Fino a dove può spingersi la legge sulla privacy?

Alle 12, 34 minuti e 30 secondi di mercoledì 25 gennaio 2012, curiosamente l’antivigilia del Giorno della Memoria, mi è giunta all’indirizzo del mio vecchio blog Cieli Limpidi, una email di posta certificata da uno studio legale romano.

Un avvocato, «in nome e per conto» di un signore che sentivo nominare per la prima volta, a cui il suddetto aveva «conferito espresso mandato», mi comunicava che «per l’esercizio del diritto in materia di protezione dei dati personali ai sensi degli artt. 7 e 8 D.Lgs 169/2003», ero invitato «ad ottemperare entro e non oltre il termine di giorni 15 dal ricevimento» a quanto contenuto in una istanza allegata alla email.

Il documento, ben tre pagine fitte con annessa fotocopia della carta d’identità, era firmato in calce dall’«istante» che d’ora in poi chiamerò professor Oblio.

La premessa dell’istanza riportava una serie, non certo edificante, di situazioni che avevano riguardato il professor Oblio negli anni ’70-’82. In quel lontano periodo infatti egli aveva preso parte «ad alcune azioni di stampo terroristico realizzate dal movimento “Brigate Rosse” quali espropri proletari, azioni di volantinaggio nonché all’attentato nei confronti» di un funzionario della Democrazia cristiana.

Nel 1988 il professor Oblio aveva subito «una condanna penale per banda armata, associazione sovversiva, rapina, attentato con finalità terroristiche ed altro», e solo nell’ottobre 2006 il Tribunale di Sorveglianza di Roma gli aveva concesso «la completa riabilitazione in ordine a tutte le condanne riportate».

Sempre dall’istanza apprendevo, con sollievo, che dopo aver espiato la propria pena, il professor Oblio aveva meritoriamente cercato di ricostruirsi «una considerazione ed una identità sociale e professionale di tutto rispetto». Ciò gli faceva e gli fa indubbiamente onore anche perché è effettivamente riuscito nell’intento. Oggi infatti egli insegna in una importante università italiana, ha ricevuto attestati e benemerenze da prestigiose istituzioni mondiali ed è «autore di numerose pubblicazioni di fama e rilievo internazionale nell’ambiente scientifico». Tutti elementi che, a detta del suo legale, «rendono non più attuale, ma oltremodo anacronistica, l’immagine del passato».

Proprio al fine di preservare queste conquiste e non arrecare danno agli affetti e alle relazioni interpersonali sue e dei suoi cari,  il professor Oblio chiede perentoriamente che si «blocchino» e si «cancellino» dalla rete Internet tutte le notizie che possano «caricare di una connotazione negativa la sua persona alterando e danneggiando la rinnovata ed attuale identità personale, l’onore e la ricostruita reputazione».

Ritenendo che ricorrano «i presupposti per l’invocazione e l’esercizio del diritto all’oblio, espressione del diritto alla riservatezza e alla identità personale», il professor Oblio e il suo avvocato mirano ad «ottenere che sulla rete Internet il suo nominativo, per mezzo delle scansioni operate automaticamente dai motori di ricerca, non resti associato perennemente ai fatti di cui in premessa pur nella ipotesi che la cronaca degli stessi venga conservata negli archivi storici dei siti giornalistici».

Meno male, verrebbe da dire. Meno male che si faccia salva l’«ipotesi» (!) che le emeroteche (tradizionali o virtuali che siano) possano conservare memoria dell’attività giovanile del professor Oblio. Pretendere che anche gli archivi storici dei giornali eliminino ogni cenno ai fatti di cui egli si rese protagonista o comprimario, dev’essere sembrato troppo anche al professor Oblio e soprattutto al suo avvocato.

Nell’istanza si intuisce che analoghe comunicazioni siano state inviate a molti altri siti, blog di discussione, giornali on-line, ovvero laddove «viene offerta una connotazione negativa», denominandolo «“ex brigatista” o “terrorista rosso” posto in diretta relazione con i fatti terroristici del passato». Fatti che, secondo il professor Oblio ed il suo legale, «a trent’anni di distanza dagli accadimenti in parola, non rispondono più ai requisiti di attualità, essenzialità ed interesse pubblico».

