Italia. Diventa sempre di più un’ardua impresa per i marittimi italiani trovare un imbarco sulle navi commerciali di bandiera, come mai? Eppure gli italiani sono tradizionalmente un popolo di navigatori, partendo da chi ha fatto la storia della nostra marineria. Oggi forse siamo costretti ad archiviare la tradizione e il mestiere che dalla notte dei tempi è stato perno dell’economia costiera di un Paese bagnato da ¾ dal mare.  Infatti, inspiegabilmente, sembra che le compagnie di navigazione italiane siano costrette a ricorrere a personale marittimo straniero per sopperire alla penuria di marittimi italiani. Almeno questo è quanto verrebbe sostenuto delle società di navigazioni italiane e la Confederazione Armatori, Confitarma, principale espressione associativa dell’Industria Italiana della Navigazione che raggruppa Imprese di Navigazione e Gruppi Armatoriali che operano in tutti i settori del trasporto merci e passeggeri, nelle crociere e nei servizi ausiliari del traffico. Il fenomeno è chiamato “Crew Shortage”, ossia carenza di personale qualificato da impiegare a bordo delle navi commerciali dato da una cronica crisi di vocazione tra i giovani. Per cui, di fatto, a bordo delle navi di bandiera si formano equipaggi multietnici, si usano lingue, religioni, modi di lavorare, modi di agire e di mangiare differenti, ma in primis salario e diritti diversi.

Infatti, il ricorso a lavoratori del mare stranieri o meglio extra comunitari oltre a problemi contrattuali, evidenzia anche altri problemi molto più delicati legati ad esempio alla convivenza. Per non parlare di quelli relativi alla sicurezza. In Italia i marittimi sono tenuti a seguire dei corsi e la loro certificazione viene rilasciata con severità. Mentre per i marittimi stranieri è facile dubitare dell’attendibilità dei loro certificati di frequenza ai corsi.

Non va sottovalutato il fatto che lavoratori del mare stranieri lavorino per gli Armatori italiani, ciò comporta che ogni mese milioni di euro, invece che entrare nel circuito monetario nazionale finiscono in quello di altri Paesi. Da una nostra inchiesta pubblicata sul settimanale WEEK, non risulterebbe però che non vi siano lavoratori del mare italiani disponibili, anzi abbiamo preso nota della disperazione di questi marittimi che non riescono a trovare collocamento e non ci risulterebbe nemmeno che siano pochi i giovani che vorrebbero intraprendere il mestiere di marittimo.

Il sistema marittimo italiano costituisce uno dei soggetti economici dello sviluppo, come rilevato dal Censis nel 45′ Rapporto Annuale presentato lo scorso mese di dicembre a Roma e a Milano, e produce complessivamente beni e servizi per un valore di 39,5 miliardi di Euro (2,6% del PIL). L’Italia è prima in Europa nell’interscambio via mare con 240 milioni di tonnellate di merci e nel turismo crocieristico con 6,7 milioni di passeggeri, nonché nel mondo nella costruzione di navi passeggeri e motoryacht di lusso, fornendo occupazione a circa il 2% della forza lavoro del Paese (480mila addetti).

La stessa Federazione del mare, che riunisce il cluster marittimo italiano, nel suo rapporto 2011 riferito al 2009 sull’economia del mare indicando le cifre degli occupati rivela che i livelli degli occupati è cresciuto rispetto agli anni precedenti. (documento di sintesi)

A questo punto è necessario capire come mai vi sia tanta disoccupazione nel settore marittimo italiano e perché invece gli armatori si dicano costretti ad assumere personale extracomunitario.

Già nel 2007 da un’indagine ISFORT/Federazione del mare risultava che in quell’anno i marittimi stranieri imbarcati sulla flotta italiana erano circa 12.678. Nel 2011 risulta che sono 9500 i marittimi stranieri effettivamente imbarcati sulle navi italiane. Si tratta del 34,6% dei 27.450 posti di lavoro nella flotta italiana, con un avvicendamento di 35.600 lavoratori, di cui oltre 12.000 stranieri.

Secondo la Fit-Cisl, i marittimi stranieri costituiscono invece, l’80% degli equipaggi o del settore alberghiero delle navi da crociera. Un esempio recente quello della Costa Concordia a bordo della quale vi erano imbarcati 296 filippini, di cui 120 membri dell’equipaggio, mentre gli altri lavoravano nell’hotel della nave.

Va anche fatta una riflessione in merito alla tutela sindacale dei lavoratori del mare offerta dalle tre principali sigle CGIL CISL UIL e sarebbe indicativo andare a vedere in che percentuali questi tre sindacati rappresentino i lavoratori del mare. Sembra che alcune compagnie abbiano l’usanza di far firmare ai marittimi l’iscrizione al sindacato insieme al contratto di lavoro. Ma tutto questo si tramuterebbe in una beffa se si analizzasse che un marittimo nell’arco di 5 anni non riuscisse a svolgere almeno 12 mesi di navigazione, rischierebbe di non ottenere il rinnovo della certificazione, quindi non gli sarebbe più consentito svolgere l’attività; insomma il marittimo italiano esce dal mercato. Il marittimo sarebbe legalmente eliminato.

Emergono posizioni nettamente contrastanti che vogliamo sottolineare tra lavoratori e armatori. I primi denunciano il fatto che non riescono più a imbarcarsi, i secondi lamentano di non trovare personale e quindi debbono rivolgersi al mercato extracomunitario.

