Il recente sequestro e dirottamento di un mercantile italiano nell’Oceano indiano sembra abbia dato modo di prospettare una fantastica teoria.

Il teorema enunciato è quello che nel mare infestato dai pirati somali sia in corso un attacco premeditato contro le navi battenti bandiera italiana.

Di certo questa fantastica ‘pensata’ si basa su qualcosa di vero, ma non certo realistica.

Le navi che battono bandiera italiana, e/o che fanno capo ad armatori italiani, sono le più esposte alle incursioni dei pirati somali in quanto l’Italia è sempre stato un Paese di navigatori per cui i suoi ‘colori’ solcano i mari di tutto il mondo.

Delle 40mila navi che ogni anno transitano nell’Oceano Indiano e per il Golfo di Aden almeno 4mila sono italiane. Facendo il calcolo delle probabilità almeno 1 nave su 10 è italiana e quindi il rischio di essere attaccata dai predoni del mare somali per una nave legata all’Italia in un modo o in un altro è superiore a quella di un’altra di diversa nazionalità.

L’obiettivo dei pirati somali è quello di catturare una nave e il suo equipaggio solo per uno scopo estorsivo e che essa batta bandiera cinese o coreana o italiana per loro non fa differenza. Sanno bene che prima o poi gli armatori o il governo del Paese da cui provengono nave e marittimi pagheranno un riscatto per il loro rilascio. L’unica differenza valida anzi, una delle poche differenze valide è che se la nave e gli ostaggi sono europei il riscatto da richiedere è più elevato in quanto si tratta di Paesi ‘ricchi’.  I pirati somali infatti, hanno sempre dimostrato di conoscere il valore della nave, del carico e la situazione finanziaria dell’armatore e su questi elementi hanno ‘calcolato’ il riscatto da chiedere.

Come anche se la nave è ‘difesa’ i pirati la evitano.

Essendo l’Italia ancora uno dei pochi Paesi che non ha definito l’imbarco a bordo delle navi di bandiera di team di sicurezza armati privati o militari questo fa delle navi battenti il tricolore una più facile preda. A differenza invece, delle navi battenti bandiera francese, inglese, spagnola, belga e altre ancora che da tempo hanno ormai stabilito forme e regole di imbarco di guardie armate a bordo delle proprie navi mercantili. Questo rende i cargo ‘difesi’ un obiettivo difficile per i pirati somali.

Le azioni dei pirati somali hanno reso sempre più pericolosa la navigazione al largo del Corno d’Africa e Oceano Indiano e questo ha fatto lievitare enormemente i costi di navigazione delle navi mercantili mandando in rovina anche diversi armatori. Ora che all’orizzonte sembra prospettarsi una certa ‘tranquillità’ dovuta ad un calo sensibile degli attacchi pirati riusciti, anche se la minaccia persiste, spunta una fantastica  teoria che potrebbe dare a spazio a pericolose ‘manovre’.

Mentre è reale il fatto che, seppure il ricorso a team di sicurezza si sia  dimostrato un valido deterrente, assumere guardie armate da imbarcare a bordo delle navi ha un costo.

Usufruire dei servizi di un team di sicurezza costerà infatti, in media circa 60mila dollari a viaggio. Però, non tutti gli armatori vi ricorreranno, perchè non tutti possono permetterselo, specie quelli piccoli. Eppure nel caso di navi battenti il tricolore si tratta di difendere un pezzo di territorio italiano un diritto per chi ne ha bisogno e un dovere per chi deve farlo e allora perché doverlo pagare o almeno non tenere conto  delle disponibilità economiche dell’armatore?

Si stima che saranno circa il  70 per cento, delle 40mila navi che ogni anno transitano nell’Oceano Indiano e Golfo di Aden , ad essere difese dai team di sicurezza, mentre il restante 30 per cento delle navi resteranno invece, indifese.

I pirati somali, che finora sono sembrati sempre ben informati, andranno di certo a ‘caccia’ di queste navi indifese. Se tra queste navi vi saranno anche delle italiane di certo esse saranno attaccate e in questo caso la premeditazione ci sarà in quanto i pirati somali ‘punteranno’ alla nave italiana sapendola indifesa.

Ferdinando Pelliccia