L’Egitto non trova pace e anche oggi continuano gli scontri nella capitale, il Cairo. In città i manifestanti sono tornati per il quarto giorno consecutivo a confrontarsi con le forze di sicurezza egiziane. I militari si mostrano sempre più violenti e brutali nei confronti di chi scende in strada a manifestare contro il governo. Gli scontri sono ancora localizzati nei pressi dei palazzi governativi e in Piazza Tahrir, il luogo simbolo della rivoluzione popolare del 25 gennaio scorso. Ambedue i luoghi sono isolati dal resto della città con filo spinato e muri e sono controllati da polizia e militari in assetto antisommossa.

Le scene a cui si assiste e quanto ne consegue fa credere che nel Paese dei Faraoni sia ancora in atto la rivoluzione popolare. Sono infatti, scene già viste come pure i protagonisti.
Stavolta però, il popolo protesta contro i militari che allora avevano contribuito alla cacciata di Hosni Mubarak.

La protesta popolare è dettata dalla volontà degli egiziani di ottenere una transizione rapida.

I militari infatti, si sono insediati alla guida del Paese dall’11 febbraio scorso, in maniera transitoria per gestire il dopo Mubarack. A governare il Paese vi è un Consiglio Supremo delle forze armate, Csfa, al capo del quale vi è il maresciallo Hussein Tantawi. La gente chiede che il Consiglio lasci subito il potere ai civili e non fra un paio di anni come da loro ‘pianificato’. Per ottenere quanto invocano il popolo egiziano ha dato vita, dalla fine del mese di novembre scorso, a  innumerevoli sit-in nei luoghi simbolo del potere dello stato, specie intorno alla sede del Consiglio dei
ministri e del Parlamento, ed anche in Piazza Tahrir, simbolo della rivoluzione.
Poi, improvvisamente lo scorso venerdì il controllo della situazione è sfuggito di mano agli organizzatori dei sit-in. Forse anche fomentati da ‘agenti provocatori’, sono scoppiati i primi scontri tra manifestanti e forze di sicurezza egiziane e da allora non c’è stata più tregua. Sembra che quel ‘giorno di follia’ abbia dato il via libera ai militari. In questo modo le scene di pacifiche manifestazioni di dissenso delle scorse settimane hanno ‘lasciato’ lo spazio a scene di brutalità e di dura repressione condotta dai militari in questi lungi quattro giorni.

I soldati ricorrono ad una violenza inaudita e inspiegabile nei confronti di chi cerca, nonostante tutto, di manifestare pacificamente ancora le sue idee. Sembra che nel Paese si sia aperta una sorta di ‘caccia’ al manifestante. Non appena si forma un gruppo di persone queste vengono caricate e bastonate senza pietà, donne o uomini che siano.

Gli scontri tra manifestanti e forze di sicurezza si risolvono infatti, nei migliori dei casi, con brutali bastonature dei manifestanti. Non sempre però, non ci scappa il morto. Finora i morti accertati erano 9, tutti vittime della repressione, mentre i feriti sarebbero invece, circa 500. Stamani si sono registrate ulteriori vittime. Nel corso degli scontri scoppiati oggi tra le forze di sicurezza egiziane e manifestanti in piazza Tahrir sono morte altre 2 persone. Il numero delle vittime è quindi salito a 11. Tra essi vi sono anche due bambini di 12 e 14 anni. La notizia della morte dei due minori è stata resa nota da un portavoce del ministero della Sanità. La fonte ministeriale ha spiegato che i due bambini sono morti a seguito di fratture del cranio provocate dal lancio di blocchi di cemento, mentre almeno altre 6 vittime sono state uccise da colpi di arma da  fuoco.

Una conferma questa alle tante accuse lanciate da giorni dai manifestati e da testimoni che le forze di sicurezza egiziane stanno sparando sui manifestanti e non solo con proiettili di gomma. Un’accusa che le autorità egiziane hanno finora sempre respinto.

Oltre ai morti e ai feriti ci sono almeno 181 persone che sono state arrestate. Per tutti l’accusa è di aver partecipato alle violenze e di aver attaccato i membri delle Forze armate e di resistenza a pubblico ufficiale.

Quello che sta accadendo in Egitto porta a fare un parallelismo con quanto sta avvenendo in Siria. Il timore è infatti, che da un momento all’altro, ‘calino i veli’ e venga fuori il vero aspetto di chi, vestendo i panni dei militari, cerca di mostrarsi paladino della rivoluzione e di giustificare le sue azioni come atto di difesa della rivoluzione.

Quando ciò accadrà, se accadrà, sarà la fine. Il popolo non avrà scampo a meno che non arrivino ‘soccorsi’.

