maro_a1La società armatrice italiana, la F.lli D’Amato Spa di Napoli, della MN Enrica Lexie ‘trattenuta’ in India ha chiesto alle autorità locali il suo rilascio.
Lascia davvero di stucco questo possibile risvolto.
Se la nave toglie l’ancora e prende il mare di fatto lascia a terra i due marò in carcere.
In questo modo facendo prevalere su tutto un interesse  diverso da quello che invece, dovrebbe essere comune a tutti, ossia quello di riportare tutti a casa e non lasciare nessuno indietro.
Evidentemente ancora una volta forse prevalgono interessi societari anzichè nazionali.
In India ci sono in carcere, a Trivandrum, due sottoufficiali di Marina del Reggimento San Marco, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone.
I due specialisti di marina sono parte di team di sicurezza militare imbarcato a bordo di una nave battente bandiera italiana, la MN Enrica Lexie.

La società armatrice F.lli D’Amato di Napoli è la stessa della Savina Caylyn  sequestrata, dirottata e trattenuta dal mese di febbraio del 2011 fino al mese di dicembre dello stesso anno, dai pirati somali e che per il cui rilascio hanno preteso un riscatto milionario.
La Enrica Lexie è ora alla fonda nel porto di Kochi, nello stato federale indiano del Kerala, le è stato intimato di non prendere il largo ed è guardata a vista da motovedette della marina locale.

Si tratta di una nave battente bandiera italiana che di fatto è stata praticamente sequestrata dalle autorità locali indiane.

A bordo, di questo pezzo di territorio italiano, ci sono, oltre ai due marò a terra in carcere, anche altri 9 cittadini italiani, 5 marittimi, parte dei membri dell’equipaggio, tra cui il comandante Umberto Vitelli, e 4 militari della marina italiana, parte del NMP imbarcato a bordo.

A bordo anche altri membri dell’equipaggio, si tratta di 18 marittimi di nazionalità indiana. La Fratelli D’Amato è legata con l’India da forti interessi commerciali. Ogni anno da questo Paese asiatico riceve numerose commesse legate al trasporto di ‘crude oil’ e non solo. Per cui ha tutto l’interesse a non rovinare questi buoni rapporti. Da quando la nave è bloccata in India la società partenopea si è chiusa in un silenzio stampa. Un silenzio assordante che l’ha caratterizzata anche in precedenti occasioni che l’hanno vista sua malgrado coinvolta .

Stamani però, dalla Fratelli D’Amato è giunta una dichiarazioni del Managing Director, il comandante Pio Schiano che ha affermato: “Le attività investigative da parte della polizia indiana e della Mmd a bordo della nostra petroliera risultano terminate per cui l’armatore, attraverso l’agente marittimo in loco, ha inoltrato formale richiesta per la clearance della nostra petroliera. Tecnicamente l’Enrica Lexie non è mai stata messa sotto sequestro dalle autorità indiane ma noi ci siamo sempre mostrati disponibili a esaudire le richieste che ci sono pervenute”.

Una strana richiesta che lascia spazio a diverse interpretazioni tra cui il voler dire che se la nave viene lasciata andare via dagli indiani si
porta via i 4 dei 6 marò del NMP e lascia in carcere gli altri due?

Peccato che non si possa avere in contemporanea una risposta ma ci si aspetta che da Napoli, dove ha sede la F.lli D’Amato, pervengano chiarimenti in merito.

Gli armatori italiani ‘grazie’ ad una legge italiana, la 130 del 2011, posso chiedere alla Marina Militare di poter imbarcare a bordo delle loro navi di bandiera dei militari italiani. Una richiesta che si basa sullo scopo di ‘difendere’ le navi dai pirati somali quando attraversano aree a rischi individuate da un decreto ministeriale nel settembre scorso. Una richiesta che non vincola gli uni agli altri. Questo, comunque non giustifica il forse ‘lavarsene le mani’ per quello che è accaduto in India. Della serie il problema è loro e che se lo piangano loro?
E’ ovvio che dall’India devono andarsene tutti, equipaggio della nave e militari del team di sicurezza.

