Stamani nel corso della trasmissione radiofonica ‘Un giorno da pecora’ su Rai Radio 2 il sottosegretario agli Esteri, Staffan de Mistura è tornato a parlare della Legge 130 del 2011 in base alla quale in Italia sono regolamentate le scorte armate sulle navi di bandiera che devono attraversare
aree infestate dai pirati.

Il numero due della Farnesina ha affermato che: “La legge che permette che i nostri marò vengono messi a bordo di navi civili, va in qualche maniera  meglio articolata altrimenti, Dio non voglia, in caso di altri incidenti, che  la gestione venga lasciata in mani non efficaci”.

Riferendosi poi, al fatto che la petroliera italiana Enrica Lexie, della società di navigazione F.lli D’Amato di Napoli, su cui erano imbarcati i due marò, attualmente trattenuti in India con l’accusa di omicidio, sia tornata indietro rientrando nelle acque territoriali indiane consegnando di fatto i due militari italiani nelle mani delle autorità indiane il sottosegretario ha detto: “Quella nave faceva meglio a continuare la navigazione e dopo certamente rispondere di qualunque incidente”.

De Mistura ha nel corso del suo intervento anche ribadito la correttezza della linea seguita dall’Italia nel gestire la vicenda spiegando che: “l’Italia è ferma, difende il proprio principio a nome di tutti, perchè domani potrebbe capitare a soldati indiani o americani”.

Per capire il significato delle parole del diplomatico italiano occorre sapere che in Italia le scorte armate sulle navi di bandiera sono state prima contemplate dall’articolo 5 del decreto legge del 12 luglio 2011 in merito alle direttive, le regole di ingaggio e le misure di contrasto emanate dal ministero della Difesa.

Un decreto-legge che è stato poi, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 agosto 2011, n. 130.

Successivamente con un decreto ministeriale, il primo settembre del 2011, il dicastero della Difesa ha anche individuato le aree a rischio pirateria marittima, la High Risk Area, HRA.

Un decreto ministeriale che definisce i confini geografici che individuano l’area del mondo ritenute pericolose. Senza questa precisazione  l’articolo 5 del decreto legge del 12 luglio 2011 non poteva essere mai esecutivo.

Nel mese di ottobre successivo veniva poi, siglata una convenzione tra Ministero della Difesa e la Confederazione degli armatori italiani, CONFITARMA.

Una convenzione che ha fatto poi, partire i Nuclei Militari di Protezione, NMP.

In tutto sono disponibili dieci nuclei ciascuno composto da almeno 6 marò del Reggimento San Marco messi a disposizione dalla Marina Militare.

Per tutti loro, le regole di ingaggio si basano sul principio di autodifesa, cioè il ricorso dell’uso della forza solo quando sarà necessario.

La legge stabilisce in teoria che non vi sarebbe stato alcun vincolo gerarchico nei confronti dei civili, né del comando della nave. I militari,
impiegati nel servizio scorta, rispondono ad un comando strettamente militare che è basato a Gibuti.

In pratica, come il caso della Enrica Lexie dimostra, i militari italiani sono stati invece, assoggettati alle decisioni di un comandante civile.

Quando il comandante della nave, Umberto Vitelli ha ordinato di rientrare in acque territoriale indiane su richiesta delle autorità indiane del Kerala, i marò a bordo non si sono potuti opporre.

La responsabilità di questo ordine non può essere però, attribuita a chi ha ordinato al timoniere della Enrica Lexie di cambiare rotta, ma a chi lo ha ordinato al comandante Vitelli.

Secondo la confederazione degli armatori la legge 130 del 2011 era un provvedimento necessario per ‘difendere’ le migliaia di navi italiane che ogni anno attraversano le aree interessate dal fenomeno della pirateria marittima.

Per l’armatore il servizio ha un costo, che accetta di sostenere quando sottoscrive il modulo di adesione predisposto e composto di sei pagine prestampate.

Per ogni militare viene corrisposto alla Marina la somma di 500 euro al giorno.

In questo modo pagando gli armatori, per difendere i loro interessi dai pirati, possono disporre, a bordo della loro nave, di questi team di sicurezza armati che dovrebbero operare nel quadro delle risoluzioni ONU relative al contrasto alla pirateria marittima.

Alla fine però, i militari italiani hanno finito per diventare dei ‘guardiani’ di  navi commerciali ‘affittati’ dalla Marina Militare agli armatori italiani.

Il piano di impiego degli NMP è abbastanza articolato e leggendolo si evince che prevede anche che le navi scortate seguono anche rotte particolari in modo da evitare interferenze con la giurisdizione degli stati costieri.

Un passaggio rivelatosi importanti alla luce dei fatti accaduti al largo delle coste meridionali dell’India il 15 febbraio scorso. Quando due pescatori indiani, forse scambiati per pirati, sono  stati uccisi forse da marò impiegati come NMP a bordo della Enrica Lexie.

Purtroppo il problema di fondo è che la legge 130 è nata incompleta ed ora l’Italia ne sta pagando le conseguenze con la controversia nata con l’India

Ed in base a quanto accaduto in India è chiaro che sarebbe stato meglio tenere fuori da tutto questo la Marina Militare italiana.

Una legge italiana, mal fatta, ha infatti, coinvolto i militari della Marina in una dinamica di ‘sicurezza sussidiaria’, che è più adatta ad un privato che lavora per un altro privato.

Questo lo hanno capito Paesi ad esempio come Spagna, Germania e Inghilterra che permettono a bordo delle loro navi di bandiera  solo team di sicurezza privati.

Un privato che lavora per un altro privato senza coinvolgere il Paese di appartenenza.

In realtà in Italia  l’idea originaria era proprio che si potesse ricorrere all’impiego di guardie armate private in operazioni di scorta ai mercantili italiani.

Però, alla fine  quando è giunto il via libera a poter imbarcare team di sicurezza armati a bordo delle navi di bandiera questo è valido sia per militari della marina sia personale privato armato. Per la mancanza di norme che consentano l’impiego di guardie private a bordo dei mercantili italiani, il loro imbarco, almeno armati, è stato però, rinviato lasciando il campo libero solo ai militari della marina.

In Italia in effetti manca un decreto che riconosca la figura professionale del contractor.

Un provvedimento questo, che deve venire dal ministero dell’Interno e serve a regolarne l’attività.

Poi successivamente alla prima difficoltà i nodi sono venuti tutti al pettine evidenziando l’incompletezza della legge.

Si tratta di una legge fortemente voluta da una parte dell’attuale Parlamento, Pdl in  testa.

Quello stesso Parlamento che ha permesso agli armatori, dei privati, di poter ‘affittare’ gli specialisti della marina militare per difendere i loro interessi, si sono poi, messi a polemizzare  con il governo Monti e ancora peggio a condannare l’operato della diplomazia italiana che fin
dall’inizio ha cercato di mettere una pezza al guaio che hanno provocato politici, armatori italiani e qualche graduato della Marina Militare.

In tutta questa storia dispiace solo una cosa, se proprio doveva accadere quello che è accaduto era un bene che ‘le castagne dal fuoco’ le dovevano togliere chi ha portato i militari italiani a trovarsi in una condizione mortificante e asservita come quella che Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, i due marò trattenuti in India, stanno vivendo.

Ed invece, l’ex ministro della Difesa dell’ex governo Berlusconi e gli altri ex non sono costretti a dover risolvere loro la questione in maniera diretta e quanto meno dolorosa possibile.

Ferdinando Pelliccia