Dopo gli scioccanti sviluppi dell’avventura indiana dei militari del Battaglione San Marco, ormai agli arresti preventivi in una prigione civile alla stregua di delinquenti comuni, torniamo a contattare i due specialisti in intelligence dell’ Analysis Group, Shawn Winter, che ha comandato i Navy Seal della marina americana e poi l’antiterrorismo del Military Sealift Command della US Navy a Napoli e il consulente italiano Mario Scaramella.
Comandante Shawn lei crede che i Marò italiani abbiano sparato ai pescatori indiani? Che siano colpevoli?
Non conoscendo tutti i fatti circa l’accusa secondo la quale dei membri del Battaglione San Marco a bordo della MV Enrica Lexie avrebbero usato le armi contro l’equipaggio del battello da pesca indiano noi dobbiamo aspettare il completamento dell’indagine su questo evento e che essa divenga pubblica prima che gli individui possano esprimere le loro opinioni. Ad ogni modo un evento non è abbastanza per approvare o disapprovare la validità di guardie armate a bordo come parte di una più ampia e complessiva strategia di sicurezza, ma l’accaduto serve abbastanza per comprendere che il personale armato non è una panacea e che una ampia e completa strategia non è stata applicata. Altro non posso dire.
E Lei Dott. Scaramella?
Un militare italiano sa benissimo che quando spara si mette nei guai. Se i nostri marò hanno sparato lo avranno fatto per qualche buona ragione e tutto il comportamento mantenuto dai fucilieri conferma il profilo di chi sta facendo il proprio necessario dovere e nulla più. Sotto il profilo soggettivo sono a mio parere innocenti; anche sotto quello oggettivo è probabile che non siano stati i loro colpi ad uccidere i pescatori. Molte delle navi che battono quei mari hanno a bordo armati ma a differenza della Lexie, le altre imbarcano mercenari armati di frodo e dal grilletto facile. Come ebbi modo di denunciare fin da subito, .è probabile che a sparare siano stati degli esaltati imbarcati su una delle navi che contemporaneamente passava da quelle parti, ma come dice Winter è presto per esprimersi e bisogna vedere gli esiti di rilievi ed indagini. Prego che i Marò siano estranei alla vicenda…
Dott. Scaramella, lei ha tempestivamente sottolineato che gli indiani hanno, di fatto, una giurisdizione e che l’ Italia ha comunque compiuto violazioni al diritto internazionale, oggi molti si associano alla Sua analisi ma come si fa a riportare i Nostri militari a casa?
Io ho detto e ribadisco che l’ India ha una competenza funzionale sulla sua zona economica esclusiva ed un caso di pescatori uccisi nella loro “riserva” dà certamente a quel Paese una giurisdizione “operativa”. Poteri connessi alla regolamentazione delle risorse, possono comminare sanzioni penali all’equipaggio estero che abbia ucciso dei pescatori, ovviamente con l’ obbligo, proprio per il principio “funzionale”, a non comminare misure coercitive sproporzionate; inoltre l’ Italia nel mandare i propri militari su navi civili ha dimenticato di avvertire i paesi interessati da queste rotte e quindi non ha formalizzato un accredito, il che avrebbe dato uno status internazionale ai militari in questione. Su questa base negare competenza e giurisdizione, attaccare gli indiani come fossero trogloditi, negare il minimo sforzo diplomatico, nell’accezione tecnica del termine, non è un buon punto di partenza, infatti stiamo prendendo schiaffi in faccia.. Andava fatto il contrario, onori alla bandiera indiana, scuse formali, avvio di un processo militare in Italia e poi pressione diplomatica, forte, diretta, autorevole, condivisa, perchè fosse stipulato un trattato di giurisdizione che sulla base di puro diritto internazionale riconosca all’Italia di giudicare i suoi militari.
Dove hanno sbagliato i Nostri diplomatici?
