Circa 1 milione e mezzo di bambini nel Mezzogiorno vive in una condizione di povertà relativa o assoluta (359mila sono privi del minimo necessario per sopravvivere) più del doppio che nel resto del Paese. Una povertà non solo economica, ma che interessa le relazioni e l’accesso ai servizi come la scuola, lo sport o la salute. Crescere al Sud è ancora un percorso ricco di ostacoli.
Le differenze cominciano alla nascita, anzi ancor prima di nascere. Infatti un bambino del sud ha maggiori probabilità di nascere da taglio cesareo piuttosto che da parto fisiologico: media nazionale 31,9% abbondantemente superata da Campania (54,3%), Basilicata (46,5%), Sicilia (42%). Se è vero che la mortalità neonatale nel nostro Paese è tra le più basse al mondo, è anche vero che vi sono notevoli differenze sul territorio. Così se a Trento la mortalità neonatale è di 1,60 casi per 1.000 nati a Reggio Calabria è di 4,82.
Gli svantaggi continuano nella prima infanzia e oltre. Nel nostro Paese solo un bambino su 10 tra gli 0 e i 3 anni frequenta un nido, ma nel Sud la percentuale è 4 volte inferiore e raggiunge livelli minimi in Calabria e Campania, dove il nido pubblico è una possibilità per 2 bambini ogni 100. E ancora, frequentare una scuola al Nord offre un vantaggio considerevole: 68 punti OCSE-PISA, come se gli studenti del Sud fossero in ritardo di un anno e mezzo sui programmi rispetto ai coetanei del Nord. E nonostante lo sport sia la terza agenzia educativa dopo famiglia e scuola, al Sud sono presenti solo il 20% degli impianti rispetto a quelli disponibili al Nord, e i nostri bambini svolgono solo 500 ore di attività fisica durante il percorso scolastico rispetto alle 1000 della media europea.
Povertà, carenze di scuole e strutture per impegnare in maniera sana il tempo libero rendono molti ragazzini facile preda della criminalità organizzata e dello sfruttamento lavorativo. Fattori strettamente connessi e oggetto di progetti di intervento da parte dell’alleanza Crescere al Sud promossa da Save the Children e Fondazione per il Sud alla quale ha aderito anche la Società Italiana di Pediatria che dedica a questo tema la giornata conclusiva del suo Congresso Nazionale i dati del divario (www.crescerealsud.it).
Bambini poveri a rischio di cure inappropriate
I pediatri chiedono che il diritto alla salute sia uguale per tutti i bambini. E mettono in luce il fatto che la povertà – intesa non solo in senso economico ma in termini più generali come mancanza di istruzione, opportunità e informazioni – influenza lo stato di salute non solo nell’infanzia, ma anche nell’età adulta, sia attraverso un diverso accesso ai servizi sanitari sia attraverso le abitudini di vita e i modelli comportamentali. D’altra parte nei paesi industrializzati la povertà è responsabile di circa il 6% di tutta la mortalità adulta: nessun singolo fattore di rischio è in grado di spiegare una quota così alta.
“Si è osservato – affermano Antonio Correra, vicepresidente della Società Italiana di Pediatria e Paolo Siani, Presidente dell’Associazione Culturale Pediatri (ACP) – che i bambini provenienti da situazioni economico- sociali svantaggiate presentano maggiori percentuali di ricoveri inappropriati, minor accesso ai programmi vaccinali, ma anche maggiori possibilità di assumere abitudini di vita e modelli comportamentali errati, come fumo e cattiva alimentazione, e di subirne in età adulta le conseguenze (malattie cardiovascolari ecc.)”.
“La condizione sociale influenza fortemente l’accesso ai servizi sanitari”, continuano Correra e Siani. “Sono infatti bambini che vivono in condizioni di basso livello socioculturale a richiedere più visite al Pronto Soccorso e a essere ricoverati. Molte delle consultazioni sono causate da problemi banali e questi bambini sono soggetti a un eccessivo numero di test di laboratorio e radiologici”.
Quanto agli stili di vita, si rileva che obesità e sovrappeso sono più alte nel Centro-Sud, con Calabria e Campania che hanno i maggiori tassi di obesità infantile (20,5% Campania, 15,4 Calabria contro una media nazionale dell’11%). Nelle stesse due regioni si registrano le minori quote di copertura vaccinale obbligatoria. Un dato positivo arriva però, rileva la SIP, dal nuovo Piano Nazionale di Prevenzione vaccinale 2012-2014: finalmente i vaccini entrano nei LEA (livelli minimi di assistenza) e ciò farà sì che finalmente anche in Italia tutti i bambini avranno diritto alle stesse vaccinazioni, superando le disparità da Regione a Regione.
Tra gli indicatori di rischio e di marginalità per i bambini uno è riconosciuto come fortemente collegato ai destini di vita: il livello di istruzione delle madri. Ecco perché i pediatri ritengono importante migliorare le competenze dei genitori, specie nelle fasce deboli. Assicurare una buona partenza nella vita, una nutrizione materna adeguata, ridurre l’esposizione al fumo, all’alcol, garantire un accesso universale alle cure appropriate e adeguate nel periodo preconcezionale durante la gravidanza e alla nascita rappresentano obiettivi primari di salute.