Roma, 11 maggio 2012  –  Poco conosciuti e sottovalutati dalle famiglie e dai medici, i disturbi psichiatrici dei giovanissimi – che si manifestano con violenza, comportamenti asociali, facilità agli incidenti, abuso di alcol e sostanze- sono in aumento. Eppure basterebbe riconoscere precocemente i segnali d’allarme e intervenire prima possibile per evitare guai importanti. Al 68° Congresso nazionale della Società Italiana di Pediatria (SIP) in corso a Roma (9-11 maggio 2012) la parola d’ordine è una sola: prevenire.

Il disagio adolescenziale è una fase quasi fisiologica dello sviluppo, una tappa del processo evolutivo che può manifestarsi in vari modi – a parlare il professore Paolo Curatolo, Direttore dell’Unità di Neuropsichiatria infantile all’Università “Tor Vergata” di Roma – ci sono adolescenti che internalizzano i disagi, altri che li esternalizzano, prevedere e riconoscere i “segni” del disagio permette ai genitori e allo  specialista di intervenire limitando il danno”. Facile irritabilità, cambiamenti repentini dell’umore, isolamento, perdita di interessi, scarsa tolleranza alle frustrazioni sono campanelli d’allarme che devono indurre la famiglia a vigilare, a mettersi in ascolto,  a ridurre per quanto possibile eventuali fattori ambientali di rischio creando attorno al ragazzo un ambiente protettivo che faciliti il cambiamento evolutivo. Tra i fattori di rischio rientra il disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD), che interessa circa il 3% della popolazione pediatrica e che in un terzo dei casi tende ad aggravarsi e a complicarsi.

 

Diversi studi recenti dimostrano che è molto alta la percentuale di soggetti con disturbi psichiatrici che hanno avuto una pregressa ADHD – sottolinea il professor Curatolo – sappiamo che di questi bambini un terzo migliora, un terzo mantiene il disturbo e un terzo peggiora al punto che vanno incontro a problemi psichiatrici nell’età giovanile tre volte tanto rispetto a chi non ha l’ADHD”. Il contesto sociale, la famiglia, la scuola hanno senz’altro un ruolo ma da soli non bastano a spiegare l’instaurarsi di disturbi per i quali fino ad oggi è stata data una lettura unicamente psicosociale. In anni recenti lo sviluppo delle neuroscienze pediatriche ha permesso di capire che certe manifestazioni non hanno solo una causa ambientale ma anche organica. In questi soggetti c’è una predisposizione genetica, per questo anche il contesto famiglia va riletto e studiato in chiave biologica. E’ presente inoltre, visualizzato con la Rmn, una ritardata maturazione del lobo frontale (l’area del cervello che regola e controlla le emozioni e l’impulsività, la pianificazione delle nostre azioni) che tuttavia in molti soggetti si completa più lentamente con lo sviluppo.

Di solito intervenire precocemente aiuta questi ragazzi a recuperare, a superare il disagio e a non cadere vittime di patologie psichiatriche più gravi – osserva Paolo Curatolo – il sostegno della famiglia è fondamentale ma ad esso bisogna associare il supporto neuropsichiatrico il solo in grado di attuare e insegnare agli stessi genitori strategie educative orientate al premio, perché un dato è certo: punire questi ragazzi è assolutamente controproducente e rischioso”.