Tensione alle stelle tra Italia e India per la vicenda legata all’uccisione il 15 febbraio scorso nell’Oceano Indiano di 2 pescatori indiani. In tanti si continuano a chiedere chi abbia ordinato il rientro in acque territoriali indiane alla MN Enrica Lexie. Lo avevamo già detto nei giorni scorsi e non solo noi, ma pare che ancora qualcuno, seduto in parlamento, sia li a farsi questa domanda. Un rientro che si poteva evitare, essendo la nave italiana ormai in acque internazionali, e che ha comportato enormi conseguenze. Ad ordinare al comandante della nave, Umberto Vitelli, quando già si trovava in acque internazionali, di tornare a Kochi in India è stato l’armatore Luigi D’Amato (nel cerchio in foto) o chi per lui.
Al telefono la compagnia avrebbe detto a Vitelli: “Fate come dicono loro, tornate a Kochi“.
La Enrica Lexie è una nave della Società Armatrice Fratelli D’Amato Spa di Napoli e il legame della società con l’India è forte. La società armatrice riceve da questo Paese asiatico annualmente numerose commesse legate al trasporto di ‘crude oil’ e non solo. La Fratelli D’Amato Spa di Napoli è la stessa società della petroliera ‘Savina Caylyn’ sequestrata, dirottata e trattenuta per quasi 11 mesi, dal mese di febbraio del 2011 fino al mese di dicembre dello stesso anno, dai pirati somali che per il rilascio hanno preteso un riscatto milionario. La Enrica Lexie è ora alla fonda nel porto di Kochi nel Kerala guardata a vista da motovedette della marina locale.
Si tratta di una nave battente bandiera italiana che di fatto è stata praticamente sequestrata dalle autorità locali indiane.
A bordo, di questo pezzo di territorio italiano, ci sono, oltre ai due marò a terra in carcere, anche altri 9 cittadini italiani, 5 marittimi, parte dei membri dell’equipaggio, tra cui il comandante Umberto Vitelli, e 4 militari della marina italiana, parte del NMP imbarcato a bordo.  A bordo vi sono anche altri membri dell’equipaggio: si tratta di 18 marittimi di nazionalità indiana, così come erano indiani anche 17 dei marittimi a bordo della Savina Caylyn.  Un ulteriore dimostrazione del forte ‘legame’ della Fratelli D’Amato con l’India.
Un Paese con cui la società armatrice italiana ha ottimi rapporti commerciali e per questo motivo si potrebbe spiegare il perché il cavaliere Luigi D’Amato, presidente della società armatrice,  prediliga i lavoratori del mare di questa nazionalità. Lavoratori che comunque affianca volentieri ad altri di nazionalità italiana che poi, sottopone al comando di un capitano sempre italiano.
Una curiosità: la Fratelli D’Amato ingaggia il proprio personale attraverso la ‘V. Ships India Management’ con una delle sei sedi indiane proprio a Kochi. Un altro elemento che indica il forte sodalizio che esiste con l’India e in particolare con lo stato federale del Kerala ed era da questo porto che la nave italiana aveva preso il largo il 15 febbraio scorso giorno in cui si verificò l’incidente. E per questo motivo si potrebbe spiegare il perché Luigi D’Amato, presidente della società armatrice partenopea, si sia preoccupato di non contrariare le autorità locali indiane.
Per cui quando dal Kerala hanno comunicato alla nave che avevano catturato dei pirati e hanno chiesto alla Enrica Lexie, ormai già al largo, di rientrare a Kochi per aiutarli nel riconoscimento, nessuno a bordo si è domandato se era il caso o meno di obbedire. Non ne avevano motivo, ma l’indietro tutta è stato dato perché l’ordine di farlo era venuto dal vertice   della compagnia marittima. Il comandante della nave ha quindi ordinato di invertire la rotta in quanto era l’unico ad avere a bordo la facoltà di far virare di 180 gradi la rotta per tornare indietro. I militari italiani a bordo non avevano alcuna voce in capitolo, la legge 130 non prevede nulla in casi del genere.

i due maròVitelli obbedendo all’ordine della D’Amato non solo è caduto in quello che di fatto era un tranello teso dagli indiani, ma ha gettato nelle loro mani anche i due marò, Massimiliano La Torre e Salvatore Girone, che ora sono in carcere a Trivandrum e rischiano grosso.

