Guardie private a bordo di una nave © One Hired GunDopo che un’altra nave italiana è caduta nelle mani dei pirati somali, da più parti, specie da quella degli armatori, si sollecitano urgenti misure a difesa della navigazione mercantile italiana, ma….

Si tratta della terza nave battente il tricolore sequestrata nel 2011 in Africa Orientale. Dopo la petroliera ‘SAVINA CAYLYN ‘ e la MV ‘ROSALIA D’AMATO’ ora è toccato alla MV ‘ENRICO IEVOLI’ con 18 uomini di equipaggio di cui 6 sono italiani, tra cui il comandante, 5 ucraini e 7 indiani.

A dire il vero le navi italiane catturate dai pirati nel 2011 sono state però, sei.

La ‘quota’ si raggiunge se si calcola anche la nave cisterna ‘Dominia’ catturata dai pirati al largo delle coste nigeriane, la petroliera ‘Alessandra Bottiglieri’ catturata al largo del porto di Cotonou, nel Benin e la petroliera, ‘Anema e Core’ catturata nel golfo della Nigeria.

Questi atti di pirateria sono però, avvenuti dall’altro lato del continente africano, nell’Africa Occidentale, e forse per questo motivo scaturiscono meno ‘indignazione’.

Però, essa dimostra che c’è pirateria e pirateria.

Una pirateria i cui atti si risolvono in pochi giorni e un’altra che invece, quasi non hanno fine.

Una pirateria per cui non si spende un euro per contrastarla, ma che comunque non produce ingenti danni, ed una pirateria per cui si spendono mld di dollari all’anno per contrastarla e che comunque produce ingenti danni economici e non solo.

Una pirateria che ha uno sfondo politico e sociale e una che ha uno sfondo criminale.

Una pirateria che ‘giova’ a pochi e una pirateria che ‘avvantaggia’ molti.

Comunque sia, per tanti motivi, anche oscuri, il mare al largo della Somalia ‘resta’ quello più pericoloso per la navigazione marittima ed ora sembra, per il fatto che nel 2011 siano italiane 3 navi catturate su oltre un centinaio attaccate, si voglia sottolineare soprattutto un pericolo per quella italiana.

Eppure nel Golfo della Nigeria erano italiane 3 delle navi catturate dai pirati su 19 attaccate in tutto il 2011. Una proporzione altissima che
però, non ha suscitato lo stesso allarmismi.

Questo ennesimo episodio di pirateria nel mare del Corno d’Africa, che vede vittima una nave italiana, ha finito per fare  da sponda alle richieste di coloro i quali ritengono che vadano adottate urgenti misure a difesa della navigazione mercantile italiana come imbarcare anche guardie armate private a difesa della nave.

In Italia ‘purtroppo’ non vi sono strumenti legislativi che consentono, alle navi mercantili, di imbarcare personale di sicurezza privato.

Il ricorso alle guardie armate private italiane non potrà avvenire prima di qualche anno.

Su questo fronte l’Italia è molto in ritardo rispetto a Francia e Gran Bretagna leader del settore.

In Italia entro la fine del 2012 dovrebbero forse partire i primi corsi di Ship Security Officer, SSO, e Ports and Facilities Security Officer, PFSO. Questo in attesa che venga legiferato un riconoscimento pubblico delle agenzie di sicurezza private italiane. Un decreto che riconosca appunto la
figura professionale del ‘contractor’. Un provvedimento questo, che deve venire dal ministero dell’Interno e serva a regolarne l’attività.

Un ritardo grave questo, che potrebbe aprire ‘varchi’ ad altre ‘entità’ anche straniere.

Comunque sia per tutti, le regole di ingaggio si baseranno sul principio di autodifesa, cioè il ricorso dell’uso della forza solo quando sarà necessario.

I primi team di sicurezza sono stati imbarcati su navi del Belgio e poi francesi e spagnole già dal 2009 ed è questa una delle regioni che le navi di bandiera di questi Paesi sono state le meno colpite.

I pirati somali sono sempre ben informati e sanno bene quali navi sono difese e quali non lo sono.

Mentre, nulla vieta all’Italia invece, di proteggere i propri connazionali e naviglio con militari di tutte le forze armate italiane. I Nuclei militari di protezione, NMP.

Purtroppo sono disponibili solo 10 NMP di 6 unità ciascuno per proteggere per lo meno i 900 mercantili italiani che ogni anno attraversano il solo Golfo di Aden. Pertanto, è chiaro che si dovrà allargare la partecipazione ai team di sicurezza formati da militari ad altro personale delle altre forze armate italiane.

In teoria potrebbero partecipare tutti, dalla Guardia Forestale alla Polizia Penitenziaria e volendo anche la Polizia Municipale. L’importante che siano unità in servizio marittimo. Trattandosi però, di un lavoro ‘delicato’ per ora si ricorrerà solo a unità con una preparazione specifica e di eccellenza come potrebbero essere i NOCS della Polizia di Stato e i GIS dell’Arma dei Carabinieri.