Confitarma come già precedentemente accennato, liquida la questione denunciando una crisi di vocazione tra i giovani. Ma è vero anche che nel settore marittimo inspiegabilmente si investe poco. Infatti sono le politiche armatoriali dirette al risparmio, nel non investire nella formazione di giovani, non imbarcando di fatto il cadetto, ritenuto per moltissime compagnie solo una spesa. Il non imbarcare per anni allievi ufficiali, ha fatto si che le varie generazioni non vedendo sbocchi per il futuro, optando per altri corsi scolastici, hanno messo in crisi gli Istituti Tecnici Nautici italiani che hanno visto anno dopo anno diminuire i propri iscritti. I 37 istituti nautici italiani formano mediamente ogni anno 1200 diplomati per cui la crisi nel tempo sarebbe dovuta diminuire ed invece, già nel 2008, la “lungimirante” Confitarma, lanciava un allarme: nel 2012 i posti vacanti da ufficiali sarebbero stati circa 12mila. Come faceva a prevederlo?

Sul sito della Confederazione Italiana Armatori si legge che: “la formazione scolastica di base, i percorsi formativi aziendali, l’applicazione degli istituti previsti dalla riforma del mercato del lavoro, l’addestramento prescritto dalle normative internazionali sono le materie che Confitarma segue nell’intento di favorire l’adeguamento degli standard professionali degli equipaggi ai fabbisogni delle aziende armatoriali”.

In virtù di questa filosofia è nata l’Accademia del Mare di Genova istituita dallo Stato italiano, che ne copre i costi per l’80%. L’Accademia è però anche ‘sostenuta’ da moltissime compagnie di navigazione e dalla stessa CONFITARMA. (http://www.accademiamarinamercantile.it)

Sul sito web dell’Accademia si legge che i posti per i cadetti sono definiti di anno in anno in accordo con CONFITARMA.

Questo dovrebbe voler dire che a seconda della disponibilità d’imbarco resa nota dagli Armatori vengono predisposti i corsi per determinato numero di allievi. Sembrerebbe secondo nostre fonti, che l’Accademia ogni anno sia costretta a respingere iscritti in quanto la domanda eccede sempre l’offerta.

Come è possibile una cosa del genere?

Un fatto davvero strano è incomprensibile in quanto se già nel 2008 gli armatori hanno previsto che nel 2012 i posti vacanti per ufficiali sarebbero stati 12mila perché il numero dei posti messi a disposizione ai corsi all’Accademia sono ridotti ai minimi termini?

In sostanza, c’è o non c’è questa crisi di vocazione?

Inoltre, in questo modo, si rischia che chi ha tentato di iscriversi all’Accademia e ne è rimasto escluso, nel 99% dei casi non ci riproverà l’anno successivo, facendosi scappare così un potenziale ufficiale. In questo modo l’effetto ottenuto è il contrario di quello che si vuole: si disincentivano le vocazioni dei giovani alla carriera in mare anziché incentivarla.

A meno che non sia questo il vero obiettivo, si deve porre rimedio al più presto.

Se effettivamente si tratta del “Crew Shortage” tanto sbandierato dagli Armatori italiani, il problema sarebbe facilmente risolvibile, basterebbe aumentare i corsi, il numero dei posti per gli aspiranti allievi all’Accademia di Genova e addirittura creare anche nuove scuole di formazione a livello universitario in Italia. È strano che in un Paese con forti tradizioni marinare vi sia un numero così esiguo di scuole di formazione a livello universitario.

Forse sarebbe più giusto parlare non di assenza di vocazioni, ma di scelte ben precise, mirate verso i lavoratori stranieri.

Qui è obbligatoria una riflessione. Se gli armatori italiani sostengono l’Accademia del Mare di Genova, questi dovrebbero imbarcare di certo senza problemi anche i suoi allievi, che per legge, per concludere il ciclo di studi e conseguire il patentino di terzo ufficiale, devono oggi compiere 12 mesi di navigazione. E per far questo hanno anche delle agevolazioni dallo Stato italiano.

A molti giovani diplomati degli Istituti Tecnici Nautici viene di fatto preclusa ogni strada. Sarebbe interessante andare a vedere quanti diplomati dell’istituto nautico il giorno dopo il diploma hanno perso la vocazione o hanno tentato la carriera, ma sono stati «respinti».  Neppure tanto apparentemente da quanto esposto sembra che in Italia si cerchi di affossare la formazione dei giovani che vogliono seguire la carriera in mare.

In Paesi come l’America la formazione avviene seguendo un percorso di laurea, come anche in Paesi emergenti come l’India; nelle Filippine, a Manila, addirittura è stata inaugurata di recente un’Accademia del mare a percorso universitario e a Dubai sta nascendo un’Accademia a livello mondiale (http://www.dubaimaritimecity.com)

Si tratta di fatto di percorsi universitari che condurranno tanti giovani di questi Paesi a formarsi e a diventare ufficiali della Marina Mercantile.

Stranamente in Italia sembra che si punti su una formazione che è sicuramente meno qualificante.

A proposito dell’Accademia del mare a percorso universitario inaugurata nel settembre 2007 nelle Filippine che si chiama ‘Italian Maritime Academy Phils., Inc.’ (http://imaphilsinc.com) c’è da dire che a costituirla è stata Confitarma e la Rina (http://www.rina.org/en/index.aspx) . Questo dimostrerebbe che questi due attori della marineria italiana hanno importanti interessi in quel lontano Paese asiatico.

Tutto ciò rende palese il vero interesse: quello di imbarcare a minor costo i marittimi, usando personale extracomunitario… Altro che crisi di vocazione…( segue la seconda parte sul settimanale WEEK)

Ferdinando Pelliccia

Sul settimanale WEEK  la continuazione dell’inchiesta clicca qui