La Guardia di Finanza di Rimini, in una operazione congiunta con la Squadra Mobile della Questura di Rimini, ha sequestrato beni immobili, quote societarie e autovetture per un valore di circa sei milioni di euro, a persone indagate per associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, tra Marocco, Spagna e Italia.
La Squadra Mobile della Questura di Rimini, collaborata da analogo personale delle Questure di Milano, Roma, Lodi, Modena e Prato, nonché dal collaterale Organo Investigativo Spagnolo che procede in virtù del mandato di arresto Europeo, alle prime ore dell’alba ha dato esecuzione all’Ordinanza di Custodia Cautelare in Carcere emessa dal G.I.P. del Tribunale di Bologna – dott. Mirko Margiocco, a carico di ventisette persone di etnia marocchina, cinese, ucraina e italiana, la maggior parte delle quali indagate per il delitto di associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti di tipo hashish e cocaina, tra Marocco, Spagna e Italia.
Contestualmente all’esecuzione dell’Ordinanza suddetta, militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Rimini, coordinati dal Pubblico Ministero della Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Bologna, dott. Enrico Cieri, al termine di articolate indagini economico-patrimoniali, hanno sottoposto al sequestro preventivo beni immobili, quote societarie e autovetture per un valore di circa sei milioni di euro, riconducibili agli indagati.
Le indagini avviate sin dal Febbraio 2008 dalla Sezione Antidroga della Questura di Rimini, basate su di una fitta rete di intercettazioni telefoniche, in coordinato disposto con mirati servizi di osservazione, pedinamento e controllo svolti direttamente sul territorio, consentiva di disarticolare in poco tempo tutte le consorterie criminali, nonché di documentare l’ingresso sul territorio italiano, proveniente dalla Spagna, di oltre 5.000 chilogrammi di sostanza stupefacente di tipo “Hashish”.
Nel corso della delicatissima attività investigativa protrattasi per lunghi mesi, si è giunti al sequestro di 1.000 chilogrammi di hashish, oltre due chili di cocaina, 1.300.000,00 euro ritenuto provento di riciclaggio e l’arresto in flagranza di reato di trenta persone.
Tra gli odierni arrestati figurano anche imprenditori di nazionalità cinese ritenuti gravemente indiziati di riciclare denaro provento dell’attività illecita per tramite le proprie aziende attraverso le quali compivano articolate operazioni finanziarie tali da ostacolare la tracciabilità del denaro che periodicamente veniva loro consegnato in pagamento dello stupefacente per conto dei trafficanti Spagnoli.
Nel corso delle contestuali perquisizioni veniva sequestrato copioso materiale utile a comprovare la tesi accusatoria, nonché denaro in contante quale sicuro provento dell’attività delittuosa di riferimento.
Gli arrestati dopo le formalità di rito venivano associati presso le case circondariali giurisdizionalmente competenti per territorio a disposizione dell’A.G. inquirente mentre le persone arrestate in Spagna sono state ristrette presso quelle case circondariali in attesa di essere estradati verso l’Italia.
I sequestri preventivi eseguiti dal Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Rimini su disposizione del G.I.P. del Tribunale di Bologna, hanno riguardato, oltre alle autovetture, una villa, un appartamento ed un capannone ad uso commerciale di circa 5.000 mq. con annesse quattro aree urbane, tutti ubicati nell’hinterland romano, nonché le quote di una società commerciale riconducibile ad uno degli indagati di origine cinese destinatario di ordinanza di custodia cautelare. L’attività investigativa posta in essere dalle Fiamme Gialle ha infatti consentito di accertare i presupposti per l’applicazione dell’art. 12 sexies del D.L. 8 giugno 1992 nr. 306, convertito con modificazioni dalla legge 356/1992, che consente per i soggetti che hanno commesso reati della specie di quelli in indagine, il sequestro e la successiva confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo, in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito o alla propria attività economica.