Purtroppo per gli armatori il doversi difendere dai pirati somali comporta oltre che degli oneri anche delle problematiche, e a volte anche dolorose. Lo dimostra la recente crisi Italia-India scaturita dal caso dell’Enrica Lexie. Si tratta della nave italiana su cui erano imbacati,
come Nucleo di Protezione Militare, NPM, anti pirati, i fucilieri del Battaglione San Marco. Questi militari della marina sono accusati dalle autorità indiane dello stato del Kerala di essere i responsabili della morte di due pescatori indiani. I due scambiati per pirati somali sono stati uccisi in mare il 15 febbraio scorso.

Dopo giorni di silenzio stampa stamani si registra un commento della compagnia napoletana F.lli Amato. Si tratta della società armatrice della MN Enrica Lexie.

La compagnia di via dei Fiorentini a Napoli fa sapere che stanno seguendo la vicenda, che però, resta gestita dalle autorità e nella quale la compagnia ha un ruolo marginale.
L’unica speranza, fa sapere la compagnia napoletana, è che la nave riparta al più presto.

Il laconico messaggio lasciato dalla compagnia di navigazione napoletana dimostra quanto possa essere impossibile gestire una determinata situazione dai civili se in mezzo ci sono i militari.

Un motivo questo che dovrebbe portare a spingere ancora di più affinchè dal governo italiano giunga il via libera per gli armatori italiani a poter
ricorrere anche a guardie armate per la difesa delle loro navi. Purtroppo per ora in Italia non vi è alcuna legge che ne consente il ricorso.

Il problema è anche un altro. I militari italiani sono finiti in mano alle autorità di un altro Paese e se invece, fossero stati catturati dai pirati
somali? Cosa sarebbe accaduto loro? In quel caso a poco sarebbe servita la diplomazia.

In un passato non tanto remoto la società napoletana dei F.lli Amato è stata per mesi alla ribalta delle cronache internazionali avendo avuto, dal mese di febbraio scorso fino al dicembre successivo, una sua nave, la petroliera italiana ‘Savina Caylyn’, in mano ai pirati somali che l’hanno
trattenuta, insieme al suo equipaggio, tra cui degli italiani, finchè non hanno ricevuto in cambio del loro rilascio il pagamento di un riscatto milionario.

Attualmente invece, la F.lli Amato è rimasta coinvolta, suo malgrado, nella vicenda legata all’uccisione nell’Oceano Indiano dei 2 pescatori indiani in quanto in virtù di una legge italiana di contrasto alla pirateria marittima, la 130, aveva imbarcato a bordo di una sua nave un team di sicurezza militare per difenderla da eventuali attacchi pirati.

In virtù di questa legge la Marina Militare italiana ha messo a disposizione degli armatori italiani 10 nuclei di specialisti del Battaglione San Marco, ciascuno composto da sei unità. Questi nuclei identificati con la sigla NPM vengono imbarcati su navi commerciali battenti bandiera italiana, che ne fanno esplicita richiesta, con compiti di protezione del personale e del carico a bordo. Questo è stato reso possibile da un accordo siglato nel mese di ottobre scorso tra il ministero della Difesa e la Confederazione italiana armatori, Confitarma. L’accordo prevede che in cambio gli armatori si facciano carico dei costi che richiede l’impiego del personale militare della Marina per questi compiti. I militari non sono
sottoposti a vincoli gerarchici con il comandante della nave, ma rispondono ad un comando strettamente militare con base logistica a Gibuti composto da ufficiali italiani.

I militari italiani, impiegati per questi compiti, sono distribuiti invece, lungo tutta l’area interessata dal fenomeno della pirateria marittima. Piccoli gruppi di sei unità che si imbarcano al momento del bisogno per poi, sbarcare mediamente dopo 10-15 giorni. Giusto il tempo di
proteggere una nave italiana che si avventura nel ‘mare dei pirati’, un mare che comprende tutto l’Oceano Indiano e il bacino somalo. Secondo dati Confitarma ogni anno sono almeno 2mila le navi italiane che solcano queste acque e almeno 900 quelle che attraversano il Golfo di Aden che è considerata l’area maggiormente a rischio pirati.

Le regole di ingaggio che regolamentano l’attività di questi team di sicurezza militari si basano sul principio dell’autodifesa. I militari italiani devono limitarsi solo ad azioni che impediscono il sequestro della nave, ricorrendo a segnali luminosi, radio e ad azioni puramente intimidatore come raffiche sequenziali dirette in aria e in acqua. Il ricorso al fuoco diretto sul presunto assalitore è possibile solo come ultima risorsa.

La stessa legge individua anche gli spazi marittimi a rischio pirati. Essi sono non solo le acque del Corno d’Africa, ma anche quelle dell’Oceano Indiano e del Golfo Persico.

Sono sempre di più i Paesi  che permettono alle loro flotte commerciali di utilizzare personale armato a bordo, siano essi militati o contractors privati, per difendersi dai pirati. Tra i Paesi europei, oltre l’Italia, il Belgio, la Spagna, la Francia, l’inghilterra.

Il fenomeno della pirateria marittima al largo delle coste somale e Oceano Indiano ha colpito direttamente l’Italia con i sequestri del rimorchiatore d’altura ‘Buccaneer’ della petroliera ‘Savina Caylyn’ e MV ‘Rosalia D’Amato’. Si tratta di sequestri che si sono risolti dopo lunghi mesi di prigionia per i marittimi membri degli equipaggi delle navi catturate e solo dopo il pagamento di un riscatto.

Mentre un’altra nave italiana, la ‘Enrico Ievoli’ è tutt’ora in mano ai predoni del mare somali.

Ferdinando Pelliccia