Mercoledì scorso la nave italiana ‘Enrica Lexie’ ha avuto un ‘contatto’, al largo delle coste indiane, con una barca presumibilmente pirata. I militari della Marina italiana, uomini del Battaglione San Marco, imbarcati come Nucleo di Protezione Militare, NPM, anti pirati a bordo della nave italiana sono intervenuti in maniera dissuasiva costringendo l’imbarcazione presumibilmente ostile ad allontanarsi.

Un episodio ritenuto nell’ordinarietà in quella parte del mondo afflitto dal fenomeno della pirateria marittima se non fosse che poco dopo le autorità dello stato indiano di Kerala hanno accusato chi è a bordo della MN ‘Enrica Lexie’ di avere ucciso due pescatori indiani forse scambiandoli per pirati somali.

La vicenda in poche tempo è lievitata enormemente e sta creando non pochi problemi e dissidi tra India e Italia.

Pur essendo difficile credere che dei marò, forza d’elite della Marina Militare italiana, possano aver commesso un simile errore, se tale si può definire, o ancor peggio aperto il fuoco per uccidere, per questi uomini la situazione si sta aggravando.

Attualmente la nave è al largo del porto di Kochi in India e due dei marò, il capo team e il suo vice, sono a terra in custodia giudiziaria della polizia di Kerala. Su di loro incombe l’incriminazione per omicidio.

Sono tanti però,  i punti da chiarire in tutta questa vicenda ma soprattuto dove è avvenuto l’incidente. Gli italiani sostengono di aver avuto il
‘contatto’ a oltre 30 miglia nautiche dalla costa indiana, mentre gli indiani dicono di essere stati colpiti a 14 miglia nautiche da Alappuzha nel Kerala e quindi in acque territoriali.

Questa è la prima volta che dei militari italiani sono stati trattenuti e forse anche arrestati fuori dall’Italia. Un’esperienza nuova in cui l’Italia si è trovata dopo che una legge fortemente voluta da una parte del Parlamento e approvata lo scorso anno  dal governo Berlusconi ha permesso ai militari italiani di salire armati a difsa dei mercantili italiani contro i pirati.

Proprio in merito in una nota a firma di Luca Marco Comellini,  Segretario del Partito per la tutela dei Diritti di Militari e Forze di polizia, Pdm, si legge:  “La morte dei pescatori indiani è la tragica conseguenza  di una legge sbagliata voluta dal governo Berlusconi per tutelare gli interessi particolari e militarizzare il militarizzabile, anziché per favorire una concreta azione politica di contrasto alla pirateria condivisa con gli stati stranieri interessati dal fenomeno. Adesso a prescindere dalla giurisdizione e dalle competenze i militari dovranno garantire la massima collaborazione per accertare i fatti e consegnare i colpevoli alla giustizia. Il Ministro della Difesa, intanto, ritiri immediatamente i militari che sono ancora imbarcati a bordo delle altre navi mercantili”.

La possibilità per le navi mercantili italiane, che navigano nelle aree a rischio pirati, di chiedere la scorta armata a bordo composta da militari della Marina italiana è data da una legge dello stato italiano, la Legge 130 sul contrasto alla pirateria marittima varata nell’estate scorsa e il cui decreto attuativo sarà emanato entro il 31 marzo prossimo.
Una possibilità  di ricorrervi avvallata poi da un’intesa siglata lo scorso mese di ottobre tra il Ministero della  Difesa italiano e la Confederazione degli armatori, Confitarma.

Le regole d’ingaggio per gli NPM prevedono l’uso della forza graduata e proporzionale all’offesa.

In poche parole quando viene avvistata un’imbarcazione sospetta in avvicinamento come primo passo devono cercare di attirarne l’attenzione in vari modi, via radio, con segnali visivi e sonori, per fargli cambiare rotta. Se non si ricevono ripsoste e si nota anche la presenza di armi a bordo,  si ricorre ai cosiddetti ‘warning shots, cioè a dei colpi di arma da fuoco sparati a raffiche intermittenti a scopo dissuasivo, ma sempre a distanza di sicurezza dalla barca. I colpi diretti sull’imbarcazione sono solo l’ultima risorsa.

Il fenomeno della pirateria marittima al largo delle coste somale e Oceano Indiano ha colpito direttamente l’Italia con i sequestri del rimorchiatore d’altura ‘Buccaneer’, della petroliera ‘Savina Caylyn’ e MV ‘Rosalia D’Amato’. Si tratta di sequestri che si sono risolti dopo lunghi mesi di prigionia per i marittimi membri degli equipaggi delle navi catturate e solo dopo il pagamento di un riscatto.

Mentre un’altra nave italiana, la ‘Enrico Ievoli’ è tutt’ora in mano ai predoni del mare somali.

Diverse altre navi italiane sono invece, riuscite a sfuggire alle grinfie dei pirati somali. Non ultimo, il 12 febbraio scorso quando  fu proprio un altro NPM del Battaglione San Marco che sventò un tentativo di arrembaggio portato dai pirati somali ai danni della nave italaina  ‘Jolly Arancione’ della compagnia italiana, ‘Messina’.

Quello che vede i marò italiani coinvolti nella vicenda in India di fatto è la seconda volta che un team di sicurezza militare italiano imbarcato a bordo di una nave battente il tricolore per difenderlo da attacchi dei pirati somali era entrato in azione.

Molti altri Paesi hanno scelto di difendere le loro navi con team di sicurezza armati a bordo. Tra questi vi sono Belgio, Spagna, Francia,  Inghilterra e tanti altri. Molti hanno deciso di ricorrere anziché ai militari della marina a guardie armate privare, i contractors. Questi ultimi sono ritenuti più  sicuri, in quanto se sbagliano difficilmente tornano a lavorare e se succede un episodio come quella della Enrica Lexie lo  stato italiano non si ritrova a dover ‘mercanteggiare’ per ottenere il rilascio di suoi militari. Purtroppo in Italia mancano ancora le leggi che consentono il ricorso anche ai contractors privati a bordo dei mercantili.

Ferdinando Pelliccia