Rischiano l’ergastolo o la pena di morte perché sono accusati di duplice omicidio.

L’Enrica Lexie infatti, è l’unica tra le navi che si trovava al largo delle coste indiane del Kerala, il 15 febbraio scorso (le navi erano quattro in quel momento in quella zona, quel giorno) che ha risposto affermativamente via radio dalle autorità marittime indiane quando queste hanno chiesto a tutte se avevano subito un attacco pirata o meno. Anche una nave greca, secondo quanto riportato nei report di allarme “attacco pirati”  delle missioni internazionali che pattugliano con navi militari l’oceano indiano in missione antipirateria, ha avuto un contatto con i predoni del mare, quel giorno quasi nelle stesse ore, ma non ha risposto alle richieste indiane.

Quel fatidico 15 febbraio nell’Oceano Indiano erano stati uccisi 2 pescatori indiani perché scambiati per pirati. Qualcuno che si trovava a bordo di una nave mercantile ha fatto fuoco contro il peschereccio sul quale erano imbarcati uccidendoli. L’episodio non può contare sulla testimonianza dell’equipaggio della nave italiana, in quanto insieme al comandante si erano rifugiati, come da prassi,  nella camera di sicurezza a bordo. Non può contare nemmeno sulla testimonianza dei compagni di lavoro dei due pescatori uccisi in quanto erano a dormire sotto coperta.

Eppure le autorità locali indiane dello stato del Kerala ritengono responsabili di questo duplice omicidio due marò del Battaglione San Marco imbarcati, insieme ad altri quattro, come Nucleo Militare di Protezione, NMP, anti pirati a bordo della nave italiana ‘Enrica Lexie’.

I fanti di marina erano a bordo della nave commerciale italiana in ottemperanza a una legge italiana di contrasto alla pirateria marittima, la Legge 130 e di una convenzione firmata, lo scorso mese di ottobre, tra il ministero della Difesa e la Confederazione degli armatori italiani, Confitarma. La società armatrice Fratelli D’Amato Spa di Napoli è la stessa che per 11 mesi ha gestito il rilascio,  di un’altra sua la petroliera ‘Savina Caylyn’, sequestrata e alla fonda al largo di Harardhere in Somalia. L’armatore campano ha lasciato prigionieri in Somalia per 11 mesi la nave e anche il suo equipaggio nel tentativo forse di sottrarsi al ricatto della gang del mare che li aveva in ostaggio. Un inutile tergiversare che ha fatto solo soffrire inutilmente l’equipaggio prigioniero in Somalia e alla fine comunque ha dovuto cedere e pagare il riscatto richiesto per liberare imbarcazione e membri dell’equipaggio.
Quei marittimi che, a detta del Cavalier D’Amato, erano come fossero suoi figli…

Curiosamente, dopo questa terribile avventura, la sua società è stata tra le prime a richiedere in virtù della Legge 130 del 2011 un team di sicurezza armato a bordo. Il caso poi, ha voluto che su una sua nave “forse” sia accaduto un terribile incidente, il primo da quando sono entrati in servizio gli NMP, e che poi, ha innescato la crisi tra Italia e India.

Quella stessa India con cui il cavalier D’Amato ha ottimi rapporti commerciali da cui ne scaturisce un fiorente business per la sua società.

La ‘Enrica Lexie’ poteva benissimo non obbedire a quell’invito e forse oggi non sarebbe in corso l’aspra diatriba che invece, ne è poi nata tra Italia e India.

Un invito che forse il comandante della nave italiana non ha disatteso, anche se poteva, visto che “in teoria” spetta a lui il totale controllo dell’imbarcazione e della rotta, a dimostrazione anche della buona fede, visto il “raggiro” compiuto per farli tornare indietro dalle autorità indiane. Però, se la nave non ‘obbediva’ agli indiani, “probabilmente” sarebbe stato turbato il business della società armatoriale campana, parecchio attivo, in quel Paese asiatico.
Facile immaginare in caso di ‘disobbedienza’ cosa sarebbe capitato la volta dopo che la ‘Enrica Lexie’ o anche un ‘altra nave della D’Amato di Napoli, fosse ritornata in India.
Intanto però, grazie a questa decisione, due dei nostri militari del Battaglione San Marco, sono stati consegnati nelle mani dell’autorità indiane, facendo una colossale frittata.

Ferdinando Pelliccia