Purtroppo il problema di fondo è che la legge 130 è nata incompleta ed ora l’Italia ne sta pagando le conseguenze. Ed in base a quanto accaduto è chiaro che sarebbe un bene tenere fuori da tutto questo la Marina Militare. Una legge italiana, mal fatta, ha coinvolto i militari della Marina in una dinamica di ‘sicurezza sussidiaria’, che è più adatta ad un privato che lavora per un altro privato. Questo lo hanno capito Paesi ad esempio come Spagna, Germania e Inghilterra che permettono a bordo delle loro navi di bandiera  solo team di sicurezza privati. Un privato che lavora per un altro privato senza coinvolgere il Paese di appartenenza.

Alla fine alla prima difficoltà i nodi sono venuti tutti al pettine evidenziando l’incompletezza della legge tanto è vero che in Parlamento si sta già cercando di correre ai ripari. Una legge fortemente voluta da una parte del Parlamento, il Pdl ha presentato, nel corso degli anni, ben tre disegni di legge in merito.

Ed ora da quella stessa parte del Parlamento, che ha permesso agli armatori, dei privati, di poter ‘affittare’ gli specialisti della marina militare per difendere i loro interessi, alzano una polemica e una condanna nei confronti del governo Monti e ancora peggio verso chi sta cercando di mettere una pezza al guaio che hanno provocato, la diplomazia italiana. Una legge voluta anche dagli Armatori italiani. Una convenzione, siglata tra ministero della Difesa e Confederazione armatori italiani, la Confitarma, lo scorso mede di ottobre, ha fatto partire i Nuclei Militari di Protezione, NMP.

In tutto questa storia dispiace solo una cosa, se proprio doveva accadere ‘le castagne dal fuoco’ le doveva togliere chi ha portato i soldati italiani a trovarsi in questa condizione mortificante e asservita.

Comunque è certo che l’India è in una posizione predominante in quanto ha praticamente nelle sue mani, una nave italiana e ben 11 cittadini italiani, tra cui sei militari. Quanto accaduto finora era inevitabile. Gli indiani si sentono in diritto di fare quello che hanno fatto finora e forse chiunque altro al loro posto avrebbe fatto lo stesso.

Qualcuno il 15 febbraio scorso, al largo delle loro coste meridionali, ha ucciso due pescatori indiani mentre si trovavano a bordo di un peschereccio forse scambiandoli per pirati somali.

E’ molto comune nell’Oceano Indiano incontrare barche da pesca utilizzate dai predoni del mare come ‘navi madri’, una sorta di base galleggiante da cui lanciare i loro barchini all’assalto di un indifeso mercantile con a bordo solo dei lavoratori del mare. Difficile distinguere queste navi dalle altre e solo quando ormai sono ‘addosso’ al mercatile chi è a bordo se ne rende conto. Un’ottima difesa si è rivelata il ricorso da parte degli armatori di team di sicurezza armati a bordo. La sola loro presenza a bordo dei mercantili fa desistere i predoni del mare oppure se insistono sono i team a fargli cambiare idea.

Si parla sempre di difesa e mai di lotta nel caso di team di sicurezza in quanto la base giuridica su cui si fonda l’imbarco di uomini armati a bordo di una nave commerciale è quella di difenderla dai pirati seguendo un protocollo internazionale ben definito che prevede solo come estremo ricorso  l’uso delle armi direttamente contro gli assalitori. Forse nell’Oceano Indiano finora si sono commessi degli abusi nell’agire nel nome della lotta alla pirateria marittima. Le principali vittime di  questo contrasto risultano essere proprio i pescatori.

A far pensare che forse si commettono degli abusi è il fatto che negli ultimi mesi si sono registrati in maniera crescente denunce di attacchi indiscriminati contro barche di presunti  pirati somali  che sono poi stati uccisi o sono stati catturati da navi da guerra straniere. Il fatto che dei pescatori sono scambiati per pirati e come tali trattati ha finito nel tempo per esasperare gli animi. Da questo si può capire anche perché l’India ha assunto nella vicenda una posizione intransigente verso l’Italia sostenendo che chi ha sbagliato deve pagare perchè la legge va rispettata da tutti e che il suo deve essere di monito e di esempio per tutti. Insomma ne sta facendo una questione di diritto.

Ferdinando Pelliccia