Ora io credo che la disquisizione sul “diritto all’oblio” contrapposto al diritto costituzionale di informare l’opinione pubblica (derivato dall’art. 21 della Costituzione italiana), a cui si deve sommare il diritto di cronaca e di critica, non possa essere compiutamente svolta qui e ora. Va in tal senso ricordato che proprio il 25 gennaio 2012 la Commissione europea, per voce del Commissario per la Giustizia Viviane Reding, ha presentato una comunicazione strategica e due proposte legislative in materia di protezione dei dati personali (data protection). Misure che, dopo un passaggio per la loro discussione al Parlamento europeo e agli Stati membri dell’Unione, in sede di Consiglio dei Ministri, entreranno in vigore, una volta adottate, nel 2014. Proprio in seno a questo regolamento viene riconosciuto per la prima volta il “Diritto all’oblio”, cioè viene introdotta la possibilità di cancellare i dati immessi in rete se non sussistono motivi legittimi per continuare a trattarli. I cittadini pertanto potranno rivolgersi per avanzare i propri reclami all’Autorità Garante dello Stato in cui risiedono. Sembra dunque, in tutto e per tutto, il caso del professor Oblio che con estrema tempestività pare aver recepito lo spirito della norma descritta.

Ora mi pare di intravedere nelle pieghe di questo episodio, non credo di esagerare, un pericolo enorme per la democrazia. Vorrei a tal proposito esporre alcune considerazioni. Infatti, andando più a fondo sul caso specifico che mi ha visto coinvolto, credo si possa meglio apprezzare il rischio a cui accennavo.

Che cosa avevo scritto o pubblicato nel blog Cieli Limpidi relativamente al professor Oblio per suscitare in lui l’esigenza di inviarmi quella istanza? Come ho già accennato all’inizio, il suo nome di primo acchito non mi ricordava nulla. Sul blog, per quanto riguarda le Brigate rosse, ci siamo occupati unicamente del caso Moro, sviluppando ricerche e saggi sui comunicati emessi durante il sequestro o sull’enigma di Gradoli. Nulla più. Come poteva essere accaduto quindi di aver nominato un personaggio tutto sommato minore, quale di fatto il professor Oblio era stato? Forse era avvenuto nell’ambito di un commento di qualche visitatore del blog? Una prima rapida ricerca ha dato esito negativo. Solo una minuziosa, successiva indagine, ha permesso di scoprire come mai il professor Oblio e il suo avvocato avessero deciso di inviare l’istanza anche a me.

Ereditato dal Centro documentazione Archivio Flamigni, dove tutt’ora [20 febbraio 2012] è presente (http://www.archivioflamigni.org/index.php?it/152/atti-di-commissioni-parlamentari-dinchiesta), avevo riportato un file in formato PDF di 281 pagine, che riproduce l’indice di tutti i volumi pubblicati (in totale 130) dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sulla strage di via Fani, sul sequestro e l’assassinio di Aldo Moro e sul terrorismo in Italia. Commissione che ha operato tra il 1979 e il 1983. Un documento quindi del Parlamento (Senato della Repubblica e Camera dei Deputati) della VIII Legislatura, pubblicato nel 1994 in forma cartacea, in due volumi (Indici dei primi novanta volumi pubblicati; Indici dei volumi dal XCI al CXXX, Roma, Tipografia del Senato).

In effetti, in alcune delle 281 pagine di questo indice, compare il nome e il cognome del professor Oblio, quando costui, nel 1982, venne ripetutamente interrogato dalla Procura e dall’Ufficio Istruzione del Tribunale di Roma. Va comunque precisato che nell’indice è solo indicata la data dell’interrogatorio e talvolta, ma non sempre, una lista degli argomenti oggetto dell’interrogatorio stesso. Non vi è comunque assolutamente alcuna menzione diretta dei fatti di cui egli si rese protagonista, tanto che un lettore potrebbe scambiarlo per un testimone informato sui fatti piuttosto che per un imputato.

