Tutto quello che sta accadendo in India riporta alla mente i tempi dell’inquisizione quando si dava la caccia alle streghe e anche senza prove, ma con solo il sospetto, si giudicava e si condannavano le persone al rogo.

La vicenda legata alla nave italiana ‘Enrica Lexie’ vede 2 marò italiani¸ Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, accusati, senza prove, di aver ucciso in mare due pescatori scambiati per pirati.

Nel nome e per conto di una pseudo giustizia per i due pescatori morti, l’opinione pubblica, le autorità e i media indiani hanno già deciso che i colpevoli sono gli italiani e per questo motivo, nel voler dare un esempio per gli altri Paesi che devono rispettare le regole e le leggi, li vogliono ora condannare.

L’intera vicenda sta mettendo a dura prova la diplomazia italiana.

I due erano a bordo, come Nucleo di Protezione Militare, NPM, anti pirati, della una nave battente italiana ‘Enrica Lexie’ della F.lli Amato di Napoli e rispondevano a ben precise regole di ingaggio che si basano sul principio dell’autodifesa.

La Farnesina ieri, con una nota, ha ribadito che il caso deve essere trasferito alla magistratura italiana perché è avvenuto in acque internazionali, su una nave che battente bandiera italiana e che i due militari, membri del battaglione San Marco della Marina, godono dell’immunità.

Si tratta di un’immunità funzionale  in quanto hanno agito per conto dello Stato italiano. I due militari italiani infatti, hanno agito nell`ambito delle misure previste da una legge dello stato italiano, la legge 130 attiva nell’ambito del contrasto alla pirateria marittima e che prevede
per gli armatori la possibilità di avere a bordo delle proprie navi dei team di sicurezza militari armati. E’ ovvio che questi militari non godono dell’impunità se commettono delle violazioni. Però, per l’Italia in quel caso devono essere giudicati dai tribunali italiani in base al codice militare di pace. E’ su questo ultimo punto che si incentra la questione. Gli indiani dicono che i due marò devono essere giudicati dalla loro magistratura secondo  il codice penale indiano.

“Sinora non credo che si sia sviluppata quella collaborazione tra lo Stato federale indiano e lo Stato italiano che sarebbe invece veramente auspicabile e consentirebbe una via di uscita in tempi rapidi”, ha spiegato il ministro degli Esteri, Giulio Terzi aggiungendo che: “Allo stato
delle cose ci sono delle considerevoli divergenze di carattere giuridico”.

Mentre in India  si intensifica l’attività diplomatica a livello centrale le autorità locali continuano per la loro strada.

Oggi i 2 militari della Marina italiana, accusati dell’omicidio dei 2 pescatori indiani, sono comparsi dinanzi al magistrato, il giudice K.P. Joy nella città di Kollam, capoluogo dell’omonimo distretto dello stato indiano del Kerala da dove provenivano i 2 morti e dove di fatto si sta aprendo la vera e propria procedura investigativa sulla vicenda della nave italiana coinvolta nell’uccisione dei due indiani. Con i due davanti al magistrato si sono presentati come testimoni anche il proprietario del peschereccio indiano ed i pescatori superstiti. Il giudice ha disposto il fermo dei due militari italiani per altri tre giorni in attesa degli sviluppi dell’inchiesta in corso riservandosi di fissare un periodo complessivo di altri 14 giorni di possibile estensione del procedimento. Comunque il 23 febbraio prossimo si terrà una nuova udienza in cui il giudice deciderà se convalidare
l’arresto o meno dei due e mandarli in prigione. Pur rimanendo sotto la custodia giudiziaria della polizia di Kollam i due marò hanno fatto ritorno a Kochi.

Intanto, le associazioni dei pescatori dello stato del Kerala chiedono che venga arrestato anche il comandante dell’Enrica Lexie, Umberto Vitelli e minacciano di impedire che la nave tolga gli ormeggi e prenda il mare se questo dovese verificarsi.

