Il sequestro della portarinfuse italiana Rosalia D’Amato, avvenuto lo scorso 21 aprile nel mare della Somalia, è sempre stato avvolto in un alone di mistero. La nave è stata liberata il 25 novembre, dopo oltre sette mesi di prigionia, ma i misteri rimangono; anzi, crescono.

La Rosalia D’Amato e le domande senza risposta. Non è il titolo di un nuovo «Best seller», ma la consapevolezza che il sequestro dell’imbarcazione italiana è avvolta nel mistero. Neppure dopo la liberazione del cargo italiano, avvenuta due settimane fa, gli strani aspetti di questa vicenda sono stati chiariti. L’imbarcazione dell’armatore napoletano, Perseveranza Spa di Navigazione, fu sequestrata nell’Oceano Indiano il 21 aprile 2011, mentre era diretta in Iran, con il suo carico di soia, precisamente al porto di Bandar Imām Khomeinī, proveniente dal Brasile. Sin dai primi mesi dopo il sequestro, avevamo posto delle domande inevitabili al proprietario della portarinfuse battente bandiera italiana, in particolare a riguardo della rotta seguita. La nave italiana, infatti,  non aveva seguito la rotta consigliata per evitare il mare dei pirati, ossia, dopo il passaggio dal Capo di Buona Speranza, punta estrema dell’Africa meridionale, l’imbarcazione avrebbe dovuto, come consigliato anche in alcuni manuali di navigazione, passare a est dell’isola del Madagascar, puntando la prua verso la punta dell’India, per poi risalire la costa indiana, entrando nel golfo Persico; la portarinfuse ha invece proseguito seguendo la costa dell’Africa orientale, passando ad ovest dell’isola del Madagascar e si infilata nel mare dei pirati, dove il rischio di essere abbordata e  catturata, era di gran lunga maggiore. Così è stato, infatti. C’eravamo anche chiesti come mai nella lista dell’equipaggio depositata in Brasile prima della partenza, che avevamo reperito dopo circa 4 mesi dal sequestro, mancasse il nome di uno dei componenti dell’equipaggio: il secondo ufficiale di coperta, Giuseppe Maresca, il quale non risultava nella crew list all’inizio del viaggio dal porto di Paranagua, ma al suo posto c’era ancora il nome dell’ufficiale (D.R. nato a Sorrento) che era imbarcato nel viaggio precedente in partenza da San Nicolas in Argentina.Questo particolare, così come quello riguardante la rotta, non è di poco conto, visto il silenzio tombale che ha avvolto la vicenda sin dall’inizio, e che è continuato perfino dopo il rilascio ed il conseguente ritorno dei marittimi a casa. Nei giorni antecedenti la liberazione, oltre a filtrare la notizia che il sequestro si avviava a conclusione, si era sparsa la voce che qualcuno a bordo era in condizioni disperate, anzi addirittura si ventilava che uno dei filippini fosse morto. Ovviamente sono stati giorni di grande apprensione, in quanto la notizia girava negli ambienti dell’intelligence di altri paesi con insistenza. Il profilo basso tenuto in questa vicenda, non ha fatto altro che alimentare i sospetti che qualcosa fosse andato storto a bordo della nave italiana. Il silenzio è perdurato perfino a liberazione avvenuta, prova ne è il ritorno in patria dei nostri marinai, avvenuto pressoché in sordina. Se la condizione dei sei italiani tenuti sotto il tiro della armi per oltre sette mesi, l’abbiamo potuta constatare attraverso le poche testimonianze ai giornali rilasciate dai marittimi, la stessa cosa non si è potuta verificare con i marittimi filippini. Nei giorni seguenti la liberazione, nessun media filippino riportava la notizia del loro rilascio.

I marittimi filippini in arrivo all'aeroporto (in foto come vedete sono 14)

Stranissima situazione. Mossi dall’indiscrezione di cui sopra, ci siamo attivati per cercare di avere notizie riguardanti i 15 marinai filippini. Tramite un’associazione dei marittimi di quel paese, siamo riusciti a contattare la società di servizi che ha fornito il personale di bordo alla Rosalia D’Amato. Con estrema gentilezza, il personale dell’agenzia, ci ha risposto che gli uomini di mare provenienti dal sequestro della nave italiana, erano arrivati in patria il 5 dicembre e che godevano, nonostante tutto, di ottima salute. La gentilezza è stata così tanta, da averci fornito perfino le foto dell’arrivo in aeroporto e dell’incontro in Hotel con il personale della società, dove i marittimi filippini son visibilmente rinfrancati, ripuliti e rivestiti al meglio.

I marittimi filippini, ripuliti e rivestiti in Hotel (sono sempre 14)

Ma c’è un piccolo, quanto spaventoso, particolare: in entrambe le foto i filippini sono 14 e non 15, come in realtà dovrebbero essere, e soprattutto da come risulta dalla lista ufficiale di imbarco e come per mesi tutti i mezzi di comunicazione hanno riportato. Ora, alla luce delle stranezze di questa vicenda e delle voci sulle condizioni di salute pessime o addirittura della morte di uno di loro, il fatto che in quella foto manchi proprio uno dei filippini, ci ha fatto tremare.

Nella mail di risposta non si menziona il numero dei marinai, ma semplicemente si asserisce che tutti sono tornati e stanno bene.

La comparazione dei volti dei filippini, tra le due foto

Che fine ha fatto il quindicesimo uomo? Crediamo sia necessario trovare le risposte alle troppe domande del passato rimaste in sospeso, alle quali ora si aggiunge l’inquietante particolare della mancanza di un uomo. Ci aspettiamo che la compagnia armatoriale faccia chiarezza. Qualcuno manca all’appello.

Truman Siciliano