Dunque, ricapitolando, il nome del professor Oblio (ma non le gesta passate o qualsiasi altro suo dato sensibile) ricorre sul mio blog esclusivamente in via indiretta, richiamato in un documento prodotto dal nostro Parlamento. Concludo pertanto che la “diffida” pervenutami vorrebbe impormi la cancellazione di quel documento pubblico o almeno di eliminarne l’indicizzazione, cosicché, interrogando un motore di ricerca con precisione mirata, sapendo cioè cosa cercare, non si giunga al nome e cognome del soggetto in questione. Mi pare una enormità. Sorge infatti spontanea una domanda. Qualora venisse accolta una simile istanza che fine farebbe la ricerca storica?

Ma non è finita qui.

Martedì 31 gennaio 2012, alle ore 10, 20 minuti e 45 secondi, trascorsi curiosamente appena quattro giorni esatti dal giorno della Memoria, mi è giunta una seconda email certificata, questa volta da uno studio associato di Molfetta. L’oggetto in questo caso era molto più esplicito: “Richiesta cancellazione articolo Blog Cieli Limpidi”.

Il richiedente, che per comodità nomineremo sig. X, una persona che vide il suo nome nel 2001-2002, collegato ad un noto scandalo che riempì le cronache nazionali, facendo riferimento ad un preciso articolo pubblicato sul mio blog nel 2008, ne chiedeva per l’appunto la cancellazione in virtù del fatto che «lo scrivente non è stato né condannato, né indagato per nessuna vicenda inerente […] al contrario vengo descritto come un truffatore e un millantatore».

Ovviamente mi sono precipitato a rileggere l’articolo incriminato, peraltro scritto non da me personalmente ma da un prezioso collaboratore del blog, l’amico Enrico Tagliaferro detto il Segugio. Ebbene, in effetti una frase riferita al sig. X lo qualificava con gli epiteti ricordati, ma… udite udite, a ben vedere si trattava nientemeno che di una citazione, debitamente virgolettata, tratta da un libro di Marco Travaglio, Gianni Barbacetto e Peter Gomez e precisamente Mani sporche edito da Chiarelettere nel dicembre 2007. L’articolo infatti non era incentrato sulle attività del signor X ma era piuttosto una critica nel merito, dettagliata e documentata, proprio del libro di Travaglio & C.

Anche in altre parti dell’articolo incriminato si faceva riferimento al signor X, ma mai l’autore aveva espresso giudizi diretti. Si era sempre trattato, anche in questo caso, di citazioni da articoli di quotidiani (l’Unità o il Giornale) e addirittura di citazioni da documenti prodotti da una Commissione parlamentare d’inchiesta.

Ora, come nella vicenda del professor Oblio, se le richieste del signor X, dovessero tradursi in azioni che comportino la cancellazione dalla rete di articoli, dove ci si è limitati a riportare fedelmente testi tratti dalla letteratura, da rassegne stampa o da documenti pubblici prodotti dal Parlamento, il diritto all’informazione subirebbe un colpo mortale. La ricerca storica, di fatto, si troverebbe imbrigliata, non potendo più attingere ad atti pubblici come quelli ad esempio dei procedimenti penali conclusi, né a documenti delle Commissioni d’inchiesta parlamentari, tantomeno ai giornali e ai periodici che trattarono a caldo determinati eventi.

Certi fenomeni, penso al terrorismo che insanguinò l’Italia negli anni ’70 e ’80 e sconvolse un’intera generazione, devono poter essere studiati e approfonditi, nel tentativo di capirli sempre meglio e cercare, se possibile, le ricette che evitino un loro tragico ripetersi. Quello che accadde in quel cupo periodo deve essere conosciuto non solo dagli addetti ai lavori, ricercatori, storici, ma anche dai cittadini comuni e soprattutto dai giovani che non vissero quegli anni. Credo pertanto che la mancata riproposizione di quei fatti, anche nei dettagli di singoli episodi, si ponga in contrasto con l’interesse pubblico, che a mio avviso deve prevalere sempre e comunque sul diritto del singolo individuo a non essere più ricordato.

