La recente crisi Italia-India scaturita dal caso dell’Enrica Lexie. Si tratta della nave italiana su cui erano imbacati, come Nuclei Militari di Protezione, NMP, anti pirati, i fucilieri del Reggimento San Marco. Militari della marina che sono accusati dalle autorità indiane dello stato del Kerala di essere i responsabili della morte di due pescatori indiani. I due scambiati per pirati somali sono stati uccisi in mare il 15 febbraio scorso.

In questa triste vicenda verità e giustizia camminano a braccetto.

Due marò, Massimiliano Latorre e di Salvatore Girone, perché ritenuti i responsabili della morte dei 2 pescatori, da lunedì scorso, su ordine del giudice KP Roy del tribunale di Kollam, luogo di origine dei pescatori, sono in custodia giudiziaria della polizia locale fino al 5 marzo prossimo.

In merito l’India vuole procedere sulla base delle sue leggi che per l’omicidio prevedono oltre a pene detentive anche la pena capitale.

L’episodio accaduto al largo delle coste indiane è ancora del tutto da chiarire specie per il fatto che in quello tratto di mare quel giorno vi erano altre navi. Inoltre, le accuse degli indiani agli italiani sono tutte da provare.

Stamani il sottosegretario agli Esteri, Staffan de Mistura appena giunto dall’Italia a New Delhi un primo contatto con il suo omologo indiano per l’area occidentale, Preneet Kaur.

Un colloquio che il diplomatico italiano ha definito costruttivo e ha riferito che entrambi i Paesi concordano sulla necessità di arrivare alla verità sulla vicenda per poi, agire nel modo migliore possibile.

De Mistura in India è stato inviato dal capo della Farnesina, Giulio Terzi nell’ambito degli sforzi politici e diplomatici in corso per trovare una soluzione alla crisi scaturita tra i due Paesi dalla morte dei 2 pescatori indiani.

Il sottosegretario è poi partito per Kochi nello stato federale indiano del Kerala dove è da 7 giorni alla fonda la Enrica Lexie guardata a vista da navi da guerra indiane. Stamani sembra che l’Alta Corte di questo stato abbia ordinato alla nave italiana di versare un deposito cauzionale di 2,5 mln di rupie, circa 38mila euro. Una sorta di fondo di garanzia. La corte avrebbe anche stabilito che la nave potrà riprendere il mare solo dopo aver ottenuto il via libera dagli inquirenti indiani che stanno indagando sull’episodio accaduto il 15 febbraio scorso.

Il principale scontro derivante dalla questione è per la competenza giuridica sul caso. L’Italia dice che spetta alla sua magistratura. L’India sostiene il contrario.

Il sottosegretario de Mistura ha rivendicato al suo omologo indiano Kaur il fatto che l’incidente è avvenuto in acque internazionali e sembra che in proposito abbia avuto una risposta di assenso. Un primo passo in avanti che fa ben sperare per il futuro. Quest’ultima novità fa registrare una certa disponibilità da parte delle autorità indiane a un negoziato con gli italiani.

La strada seguita finora, quella diplomatica, per cercare di giungere ad una soluzione sembra però, ancora lunga, ma una luce comincia ad intravedersi in fondo ad essa.

Nel frattempo, da più parti giungono inviati a tenere i toni del dibattito bassi per non compromettere il lavoro della diplomazia.

La disputa sulla competenza di giurisdizione tra Italia e India  sta ‘infuocando’ il dibattito, ma per ora la ragione ha ancora il sopravvento.

Per gli indiani il comma 2 dell’articolo 4 del Codice penale indiano, IPC, ‘Estensione del codice ai reati extra-territoriali’, attribuisce a New Delhi la giurisdizione su qualsiasi fatto in cui sia coinvolto un cittadino indiano.

Oggi i legali della parte italiana però hanno presentato un’istanza all’Alta corte di New Dehli per il rilascio dei 2 marò sulla base della tesi che la polizia del Kerala non ha l’autorità di condurre un’inchiesta su un incidente avvenuto oltre le acque territoriali indiane.  In questo modo si spera di bloccare le procedure giudiziarie in corso che condurre i due marò anche in prigione.

Tra India e Italia la diatriba è anche sulla ricostruzione dei fatti, diversi nei due racconti, quello italiano e indiano. La differenza principale è temporale.

Ferdinando Pelliccia