MAROProsegue senza sosta l’impegno del governo italiano per riportare in patria i due marò, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, incarcerati in India. I due sono trattenuti nel carcere di Trivandrum nello stato federale del Kerala.

Su di loro pende l’accusa di aver provocato la morte di due pescatori indiani.

Questi ultimi vennero uccisi in mare lo scorso 15 febbraio perché scambiati per pirati.

Certezze che siano stati i due marò gli indiani però, non ne hanno.

I due militari della marina italiana erano impegnati in attività antipirateria a bordo della MV Enrica Lexie. Insieme ad altri 4 commilitoni del Reggimento San Marco componevano un Nucleo Militare di Protezione, NMP, in ottemperanza di una legge italiana, la 130 del 2011.

“Siamo pronti e determinati ad andare il più in alto possibile. Non molleremo mai i nostri marò, aveva affermato nei giorni scorsi il sottosegretario agli Esteri, Staffan de Mistura aggiungendo che: ”oggi è capitato a noi e domani può capitare a chiunque, anche agli
stessi indiani che hanno militari all’estero”.

De Mistura, dopo  che in India, per stare accanto ai marò, da ieri è giunto il ministro della Difesa, Giampaolo Di Paola, ha annunciato che sarà nei prossimi giorni di nuovo nel Paese asiatico.

Sarebbe la seconda volta per il sottosegretario che in India già vi si era recato lo scorso mese di febbraio per seguire da vicino la vicenda dei due maro’ italiani.

A Nuova Delhi de Mistura dovrebbe incontrare  rappresentanti delle autorità centrali e poi di certo si sposterà nello stato del Kerala dove è in
corso la vera ‘Battaglia’, per lo più legale, per riportare i due militari italiani a casa.

Le due missioni del numero uno della Difesa e del numero due della Farnesina in India vogliono essere un segnale per le autorità locali indiane per far capire loro quanto sia alta l’attenzione che l’Italia intende mantenere sul caso.

E’ chiaro che la diplomazia italiana cerca soprattutto una soluzione amichevole, ma non certo disonorevole.

Purtroppo le autorità indiane locali sono in una posizione di dominio avendo nelle loro mani i due marò, dopo che la nave su cui erano imbarcati li ha, tornando indietro, praticamente gettato nelle loro braccia.

Per cui è chiaro a tutti che occorre agire con tatto e astuzia diplomatica.

Le autorità dello stato federale del Kerala hanno messo quelle centrali indiane davanti al fatto compiuto ed ora ogni intervento del governo di New Delhi può avvenire solo se il caso assume una veste di interesse nazionale.

Nel frattempo, l’Alta corte del Kerala dopo i precedenti rinvii ha di nuovo rinviato ogni decisione in merito al ricorso presentato dall’Italia sulla giurisdizione del caso.

Il nuovo rinvio è a lunedì prossimo.

La posizione dell’Italia in merito è precisa. Ieri, nel corso della sua visita ai due marò in carcere il ministro Di Paola l’ha di nuovo ribadita: “Noi non vogliamo impunità per i militari italiani ma la giustizia italiana è quella che ha diritto a giudicare i fatti e gli eventi”.

Questi rinvio però, al contrario di quanto si potrebbe essere portati a credere sono considerati un segnale importante in quanto, come ha affermato  Staffan de Mistura: “rivelano come le autorità giudiziarie locali prendano molto seriamente l’attenzione che l’ Italia sta dedicando al caso”.

In poche parole tengono conto dell’eventuale reazione italiana se la decisione della corte fosse sfavorevole.

“Non mi faccio troppe illusioni, ma anche loro non devono farsene”, ha infatti dichiarato lo stesso de Mistura.

In merito proprio il sottosegretario si era anche espresso affermando: “se l’Alta corte del Kerala dovesse esprimersi a favore della giurisdizione indiana sul caso dei due fucilieri del battaglione San Marco, l’Italia è pronta a impugnare la decisione e portarla anche alla Suprema Corte”. Il numero due della diplomazia italiana aveva anche spiegato che: “Se i test balistici dimostreranno che le pallottole sono italiane la nostra strategia è chiara: i marò erano a difesa di una nave italiana e a bordo c’erano anche 19 marinai indiani. C’era e c’è bisogno di deterrenza contro gli atti di pirateria, per questo vogliamo che i nostri militari all’estero vengano giudicati nel nostro Paese”.

Quello del precedente pericoloso rivendicato come linea adottata sin dall’inizio dall’Italia è giustamente condivisa dall’intera comunità internazionale.

Proprio nei giorni scorsi l’Ue si è espressa sui team di sicurezza armati a bordo delle navi commerciali affermando che servono regole stringenti, specie per quelli privati.

Ferdinando Pelliccia