Fin da subito, all’inizio, poi De Mistura ha corretto un po’ il tiro e penso che alla fine potrà raccogliere dei risultati. Conosco il Sottosegretario, era nel direttivo nazionale del WWF alla fine degli anni ’80, lui è un ottimo manager, veniva dalla UNICEF e poi ha fatto una gran carriera.
E che basi ci sarebbero per un accordo?
I Marò non sono i primi militari italiani che mettono piede in India, ci sono i Carabinieri nella Ambasciata e nei Consolati e i peacekeepers nel Kashmir, penso alle operazioni nella metà degli anni 90 nella zona di confine fra Pakistan ed India dove fu stabilita la prima missione di “ceasefire”, osservatori ONU, fin dal ’48, dove i militari italiani sono riconosciuti per il loro status e vi sono accordi di giurisdizione. Ora, insistendo sulla necessità italiana ad effettuare operazioni militari sul naviglio, in linea con nuovi profili del diritto e sopratutto con le “best practices” della navigazione (che in realtà sono un po’ più sfumate…) si può chiedere uno sforzo diplomatico all’ India perché sia esteso questo riconoscimento ai Nostri, ma tutto si basa su una grande piattaforma diplomatica da costruire senza l’arroganza dei primi giorni, sia chiaro: l’ India ha diritto a giudicare gli italiani sospettati di omicidio dei suoi pescatori avvenuto in zona EEZ ed avrebbe diritto anche a rappresaglie per l’aver subito visite di militari armati nella propria area. D’altro canto la legge italiana che autorizza i militari a bordo limita alle sole acque internazionali il passaggio armato, nè potrebbe diversamente disporre. I nostri sono entrati in acque territoriali straniere ed hanno ingaggiato uno scontro a fuoco in zona EEZ…
E se gli indiani non volessero negoziare un Trattato?
Per essere esplicito qui si entra nella cosiddetta fase 2 o “piano B”. Facciamo finta che i nostri siano due Marines, non ci vedrei nulla di strano se a fronte dell’insuccesso diplomatico un bel mattino, da qui a qualche mese, i due militari dovessero essere prelevati dai commilitoni nell’ ambito di una speciale operazione di recupero. Basterebbe, ipoteticamente, una buona unità speciale, un ordine esecutivo presidenziale, un po’ di intelligence clandestina e l’intervento sarebbe compatibile con il diritto internazionale. Se gli indiani fanno muro contro muro… non ci sarebbe alternativa ad un piano B, ovviamente da non rivendicare e da rendere diplomaticamente e mediaticamente digeribile almeno ex post…
Ma veniamo a noi: potrebbero mandare il Comsubin, ma l’ordine? Chi è in grado di dare questo ordine in Italia? E l’intelligence? Chi farebbe riconoscimento dell’obiettivo, logistica, supporto etc? Noi ci atteggiamo a superpotenza ma non lo siamo, abbiamo una sovranità limitata, non abbiamo intelligence e sicurezza ne interna ne tantomeno estera, una sana e necessaria intelligence clandestina intendo. Abbiamo analisti, contemplativi ma non operativi, inautorizzabili per impieghi speciali e segreti, quindi inutili. E siamo lontani anni luce da una diplomazia discreta ed efficiente che possa poi mettere le cose a posto…
Perchè dice queste cose? Parla in astratto?
Potrei raccontare la mia esperienza, come sapete sono sopravvissuto al Polonio russo ma non alla giustizia italiana, tornai da Londra la sera di Natale del 2006 dopo la morte di Alexander Litvinenko e il mio ricovero in ospedale; fui arrestato in aeroporto per l’ipotesi di un depistaggio (calunnia) nell’ambito di una operazione (sempre secondo l’accusa), da agente provocatore in un traffico di armi da guerra che agenti russi ed ucraini avevano effettivamente compiuto. Ebbene il magistrato che mi arrestò mi disse testualmente “noi non riconosciamo garanzie funzionali”. Mi disse cioè che per loro un ufficiale dei corpi speciali che dovesse per servizio forzare la legge sarebbe sempre e comunque perseguibile, non ci sono garanzie funzionali per i servizi in Italia! Io non avevo calunniato nessuno nè provocato trafficanti e quindi si chiuse tutto con un patteggiamento senza che si arrivasse ad un processo o pervenisse ad una dichiarazione di colpevolezza. Fossi stato un ufficiale ed avessi eseguito un ordine (quello di partecipare ad un traffico d’armi al fine di far arrestare spie e terroristi) sarei stato dichiarato colpevole e condannato! Il punto è: chi li va a prendere i nostri ragazzi se poi al rientro un procuratore della Repubblica arresta tutti? E chi pagherà le guardie carcerarie indiane per lasciare porte aperte quel giorno? E sopratutto chi firmerà quell’ordine esecutivo? Abbiamo al momento una sovranità limitata… Ma anche la nostra diplomazia è un po’ ubriaca.