L’Egitto però, non dovrebbe essere un’altra Siria in quanto tutto quello che sta accadendo nel Paese dei Faraoni infatti, sta suscitando un’ondata di sdegno e di protesta da parte della comunità internazionale.

E’ unanime la condanna dei metodi repressivi adottati dai militari contro i manifestanti.

Anche stamani è tornata a parlare il segretario di stato americano, Hillary Clinton si è detta molto preoccupata per le violenze in corso Egitto invitando le forze di sicurezza egiziane a rispettare i diritti di libera espressione pacifica e di assemblea e chiedendo a tutti gli egiziani ad astenersi da qualsiasi forma di violenza.

Anche l’Alto Commissariato ONU per i diritti umani, Navi Pillay ha condannato con fermezza la brutale repressione delle manifestazioni al Cairo. L’alto funzionario ONU ha espresso particolare preoccupazione per quella che appare una presa di mira deliberata delle donne manifestanti. Pillay ha nuovamente chiesto anche un’indagine imparziale e indipendente per tutti i casi di abuso e di repressione violenta dei manifestanti che si sono verificati negli ultimi mesi ed il rilascio immediato di tutti coloro che sono stati arrestati per aver tentato di esercitare i loro diritti.

Nel frattempo, sempre oggi, si è tenuta al Cairo un incontro tra governo e giornalisti. L’intento era da parte della Giunta di spiegare ala stampa episodi e fatti inerenti agli scontri degli ultimi giorni in corso nella capitale.

“Quello che è in corso non è una rivoluzione, ma un attacco all’Egitto”, ha spiegato ai giornalisti il primo ministro egiziano, Kamal el Ganzouri. “Nessuno creda che il sangue freddo mostrato dall’esercito sia segno di debolezza, ed è la patria che lo esige. Ma qualsiasi attacco all’esercito, alle sue basi ed ai suoi equipaggiamenti costituiscono una linea rossa, e si sbaglia chi pensa che non sarà contrastato con tutta la fermezza e  la forza necessarie”, ha invece, affermato il viceministro della difesa egiziano, generale Adel Emara che ha anche definito i soldati degli eroi di cui  il governo apprezza gli sforzi per quello che fanno per la patria. Per i loro comportamenti violenti, documentati da filmati, il generale ha spiegato che: “non ci si deve limitare a quelle immagini, ma si deve cercare di capire che cosa c’è dietro”.  “I soldati intervengono quindi per proteggere gli edifici governativi, ma si diffondono voci su violenze delle forze dell’ordine. Si vede chiaramente che lo scopo è colpire lo Stato, non il regime, che è già caduto”, ha aggiunto il membro del Csfa che ha anche negato gli arresti di alcuni giornalisti accusando invece, alcuni media di affermare il falso.

Parole sinistre e ricce di significati inquietanti che non hanno per nulla dissipato le tante ombre che aleggiano sugli scontri di questi giorni al Cairo. Da queste parole appare chiaro che viene giustificato ogni brutale aggressione e bastonatura dei manifestanti da parte dei militari, anche se non fanno resistenza, questo in nome del ripristino della sicurezza e del controllo della piazza.

Come se non bastasse poi, il generale Emara ha fatto un annuncio: “Ci sono informazioni su un piano per incendiare la sede dell’Assemblea del popolo  e ci dicono che è in corso un raduno di gente in piazza Tahrir per realizzare questo piano”. “Se i manifestanti prendono di mira le sedi governative allora è chiaro che sanno cosa stanno facendo e che seguono un’agenda precisa”, ha aggiunto il ministro.

Secondo il governo egiziano sarebbe quindi in atto un piano sistematico, un complotto per meglio dire, contro la sicurezza delle istituzioni e a metterlo in atto sarebbero chi in questi giorni manifesta in strada.

Come abbiano avuto queste informazioni i militari non lo hanno rivelato, ma è chiaro che a, questo punto, se ci saranno conferme, avranno carta bianca nel reprimere ogni forma di contestazione perché è un attacco allo stato.

Nel frattempo, preparano il terreno.

In un comunicato a firma del Consiglio Supremo delle forze armate, reso noto successivamente, si legge: “Forze ostili al popolo egiziano  cercando di seminare discordia e alimentare la tensione tra l’Esercito e il popolo non solo negli ultimi episodi, ma anche nelle proteste di via Mohammed Mahmoud a ottobre e a fine novembre”.

E’ evidente che è in corso una sorta di campagna avente lo scopo di screditare i manifestanti e quindi vanificare le loro rivendicazioni e al tempo stesso giustificare la repressione.

Ferdinando Pelliccia