Per le autorità indiane l’errato intervento dei militari del Reggimento San Marco ha portato all’uccisione di due pescatori indiani ed ora New Delhi ne sta facendo una questione di principio. L’India ha assunto nella vicenda una posizione intransigente sostenendo che chi ha sbagliato deve pagare perchè la legge va rispettata da tutti e che il suo operato deve essere di monito e di esempio per tutti. Insomma ne sta facendo una questione di diritto.

Si sta dimostrando come una vicenda dai tanti contorni oscuri quella che sta coinvolgendo una nave italiana e il suo equipaggio nella morte di 2 pescatori indiani. I 2 indiani, Alias Valentine Jelestine di 45 anni e Ajesh Binki di 25 anni,  secondo la testimonianza dei loro compagni,  sarebbero stati colpiti da proiettili esplosi dalla MN ‘Enrica Lexie’. I compagni testimoni, però,  hanno anche asserito che al momento della sparatoria si trovavano sotto coperta a dormire per cui è in dubbio cosa possano aver realmente visto.

Effettivamente mercoledì scorso la nave italiana aveva avuto un ‘contatto’, al largo delle coste indiane, con una barca presumibilmente pirata. I militari della Marina italiana, uomini del Battaglione San Marco, imbarcati sulla nave a sua difesa erano immediatamente intervenuti in maniera dissuasiva costringendo l’imbarcazione presumibilmente ostile ad allontanarsi. L’ episodio era stato considerato come legato al fenomeno della pirateria marittima che impazza in quelle acque.

Le autorità indiane però, non sono dello stesso avviso e accusano chi è a bordo della MN ‘Enrica Lexie’ di avere ucciso due pescatori indiani forse scambiandoli appunto per pirati somali.
La vicenda in poche tempo è lievitata enormemente e si è trasformata in un incidente tra India e Italia.
Eppure è difficile credere che dei marò, forza d’elite della Marina Militare italiana, possano aver commesso alcun errore,  se tale si può definire.

Sono tanti i punti da chiarire in tutta questa vicenda come per esempio il fatto che gli italiani sostengono di aver avuto il  ‘contatto’ in una determinata zona dell’Oceano, a oltre 30 miglia marine dalla costa, mentre gli indiani dicono di essere stati colpiti in un’altra zona, a 14 miglia nautiche da Alappuzha nel Kerala e quindi in acque territoriali.

Su quest’ultimo punto è difficile crederci in quanto la rotta seguita dalla nave italiana non prevedeva il passaggio in acque indiane.

Le differenti versioni dei fatti, raccontate da indiani e italiani, ha creato non poco imbarazzo specie a livello diplomatico e anche forte attriti tra le due diplomazie.

Il problema di fondo è che a parte quanto accaduto le autorità indiane non potevano indurre la nave italiana, che si trovava in acque internazionali, a entrare nelle loro acque territoriali, a dirigersi verso il loro porto e tantomeno a ‘sequestrare’ la nave e il suo equipaggio. Di fatto è in corso una violazione del diritto internazionale da parte dell’India. La situazione però, sta venendo affrontata con diplomazia. In casi del genere è meglio ‘operare’ con i guanti bianchi.

A favore degli italiani gioca la buona fede e un eventuale ricorso dell’Italia di certo verrà accolto da qualsiasi tribunale internazionale.

Però, l’ostinatezza degli indiani nel voler indicare quella nave e quegli uomini come responsabili di questo duplice delitto porta a pensare, e a far sorge un dubbio e formulare una domanda. Non è che i pescatori indiani abbiano confuso la nave? Potrebbe trattarsi anche di due episodi distinti. Le tante discordanze lo portano a pensare anche perché i compagni di lavoro dei due morti non possono aver assistito all’episodio in
quanto erano a dormire per cui possono riferire solo di quello che hanno trovato e non di quello che è accaduto quindi non sono di certo testimoni oculari.

L’equipaggio dell’imbarcazione italiana continua a sostenere di aver solo seguito le procedure e che  le modalità di avvicinamento della barca sospetta erano state le solite seguite tutte le volte che si tenta un abbordaggio.

La  stessa Marina militare italiana ha reso noto un comunicato in cui afferma che: ”la dinamica dei fatti e’ ancora tutta da verificare”.

L’equipaggio e la nave, che è di proprietà  della compagnia italiana  ‘Fratelli D’Amato’ di Napoli che caso vuole sia la stessa della ‘Savina Caylyn’, la petroliera sequestrata da pirati somali e liberata solo lo scorso dicembre dopo oltre 10 mesi di prigionia e dietro il pagamento di un riscatto, sono ora ‘trattenuti’ dalle autorità indiane nei pressi del porto di Kochi nell’India meridionale.

La situazione si sta anche un po’ scaldando.
Sembra che i pescatori della zona chiedono a gran voce giustizia per i loro compagni morti e minacciano di stringere d’assedio la nave italiana. Il timore che questa animosità possa mettere in pericolo i membri dell’equipaggio della nave italiana.

Nel frattempo il governo di New Delhi annuncia che: “Faremo causa all’equipaggio italiano e la legge farà il suo corso”. Mentre fonti del ministero degli esteri indiano, citate dall’emittente televisiva ‘Times Now’ ha anticipano l’arresto dell’equipaggio della nave che potrebbe essere incriminato per omicidio secondo il codice penale indiano. Le autorità dello stato meridionale indiano del Kerala hanno già confiscato i passaporti dell’equipaggio della Enrica Lexie. Mentre la polizia di Nuova Delhi ha aperto un fascicolo sulla morte dei due pescatori indiani uccisi presumibilmente dai marò italiani imbarcati sulla nave italiana ‘Enrica Lexie’.

Ferdinando Pelliccia