A nove mesi dalla secessione del Sud dal Sudan dal Sudan non si alleviano le tensioni tra questi due Paesi africani che li stanno
portando sull’orlo della guerra.

Ad avvallare la convinzione l’annuncio fatto l’11 aprile scorso dal Parlamento di Khartoum la sospensione di tutte le trattative, mediate
dall’Ua, con il Sud Sudan. Mentre il Presidente del Parlamento di Juba, James Wani Igga ha annunciato che il Paese si deve preparare alla guerra.

Si tratta di un annuncio che ha fatto seguito alle schermaglie progressivamente divenute più intense registratesi negli ultimi mesi proprio nelle aree di produzione del petrolio lungo la comune frontiera tra i due Paesi africani.

Il Sud Sudan si è proclamato indipendente dal Sudan lo scorso 9 luglio. Un’indipendenza frutto di un accordo di pace raggiunto nel 2005 tra le due parti e che aveva messo fine ad una ventennale guerra civile con milioni di morti da ambo le parti.

Da quel momento però, si registrano un crescendo di continui scontri al confine tra militari di ambo le parti.

Scontri che potrebbero essere l’avvisaglia di una guerra non dichiarata in corso tra i due Paesi africani.

Alla base dei combattimenti in corso tra il Sudan ed il Sud Sudan vi è la definizione dei confini e la ripartizione dei profitti del petrolio che
non sono stati definiti al momento della separazione come doveva essere, ma rimandati a dopo. Ed ora se ne paga il prezzo.

La secessione ha portato una forte perdita economica, stimata in miliardi di dollari in entrate dai proventi dal petrolio, per Khartoum. Questo perchè erano nel Sud concentrati i giacimenti petroliferi che prima della divisione in due stati del Paese africano producevano il 75 per cento dell’intero patrimonio petrolifero del Sudan unito.

Dopo la separazione in due Stati del Sudan ora è la sola area del distretto di Heglig a produrre la maggior parte del petrolio prodotto dal Sudan, circa 115mila barili al giorno.

Questo ne fa il punto più critico lungo la comune frontiera tra i due Paesi africani, un tempo tutt’uno ed ora divisi in Sudan e Sud Sudan.

Comunque è lungo tutta la fascia di confine che sono frequenti i combattimenti anche con intensi scambi di colpi d’artiglieria e bombardamenti aerei.

Di recente anche la città di Bentiu, capitale dello Stato sud-sudanese di Unity e che rientra nell’area di produzione del petrolio del Sud Sudan, è stata coinvolta in questo scontro. La città è stata più di una volta bombardata dall’aviazione di Khartoum.

Da cui sono scaturite una serie di accuse reciproche di voler puntare alla guerra sfociate poi, in schermaglie.

Controversie che sono scaturite dal fatto che le autorità di Khartoum erano solite trattenere per se una parte del grezzo estratto dai pozzi del territorio Sud Sudan e che veniva inviato a Port Sudan per l’esportazione, circa 350mila barili al giorno.

Khartoum dichiarava che il greggio veniva trattenuto in pagamento per l’utilizzo degli oleodotti sudanesi di cui le autorità di Juba si servivano. Un pagamento che le autorità di Juba affermavano che invece, non era dovuto.

Alla fine il flusso di greggio sud sudanese verso il mar Rosso si è arrestato.

La tensione però, sembrava essersi raffreddata, ma in questi giorni è tornata di nuovo alta dopo che lo scorso 10 aprile si è registrata l’occupazione, da parte dell’esercito del Sud Sudan, di Heglig stappandola al controllo del Sudan.

Dopo gli scontri di fine marzo i combattimenti sono ripresi con intensità.

Al centro dei nuovi scontri la città di Heglig, nell’omonimo distretto petrolifero dello stato del Kordofan del Sud. Un territorio che rientra in quello del Sudan in seguito ad un arbitrato internazionale che ha deliberato anche in base alle linee di confine concordate il primo gennaio 1956.

Una decisione che però, il Sud Sudan continua a contestare in quanto ritiene suo quel territorio.

