La Somalia è ormai per antonomasia conosciuta come la terra dei moderni pirati.

Una terra che dal 1991 non è governata da un governo democraticamente eletto dal popolo, ma da un governo federale di transizione, TFG.

Si tratta di un’amministrazione centrale che nel 2004 la comunità internazionale, USA in testa, ha chiamato a guidare il processo di pace in Somalia.

Il mandato del TFG era quindi di riconciliazione del Paese, scrivere una nuova costituzione e organizzare elezioni democratiche.
Nulla di tutto questo è stato fatto a fronte di un enorme gettito di denaro, oltre 9 mld di dollari, che la comunità internazionale, Italia in testa, ha finora versato nelle casse del governo somalo di Mogadiscio.

Un mandato la cui scadenza era stata programmata per la fine dello scorso mese di agosto. Però, in seguito all’Accordo di Kampala, lo scorso 9 giugno questo mandato è stato poi,  prorogato per altri 12 mesi,  fino al 20 agosto 2012.  Mentre veniva confermato alla presidenza dello stato, Sharif Sheikh Ahmed, in carica dal gennaio del 2009 dopo le dimissioni di Abdullahi Mohamed Yusuf, a  capo del governo somalo veniva invece, nominato il quinto premier dal 2004, Abiwely Mohamed Ali che succedeva al dimissionario Ahmed Mohamed Mohamed Abdullahi.

Tutto questo però, di certo non basta a sanare la Somalia che di fatto si è trasformata lentamente in una ‘terra di nessuno’.

Nel Paese del Corno D’Africa a causa delle continue lotte intestine tra i vari clan, si sono disgregate l’economia e le istituzioni con tutte le relative conseguenze.

L’assenza poi, di un’autorità centrale riconosciuta ha permesso abusi e soprusi da parte di tanti altri Paesi.

In questa situazione nel 2005 si è rivelato un fenomeno. Si tratta di quello della pirateria marittima.

Una vera e propria piaga che affligge le acque al largo della Somalia e Oceano Indiano. Un mare attraversato ogni anno da almeno 40mila navi battenti bandiere di tutto il mondo. Navi che sono diventate delle vere e proprie prede per i pirati somali.

In poco più di sei anni centinaia di navi e migliaia di marittimi di diverse nazionalità sono caduti nelle mani dei predoni del mare e per il loro rilascio i governi e le società armatrici a cui appartenevano hanno dovuto ‘sborsare’ mln di dollari in riscatti e mld di dollari si sono
invece, spesi per contrastarli.

Un mare di dollari si è riversato nel ‘mare dei pirati’ e alla fine questo, ha trasformato il fenomeno in una ‘cuccagna’ per tanti.

A ricavarci enormi profitti come erroneamente si potrebbe essere portati a pensare non sono stati i pirati somali, a loro poco più che spiccioli, ma assicuratori, mediatori, uomini d’affari senza scrupoli, politici somali, le società che si sono aggiudicate gli appalti per la fornitura di assistenza alle navi delle missioni anti pirateria internazionali e tanti altri.

In Somalia attualmente sono prigionieri almeno 200 marittimi di diversa nazionalità tra cui 6 italiani. Si tratta dei membri degli equipaggi
di almeno una decina di grosse navi, di cui una italiana, ma ci sono anche tante altre piccole barche da pesca, tutte catturate dai pirati somali nel mare del Corno d’Africa e Oceano Indiano.

In questo contesto si inserisce l’Italia che è fortemente coinvolta nel fenomeno. Primo perché una sua unita navale militare, la Fregata ‘Grecale’ è
attualmente al comando della missione anti pirateria marittima della Nato ‘Ocean Shield’. Secondo perché una sua nave mercantile, la ‘MV Enrico Ievoli’ è trattenuta in ostaggio dai pirati somali insieme ai suo membri dell’equipaggio tra cui 6 marittimi italiani.

L’Italia ha ben poco da sperare. Come tutti i governi dei Paesi che finora sono rimasti, loro malgrado, coinvolti in episodi di pirateria marittima anche quello italiano dovrà sottostare al ricatto dei pirati somali per poter riavere indietro nave e marittimi.

Esiste anche la possibilità che il rilascio avvenga con un atto di forza. Però in questo caso il rischio di subire perdite tra gli ostaggi è altissimo. Oppure che le autorità locali intervengano e facciano tutto il possibile per ottenere la liberazione degli ostaggi. Un intervento diplomatico che è preferibile a quello militare.

Per l’Italia l’occasione migliore per ‘chiedere aiuto’ si è presentata in occasione della recente tappa romana del premier somalo Abdiweli Mohamed Ali.

Il capo dell’esecutivo del TFG sta compiendo un giro nelle principali capitali del mondo per chiedere sostegno della comunità internazionale
alla pacificazione del suo Paese. In parole povere per battere cassa. Nei giorni scorsi il presidente del Consiglio, Mario Monti ha incontrato l’omologo somalo a Palazzo Chigi. Si è trattato di un cordiale colloquio come ha riferito in una nota la presidenza del Consiglio in cui ha spiegato anche che il primo ministro somalo ha ringraziato l’Italia per il supporto politico ed economico assicurato al delicato processo di pacificazione e riconciliazione in corso in Somalia ed ha auspicato che tale sostegno possa essere mantenuto anche in futuro.

Il presidente del Consiglio Monti ha fatto presente al premier somalo la necessità di una rapida ed efficace azione contro la pirateria, reiterando l’auspicio che le autorità somale facciano tutto quanto in loro potere per la liberazione della nave italiana ‘Enrico Ievoli’ in mano ai pirati somali da quasi due mesi. Abdiweli ha assicurato l’impegno suo personale per la liberazione della nave italiana e del suo equipaggio, facendo presente che
il suo governo è fortemente impegnato nella prevenzione della piaga della pirateria.

Il premier somalo nell’impegnarsi con Monti si è però, dimenticato che il suo governo controlla a mala pena solo la capitale Mogadiscio e che il resto del Paese è dal 2007 terra di contesa con i ribelli islamici filo al Qaeda degli ‘ImaarahIslamiya’ ex ‘al Shabaab’ che ne hanno preso il controllo per oltre il 70 per cento. Ancor di più si è dimenticato che se il TFG se esiste ancora questo lo devo al sostegno militare che gode da
parte delle truppe dell’unione africana, Ua, dispiegate nella capitale somala.

Inoltre, le aree controllate dalle gang del mare si trovano a diversi chilometri di distanza da Mogadiscio nella parte meridionale del Paese e sono raggiungibili solo dopo diversi giorni di viaggio in auto e ammesso che vi si arrivi.

Per cui alla luce di tutto questo appare difficile che il TFG, come è stato finora dopo altre promesse, sia in grado di mantenere l’impegno preso con l’Italia o che il governo somalo sarà mai in grado di ‘sopravvivere’ da solo senza aiuti economici e militari.

Ferdinando Pelliccia