 

Post scriptum: nemesi per i lotofagi

Per la cronaca, pur spiegando in dettaglio al legale del signor X le ragioni qui espresse, ho deciso di eliminare dal blog Cieli Limpidi l’articolo che lo citava, non ritenendolo tutto sommato di fondamentale importanza visto che, come ricordato, si trattava più di una polemica nei confronti di Travaglio & soci che altro. È vero che potevo tenere un diverso atteggiamento, ma i costi e le lungaggini di una eventuale causa civile mi hanno fatto optare per questa soluzione. Partendo proprio da questa “debolezza” di singolo, credo che sia necessaria l’apertura di un dibattito serio e serrato su questa delicata questione, auspicando che si formi ben presto un solido e compatto fronte che aggreghi enti, archivi, storici, giornalisti, politici e cittadini, al fine di garantire la possibilità a tutti di fare ricerca storica e informazione corretta.

Viceversa, per quanto riguarda il professor Oblio, ho spiegato al suo legale, con gli argomenti sopra sviluppati, che non ho alcuna intenzione di eliminare dal blog un documento pubblico come l’indice dei volumi di una Commissione parlamentare, volumi che possono essere acquistati da chiunque alla libreria del Senato della Repubblica o consultati in diverse biblioteche italiane. L’avvocato del professor Oblio mi ha risposto tempestivamente ribadendo la richiesta di ottenere la «de-indicizzazione» del nome [del professor Oblio], «evitando l’automatica associazione nei vari motori di ricerca del suo nominativo alle pagine del blog che fanno riferimento a fatti storici risalenti ad oltre trentadue anni fa». «In difetto», non accogliendo cioè la loro richiesta, lo studio legale del professor Oblio si vedrà costretto «ad agire nel rispetto del regolamento di cui al D.Lgs. 196/2003». A questo punto, mettendo da parte ogni considerazione di convenienza spicciola, attendiamo con grande serenità gli sviluppi della vicenda, ritenendo si tratti, prima di tutto, di una questione di principio su cui non si può cedere o derogare.

Da me contattato, anche l’Archivio Flamigni che ovviamente era stato raggiunto da analoga istanza, per voce della dottoressa Ilaria Moroni, mi ha confermato la volontà di mantenere un atteggiamento di fermezza. Se esiste un “diritto all’oblio”, credo non possa non esistere anche un “dovere della memoria”.

Detto ciò, poiché il professor Oblio e il suo legale hanno inviato analoga istanza a numerosissime altre entità come archivi, redazioni di giornali e blog, com’era da immaginarsi la vicenda è diventata ben presto di dominio pubblico. Se n’è occupato per primo Giovanni Bianconi sulle pagine del Corriere della Sera con l’articolo “E l’ex brigatista rivendica il «diritto all’oblio»” (1° febbraio 2012, p. 27). Il giorno seguente, 2 febbraio 2012, sono intervenuti sulla vicenda anche Francesco Borgonovo su Libero (“E l’ex Br vuole la censura totale”, pp. 1 e 19) e Agnese Moro su La Stampa (“La tutela e il peso della memoria”, p. 39). Mentre sui quotidiani citati, gli autori, pur dando elementi circostanziati sui fatti attribuiti al professor Oblio che potrebbero far risalire alla sua identità, lo hanno citato solo attraverso le iniziali del nome, in rete un altro personaggio coinvolto in passato in vicende terroristiche ed in semilibertà dal 2009, è stato invece molto più esplicito rivelando senza mezzi termini l’identità del professor Oblio, non perdonandogli, forse, il suo percorso di pentito.

Così, dunque, pare che gli intenti del professor Oblio – novello seguace dei lotofagi di omerica reminescenza (Odissea, IX 82-102) – siano stati, almeno momentaneamente, vanificati da una nemesi del ricordo che probabilmente lo costringerà a spostare in continuazione, come un moderno Sisifo, i massi ingombranti della memoria del suo lontano, ma ahimè incancellabile, passato.