Non è la prima volta che si verifica un episodio del genere. Diverse altre volte pescatori locali, usciti in mare per una battuta di pesca, non sono più ritornati o sono tornati cadaveri.
In genere sono caduti vittime dei pirati, ma altre volte anche delle navi straniere, militari e civili, che solcano le acque dell’Oceano Indiano.

Da parte dell’opinione  pubblica indiana, sostenuta dai media indiani, vi è una forte richiesta di giustizia.

Il fatto che si vuole dare un esempio e che si ritiene che episodi del genere non devono più passare impuniti non gioca molto a favore dei militari italiani.

A sostegno della tesi che quella incorso in India sia una sorta di ‘caccia alle streghe’ arriva dalla dichiarazione del ministro indiano della Navigazione, G.K. Vasan: “Le nostre acque territoriali non sono infestate dai pirati. Quindi è un crimine imperdonabile uccidere dei pescatori innocenti pensando che siano pirati. Non ci può essere un’alternativa a punire i responsabili di questo atto. Voglio essere chiaro a questo proposito, i colpevoli devono essere puniti”.

Nulla di più falso è stato mai affermato e specie da un uomo di governo. L’India è uno dei Paesi più colpiti dal fenomeno della pirateria marittima. Almeno 60 sui cittadini sono ostaggi dei pirati somali e nelle sue prigioni vi sono ospitati almeno un centinaio di pirati somali catturati dalla
sua Marian Militare. Tra i predoni del mare e l’India è in corso una vera e propria sfida che finora ha visto primeggiare i pirati a sfavore degli indiani.

Da quando la vicenda è venuta alla ribalta in tutto lo stato del Kerala si registrano continue manifestazioni di protesta anti-italiana. L’opinione
pubblica indiana è molto agitata e fa sentire tutto il peso di questo suo malessere sui governanti locali.

Come anche per il fatto che nei prossimi mesi si terranno le elezioni amministrative e politiche nello stato del Kerala sono forti i timori che l’intera vicenda possa essere sfruttata ai fini propagandistici da parte di alcuni leader politici locali.

Nello stato federale indiano è forte l’antagonismo politico tra il ‘partito comunista marxista indiano’ e il ‘National Congress’ al potere nel Paese. Proprio con il voto dello scorso anno i comunisti hanno perso il governo dello stato da sempre considerata una loro roccaforte ed ora sono alla ricerca di una rivalsa politica.

Qualcosa già si muove in tal senso. Infatti, in alcune delle manifestazioni di protesta svoltesi in questi giorni, a manifestare erano militanti di partiti politici e non certo pescatori. Ben distinguibili i colori del partito ‘Youth Congress’ e del principale partito della destra, il partito nazionalista indù ‘Bharathya Janata Party’, BJP. In merito il capo della Farnesina ha ammesso che: “Nel caso dei marò accusati di omicidio in India, le elezioni in corso nello stato indiano di Kerala rischiano di poter avere qualche influenza sull’indagine e sulle autorità giudicanti. Confido che non sarà così, che ci sarà un’indagine corretta e strettamente scrupolosa delle norme dello stato di diritto di cui questa grande democrazia indiana è esempio da tantissimi anni”.

Comunque sia sono tanti i punti oscuri di questa vicenda e che sono tutti da chiarire nell’interesse del raggiungimento della verità e del superamento di ogni dubbio. A cominciare dalla dinamica dell’incidente. Ascoltando il racconto di cosa sia avvenuto nell’Oceano
Indiano, dagli italiani e dai pescatori indiani superstiti, sembra che raccontino episodi diversi.

Una sensazione forte è che forse si stia commettendo un grosso errore o che forse qualcuno mente per nascondere chissà quale inconfessabile verità.

Inoltre, nelle ultime ore emerge il nome ‘Olympic Flair’ che è quello di una nave battente bandiera greca che avrebbe respinto un attacco pirata  nella stessa area e nell’ora indicata dagli indiani.

La nave per sagoma e colori assomiglia in maniera impressionante alla Enrica Lexie.

Ferdinando Pelliccia