spallata finale al Tfg. Una missione che si è ultimamente anche rafforzata dopo che nei giorni scorsi il Kenya ha deciso di unire le proprie truppe all’Amisom per meglio combattere i miliziani islamici filo al Qaeda. La decisione presa dal Kenya segue di qualche settimana quella dell’Etiopia che ha promesso l’invio di sue truppe a Mogadiscio in rinforzo alla missione militare dell’Ua.

Proprio per dare la ‘caccia’ ai mujahideen somali e smantellarne le loro basi in Somalia, il Kenya da qualche mese è intervenuto militarmente in Somalia allo scopo di porre fine alle continue sortite dei miliziani lungo la costa keniota mettendo in crisi il turismo che è una delle principali fonti di guadagno del Paese africano. Le organizzazioni che si battono per i diritti umani denunciano che l’operazione militare in corso sta venendo anche sfruttata anche come una scusa per reprimere i diritti dei somali rifugiati in Kenya. A decine sembra siano stati picchiati e arrestati arbitrariamente.
Comunque sia la decisione di intervenire militarmente in Somalia da parte del Kenya era stata accolta con preoccupazione dagli USA. Il timore era che potesse destabilizzare ulteriormente la regione già afflitta da un conflitto ventennale. Nelle ultime settimane gli Stati Uniti hanno anche intensificato la loro offensiva contro al Qaeda in Somalia. Washington ha aumentato le operazioni con i droni e rafforzato  le diverse partnership militari con i  Paesi della regione. In proposito nell’edizione del 25 novembre scorso il ‘Washington Post’ rivelava che dal 2007 gli Stati Uniti hanno speso oltre 500 mln di dollari per addestrare ed equipaggiare le forze militari dell’Ua impegnate in Somalia. Compito svolto dai circa 3mila soldati statunitensi stanziati in una base nel confinante Gibuti da dove partono anche i droni per le operazioni
speciali in Somalia. I velivoli senza piloti USA sono dislocati anche nelle Seychelles e nell’aeroporto civile etiope di Arba Minch.

Ferdinando Pelliccia