Le scorte armate sono state contemplate  per la prima volta dall’articolo 5 del decreto legge del 12 luglio 2011.

Stamani è stata pubblicata dal ‘Corriere della Sera’ l’intervista rilasciata dal vicepresidente della Confederazione italiana degli armatori, Confitarma, Stefano Messina. “Noi abbiamo bisogno di poter ingaggiare, come fanno gli armatori di altri Paesi, sicurezze private con armi  a bordo. La pirateria è sempre più aggressiva, più evoluta e più ricca. Le sue aree di azione si sono allargate. Da ottobre è operativo l’accordo che Confitarma ha concluso con la difesa, la Farnesina e altri ministeri sulla presenza di uomini della Marina militare a bordo nave” afferma
nell’intervista Sefano Messina spiegando che: “Ho sentito dei colleghi soddisfatti però le forze che la Marina militare può dedicare a questo servizio purtroppo non sono sufficienti per tutte le navi. I militari non bastano, anche perchè il numero delle nostre navi sulle rotte a rischio è sempre maggiore. E’ necessario che si riprenda la legge sulla possibilità di ingaggiare società private”.

Il riferimento è alla convenzione  che consentirà a personale armato, militari della marina militare e di tutte le altre forze armate italiane e ‘contractors’ forniti da società di sicurezza private italiane, di imbarcarsi a bordo dei mercantili italiani in navigazione nell’Oceano Indiano.  I militari italiani imbarcati su cargo non saranno sottoposti alla catena di comando della nave, ma risponderanno alle gerarchie militari.

Comunque sia ora i mercantili italiani dovranno anche ‘adattarsi’. Nel senso che quelli che imbarcheranno i team di sicurezza dovranno avere un locale idoneo per il deposito e trasporto armi e munizioni. Una norma questa contenuta in un recente decreto della Capitaneria di Porto. Il  provvedimento disciplina le procedure tecnico-amministrative relative all’imbarco dei militari a protezione a bordo del naviglio nazionale che si reca nelle aree pericolose.

Per quanto riguarda l’arresto di eventuali pirati che siano catturati nel corso di un attacco ad una nave difesa dai team di sicurezza sorge un piccolo dilemma.

Il diritto internazionale marittimo prevede che ogni stato che fermi, tramite una propria nave da guerra, una nave pirata, possa arrestare i suoi membri e processarli presso i propri tribunali.

Ora sorge un dubbio, se sono i militari forse il diritto è osservato, ma  quando saranno i contractor? Anche in questo caso c’è un vuoto legislativo da colmare.

Nel frattempo, è sempre valido l’appello lanciato lo scorso mese di aprile dalla Camera di Commercio Internazionale, ICC, ai governi a rafforzare
la tutela della marina mercantile nel corno d’Africa e nella zona settentrionale dell’Oceano Indiano. Nella nota dell’ICC si leggeva che le
azioni dei pirati al largo delle coste somale: “Sono azioni violente che non solo danneggiano il commercio internazionale e mettono a rischio la vita di migliaia di lavoratori del settore marittimo, ma rappresentano dei veri e propri crimini extraterritoriali che necessitano di una forte risposta internazionale nell’ambito della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto della navigazione”.

Come pure si spera sia stato superato il richiamo che l’Europa ha inviato agli armatori italiani ad inizio anno. La commissione europea segnalava che alcune unità mercantili italiane che attraversano le aree a rischio pirateria, non si attengono, come dovuto, alle raccomandazioni riportate nelle best management  del mschoa. Si tratta dell’organismo che funge da punto di contatto primario per le navi mercantili e di collegamento con le forze navali militari internazionali che operano nel mare dei pirati e che ha sede a Dubai negli Emirati Uniti e che gestisce il ‘Reportin Scheme’.

Il documento è consultabile anche sul sito del Sindacato Marittimi, SDM, al seguente link:

http://www.sindacatomarittimi.eu/articoli.php?mode=search_ID&ID=598

In particolare, sembra che alcuni mercantili italiani, secondo quanto si leggeva nel documento dell’Ue, omettevano di comunicare sul sito http://www.mschoa.org/Links/Pages/UKMTO.aspx, come da procedura, i dati del viaggio nell’area a rischio e omettevano di  riportare via telefono e via email i dettagli del viaggio all’UMKTO o mschoa.

Di fatto veniva omessa la registrazione del transito della nave nel mare dei pirati e quindi, la nave si autoescludeva dalla protezione navale militare che è in atto nelle acque infestate dai pirati.

Cosa questa che, sempre nel documento Ue, è fortemente evidenziata nel punto in cui si legge: “…al gravissimo pericolo cui il mercantile stesso si sottopone nell’attraversare le ree a rischio pirateria senza alcuna possibilità di assistenza”.

Un fatto questo nspiegabile, ma che di certo evidenzia che ci sono anche altre ragioni che spongono il naviglio italiano al rischio sequestro da parte dei pirati somali  che spiega come finora non sempre gli assalti siano stati sventati.

Ferdinando Pelliccia