La reazione di Khartoum all’occupazione  militare non si è fatta attendere.

Sono state avviate azioni diplomatiche, ma soprattutto militari per mettere fine con le buone o con le cattive all’occupazione.

Il 20 aprile scorso dopo una dura controffensiva l’esercito sudanese ha ripreso il controllo di Heglig. Almeno così avrebbe dichiarato Khartoum visto che le autorità di Juba affermano invece, di aver ordinato alle sue truppe il ritiro in ottemperanza alle richieste pervenute dalla comunità internazionale. Ieri poi, il Sud Sudan ha accusato il Sudan di bombardare le sue truppe in ritirata da Heglig.

Purtroppo una prima evidente conseguenza dell’escalation del conflitto armato tra i due Paesi africani è l’aggravarsi della già precaria situazione umanitaria nella regione.

Come sempre accade in questi casi per sfuggire al dramma della guerra sono state almeno 20mila le persone che in poche settimane hanno abbandonato ogni loro avere e sono scappati dal distretto di Heglig per rifugiarsi nelle regioni confinanti.

Il presidente del Sudan, Omar Hassan el Bashir, ricercato dalla Corte penale internazionale dell’Aja per crimini contro l’umanità, genocidio e
crimini di guerra  compiuti nella regione sudanese del Darfur, continua ad alimentare le tensioni con proclami e minacce, mentre il suo omologo sud sudanese, Salva Kiir continua a denunciare violazioni territoriali da parte dei militari di Khartoum sia per aria sia per cielo.

Ad alimentarla ulteriormente il fatto che il 16 aprile scorso il Parlamento di Khartoum ha designato il Sud Sudan ‘Stato Nemico’.

Il 18 aprile scorso poi, nell’ambito dei proclami lanciati dall’una e dall’altra parte nella guerra non dichiarata in corso tra Sudan e Sud Sudan, il presidente sudanese el Bashir ha parlato che la crisi in corso tra i due Paesi africani, un tempo tutt’uno, vedrà un solo vincitore.

In questo contesto sembra possano fare poco le diplomazie internazionali.

Inutile ogni sforzo finora condotto dall’Unione Africana, Ua, per portare le parti a riunirsi intorno ad un tavolo per negoziare. Mediatore per l’Ua è l’ex presidente sudafricano Thabo Mbeki. Dopo un primo timido approccio alle trattative dei mesi scorsi è di nuovo ritornato tutto in alto mare.

L’Ua si mostra preoccupata da quanto accade ed ha chiesto al governo di Juba di ritirare le sue truppe da Heglig e sollecitando tutte e due le parti a contenere le proprie azioni militari. Sulla stessa linea la reazione di Washington e del segretario generale ONU, Ban ki Moon. Il 17 aprile scorso il Consiglio di sicurezza dell’ONU ha evocato l’ipotesi di imporre sanzioni ai due Stati per indurli ad abbandonare la loro ‘logica di guerra’, come l’hanno definita i due mediatori Haile Menkarios e Thabo Mbeki inviati nella regione rispettivamente da ONU e Ua.

Il Presidente sud sudanese Salva Kiir in un primo momento pur respingendo ogni richiesta da parte della comunità internazionale di ritirare le sue truppe dall’area di Heglig ha ribadito di non voler tornare in guerra con Khartoum, ma  che se il suo Paese sarà aggredito si difenderà.
Salva Kiir ha anche ricordato che le truppe di Khartoum occupano dal maggio del 2011 il distretto petrolifero di Abyei in territorio sud sudanese. Si tratta di un area estremamente ricca di petrolio e di conseguenza ambita da ambo le parti.

In questo distretto petrolifero però, non si è partecipato alla scelta per aderire al Sudan o al Sud Sudan rimandando pericolosamente il referendum.

In base a ciò il governo diJuba aveva posto tra le condizioni per il ritiro del suo esercito dalla regione di Heglig il ritiro di quello di Khartoum dalla regione di Abyei.

Ferdinando Pelliccia