Approcci negativi con gli “Esteri”, mi pare di capire Scaramella… Che esperienze ha avuto con il MAE?
Non voglio raccontare esperienze personali ma posso dire che qualche volta ingiusti arroccamenti di individui un po’ impreparati, condizionano complesse operazioni diplomatiche… Ho molte scottature di questo tipo. Se l’idea che il MAE si è fatto della situazione India si basasse su “veline” e articoletti di giornale, allora saremmo nei guai! Confido però che questa situazione sia seguita dagli esperti del contenzioso diplomatico.
Allora cosa si può fare per riportare i ragazzi a casa?
Se l’ Italia non ha in programma di riformare la propria sicurezza nazionale restano solo un “Piano A” che potrebbe consistere in «cari amici Indiani ci scusiamo, avete ragione, facciamo un trattato, come fossero peacekeepers del Kashmir li processiamo Noi ed in cambio rilasceremo due sospetti indiani di spionaggio industriale ai danni della Fiat, e magari vi compriamo pure il Tea. Firmato Il Ministro degli Esteri». Oppure un “Piano B” che potrebbe tradursi in «speriamo e preghiamo che una potenza amica vada a prenderli e ce li riporti a casa, i Nostri eroi».
Che basi giuridiche avrebbe questa ipotesi di intervento?
Per quanto l’”autotutela” a livello internazionale, prassi legittima per la risoluzione di contrasti, escluda l’uso o la minaccia della forza ai sensi dell’ art. 2 par. 4 della Carta delle Nazioni Unite, lo Stato potrebbe intervenire, secondo quanto sostenuto da molti paesi occidentali, e nel caso di irrigidimento da parte indiana, anche con (moderate) azioni di c.d. “Rescuing nationals” per proteggere la vita dei propri cittadini, come avvenne per esempio nel 76 ad Entebbe in Uganda, da parte Israeliana o nel 60 in Congo\Zaire da parte belga, oppure a Larnaca nel 78 da parte egiziana o come notoriamente avvenne nel 1980 a Teheran da parte americana. Per quanto il rischio di escalation è alto, ai sensi del diritto internazionale questo tipo di azioni in termini rigorosamente giuridici sono possibili, essendo regolate solo da rapporti di forza (azioni, reazioni, attacchi e controattacchi) e quindi semmai da quel corpo di norme consuetudinarie e pattizie fra cui le Convenzioni dell’ Aja del 1899 e del 1907 e convenzione di Ginevra del 1949 e seguenti integrazioni costituenti il diritto internazionale di guerra. L’Italia potrebbe quindi confidare che in ambito multilaterale, uno dei partner di organizzazioni intergovernative a cui apparteniamo, ritenga di poterci assistere nella nostra azione di “liberazione connazionali”, che ripeto, non sarebbe di per se stessa illecita ai sensi del diritto degli Stati.
Altre opzioni?
Resta poi ovviamente percorribile la strada della giurisdizione della Corte Internazionale di Giustizia, organo delle Nazioni Unite, la quale potrebbe però pronunciarsi sempre solo sulla base di un previo accordo fra le parti, cioè sulla base della volontà anche indiana di arrivare ad una sorta di “arbitrato” internazionale.

